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Lettera aperta a una corte mai nata

Sulle mancate funzionalità della Corte europea dei diritti dell'uomo


LETTERA AD UNA CORTE MAI NATA

di Angelo Casella

1.- Come è noto, a differenza della Corte di Giustizia dell'UE, la Corte europea dei diritti dell'uomo non fa parte delle istituzioni comunitarie. Venne creata a seguito delle intese intergovernative che istituirono il Consiglio d'Europa, entità, questa, piuttosto fumosa che - secondo le enunciazioni ufficiali - dovrebbe favorire il costituirsi in Europa di uno “spazio giuridico comune”, articolato sulla Convenzione europea dei diritti dell'uomo, alla cui tutela, per l'appunto, presiederebbe l'apposita Corte.

Non si possono, a tutto ciò, evitare delle immediate perplessità a ritenere che i governi si impegnino a creare uno strumento... che opera contro di loro stessi ed a favore dei cittadini (tenuto conto altresì che i membri della Corte sono di diretta nomina governativa).

E la storia in concreto della Corte denuncia infatti ben poche sentenze a favore dei cittadini ricorrenti contro le loro amministrazioni e che comunque appaiono essere il frutto di sottostanti equilibri internazionali, piuttosto che ispirate ad una sana tutela dei diritti individuali.

In definitiva, dunque, si può serenamente affermare che questa Corte di difesa dei diritti umani di fatto, non è mai nata.

Ma, non paga del più che blando assolvimento dei compiti formalmente assegnatile, la Corte ha, da ultimo, assunto una prassi più che sbrigativa, liquidando i ricorsi presentati con una semplice letterina nella quale afferma che “non sono soddisfatte le condizioni di ricevibilità”, senza peraltro specificare quali e perché.

Naturalmente, questo atteggiamento e siffatta dichiarazione, hanno sollevato risentite proteste, anche perché – nella maggioranza dei casi – totalmente infondati.

2.- Prescindendo dalla possibilità – ricorrendone le condizioni - di riproporre il ricorso alla citata Corte di Giustizia, nei casi della specie è comunque opportuno segnalare formalmente l'anomalia al Segretario del Consiglio d'Europa (dal quale la Corte dipende), quanto meno al fine di sottolineare che lo “spazio giuridico comune” non ricomprende la presa in giro dei cittadini.

3.- Un esempio può essere il testo che segue.

Oggetto: Funzionamento della Corte Europea dei Diritti Umani.

Debbo con rammarico segnalare un episodio di estrema gravità che può deturpare l'immagine delle Istituzioni europee e gettare una luce di incertezza sull'accesso dei cittadini europei al Diritto alla Giustizia garantito dalla Convenzione. L'episodio mette in discussione gli stessi principi di tutela dei diritti umani e del primato del Diritto, esplicitamente posti da codesto Consiglio a proprie finalità istituzionali.

In data ..., lo scrivente presentava ricorso alla Corte Europea dei Diritti Umani contro una decisione della Corte di Cassazione di Roma, emessa il …., ritenuta gravemente ingiusta ed errata, per la violazione dei diritti protetti dalla Convenzione.

Trascorsi circa …. mesi, in data … perveniva allo scrivente l'acclusa lettera della Corte che dichiarava il ricorso “irricevibile” in quanto non erano “soddisfatte le condizioni di ricevibilità previste dagli artt. 34 e 35 della Convenzione” (peraltro senza ulteriori specificazioni).

Lo scrivente eseguiva allora un attento riesame delle procedure seguite per la presentazione del ricorso medesimo, sotto il profilo della osservanza delle prescrizioni citate.

Come è noto, l'art. 34 dispone che è ammesso il ricorso presentato da “persona fisica” per la “violazione... dei diritti riconosciuti nella Convenzione e nei suoi Protocolli”. E questo è per l'appunto il caso come sopra rappresentato. Nessuna violazione, quindi, dell'art. 34.

L'art. 35, dal canto suo, impone al ricorrente due distinte condizioni. La prima è l'esaurimento delle vie di ricorso interne previste dall'ordinamento giuridico del ricorrente. Tale condizione è, nel caso, pienamente rispettata. La Corte di Cassazione costituisce infatti l'ultima istanza giudiziaria interna.

La seconda condizione attiene al rispetto, per presentare il ricorso, del lasso di tempo di sei mesi dalla data della sentenza impugnata.

Anche questa seconda riserva è stata osservata: come già indicato, il verdetto impugnato è del

…., ed il ricorso è stato inoltrato il ..., rispettando i termini richiesti.

Le “condizioni di ricevibilità” sono state pertanto pienamente ottemperate e lo scrivente si è premurato di segnalare tale circostanza alla Corte con lettera del ....

Tuttavia, ad oggi, non è pervenuto alcun riscontro e neppure alcun accenno in ordine all'esito del ricorso presentato.

Questo atteggiamento è motivo di forte disagio poiché sembra essere indice di disdegno sia delle istanze dei cittadini, sia della Convenzione medesima, sia dei diritti da questa riconosciuti.

E' in ogni caso da rilevare che la richiamata lettera della Corte non pare rispondere ai requisiti di forma e di contenuto propri di una istituzione giudicante.

