Attenuanti: Cassazione, la provocazione non giustifica una reazione esagerata
La circostanza attenuante dellaprovocazione “deve essere negata ogni qualvolta la sproporzione fra il fatto ingiusto altruied il reato commesso sia talmente grave da escludere la sussistenza di un nesso causale effettivo e plausibiletra il fatto ingiusto subito e l'azione delittuosa attuata”.
Così hanno stabilito i giudici della primasezione penale della Corte di Cassazionenella sentenza n. 30001 depositata il 9luglio scorso, confermando l'esclusione delle attenuanti della provocazioneprevista dall'art. 62 n. 2 c.p., da parte della Corte d'Assise d'Appello in unavicenda riguardante un imputato per il reato di omicidio volontario, per aver esplosodue colpi di pistola (Beretta cal. 7,65) cagionando la morte di un uomo, aseguito di un litigio originato dalla gelosia nei confronti della donna con laquale il primo aveva una relazione.
L'imputato ricorreva per Cassazione denunciandoillogicità e contraddittorietà della motivazione in merito alla qualificazionegiuridica del fatto quale omicidio volontario, anziché preterintenzionale, datal'assenza dell'animus necandi e lapresenza di una mera attività di difesa, nonché violazione di legge in merito al mancato riconoscimento dell'attenuantedella provocazione.
Confermando le statuizioni di merito, laS.C. ha rigettato invece il ricorso, considerando l'azione omicida assolutamentesproporzionata rispetto al precedente litigio avvenuto all'interno dell'autovetturae le reciproche provocazioni tra l'imputato e la vittima, incompatibili conl'attenuante invocata.
Gli Ermellini hanno, tuttavia, riconosciutofondato il ricorso in ordine all'aggravantedei futili motivi prevista dall'art. 61, n. 1, c.p., la cui sussistenza erastata affermata in appello (in riforma della sentenza del giudice di primogrado), in quanto "la causa psichicache aveva mosso l'imputato era quella di risolvere la controversia affermandoin maniera indiscutibile il proprio prestigio e dando sfogo alla propria caricacriminale", considerato che la discussione era insorta "per risibili timori” di una condottainfedele da parte della fidanzata.
Premessala natura immanente della sproporzione tra motivo a delinquere e condottaomicida, laS.C. ha affermato che “il motivo deveritenersi futile quando la spinta al reato manca di quel minimo di consistenzache la coscienza collettiva esige per operare un collegamento logicamenteaccettabile con l'azione commessa, in guisa da risultare assolutamente sproporzionato all'entità del fatto erappresentare, quindi, non tanto una causa dell'evento, ma piuttosto un mero pretesto, un'occasione perl'agente di dare sfogo al proprio impulso criminale ed alla propria particolarereattività e malvagità”. Per cui non considerando corretta e aderente allaricostruzione dei fatti e alle risultanze probatorie, la statuizione della Corted'Assise d'Appello, la Cassazione haannullato la sentenza sul punto, con rinvio per nuovo giudizio ad altrasezione della corte di assise di appello.
Data: 03/08/2014 10:00:00
Autore: Marina Crisafi