Nella stessa emergono infatti sconcertanti errori, nonché incongruenze e contraddizioni logiche.

Lo scrivente chiede di seguire pazientemente l'analisi letterale che segue.

Nella lettera si dichiara che il ricorso è “irricevibile” in quanto “non sono soddisfatte le condizioni di ricevibilità” e si soggiunge che detta “decisione” è “definitiva e non può essere oggetto di ricorsi”.

Questa formulazione rivela una grave confusione concettuale tra ipotesi del tutto diverse e segnala altresì una errata percezione del senso delle alte funzioni giudicanti commesse alla Corte.

Infatti, la dichiarazione per la quale non sono state soddisfatte le condizioni di ricevibilità è il frutto di un procedimento che attiene all'accertamento di dati di fatto (l'esistenza o meno degli atti e fatti giuridici indicati dalla Convenzione come adempimenti preliminari) e non ha quindi le caratteristiche di una decisione, atto che postula un esame di merito. (E, nel nostro caso, l'assenza di specificazioni in ordine alla dichiarata insussistenza delle ripetute condizioni, rende l'affermazione vuota di contenuti ed esattamente valida quanto il suo contrario).

Non è chi non veda che ben diverso è constatare dei dati di fatto preliminari, dal valutare le ragioni del ricorso. Operazione quest'ultima che consiste nel procedimento logico seguendo il quale il Giudice valuta la fattispecie ed emette il suo verdetto. Percorso questo che, per la normativa in essere, non è soggetto a impugnativa.

A) Nel primo caso, l'operazione consiste nell'acquisire cognizione della sussistenza di atti e fatti concreti: una semplice ricognizione della realtà, dalla quale esula ogni procedimento logico.

Si tratta, in altri termini, di una attività pregiudiziale, che consiste in una verifica di elementi rilevabili nell'esistente mediante la semplice osservazione.

Pertanto, allorché si dichiari che non sono state rispettati gli adempimenti e le condizioni dettate per l'ammissibilità, ci si deve coerentemente attendere, per ovvia conseguenzialità, che questi siano indicati specificatamente.

Nel caso, comunque, ogni eventuale controdeduzione, quando segnali errori in detto accertamento, dovrebbe essere di per sé stessa ammissibile (e non esclusa a priori), come apporto al raggiungimento della verità di fatto. Obbiettivo sul quale si basa la funzione giudicante.

B) Nel secondo caso, si verte nell'ipotesi che il Giudice compia invece un esame sul merito del ricorso, cioè ne valuti il contenuto, inquadrando i fatti nel sistema normativo. Una attività, come sopra ricordato, che per la Convenzione è insindacabile.

Naturalmente, il percorso argomentativo seguito dal Giudice in tale attività, è necessario che venga dallo stesso esplicitato.

In altri termini, il giudizio di merito deve essere motivato, ovvero, debbono essere esposte le ragioni della valutazione del Giudice, dettagliando l'analisi logico-razionale seguita.

L'atto del motivare risponde, com'è noto, a due esigenze, di ragione e di garanzia.

Di ragione, in quanto il Giudice compie un cammino logico attraverso il quale esamina gli elementi della fattispecie e procede alla formulazione consapevole del provvedimento conseguente, in conformità alle premesse.

La finalità di garanzia consiste invece nella possibilità, grazie alla motivazione, di esaminare e controllare la fondatezza degli argomenti e l'esattezza della conclusione per garantire innanzitutto che il giudizio non sia di autorità ma di ragione, secondo lo scopo ed il senso della funzione giudiziaria.

Pertanto, quando la ripetuta missiva della Commissione sostiene che il ricorso non soddisfa le condizioni di ricevibilità (ma non specifica quali, perché affermerebbe il falso) e poi soggiunge che non è ammessa opposizione, commette un grave errore di sovrapposizione logica, applicando all'ipotesi di una semplice verifica di fatti concreti il trattamento previsto per il giudizio di merito.

Una confusione che coinvolge il senso stesso della funzione svolta e che sconfina nell'abuso.

Il ricorso è respinto per inesistenti motivi di ricevibilità, senza alcun esame nel merito. Questa non è amministrazione della Giustizia, ma semplice prevaricazione funzionale.

La ripetuta lettera è altresì carente in quanto dovrebbe fornire indicazione delle prescrizioni di ammissibilità che non sarebbero state rispettate, onde consentire una elementare verifica e non incorrere in un addebito di palese inadeguatezza.

In definitiva si tratta di una esternazione priva di contenuto e di senso compiuto, sprovvista dei requisiti di forma e di sostanza attesi da una istituzione giudicante.

Particolarmente grave che, a quanto riferito, questo genere di missiva costituisca una prassi consolidata che – nella pratica – svuota di contenuto le funzioni di tutela giudiziaria previste dalla Convenzione.

Lo scrivente chiede pertanto che il ricorso presentato sia regolarmente esaminato e che la Corte Europea sia ricondotta al rispetto delle sue funzioni.

Con osservanza,

Data: 18/12/2014 09:00:00
Autore: Angelo Casella