Le false comunicazioni sociali
- False comunicazioni sociali: definizione
- False comunicazioni sociali: cosa sono
- Quando si configura il reato
- La pena per le false comunicazioni sociali
- Particolare tenuità del fatto
- False comunicazioni sociali delle società quotate
- Giurisprudenza sulle false comunicazioni sociali
False comunicazioni sociali: definizione
Le false comunicazioni sociali possono essere definite come il comportamento di chi:
- espone in maniera consapevole nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali dirette ai soci o al pubblico previste dalla legge dei fatti materiali rilevanti che non rispondono al vero
oppure
- omette fatti materiali rilevanti la cui comunicazione è imposta dalla legge inerenti alla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale appartiene.
False comunicazioni sociali: cosa sono
Si tratta di un reato, procedibile d'ufficio, commesso nella tenuta delle comunicazioni sociali previste dalla legge.
Di conseguenza, possono commetterlo solo:
- gli amministratori,
- i direttori generali,
- i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari,
- i sindaci,
- i liquidatori.
Quando si configura il reato
Affinché il reato di false comunicazioni sociali possa dirsi integrato, le falsità o le omissioni non sono sufficienti, ma è necessario, altresì:
- che il soggetto attivo ponga in essere la condotta con il fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto,
- che la condotta sia concretamente idonea a indurre altri in errore.
L'elemento soggettivo richiesto è il dolo generico.
La pena per le false comunicazioni sociali
La pena prevista dal codice civile per il reato di false comunicazioni sociali è quella della reclusione da uno a cinque anni.
Sempre in forza di quanto previsto dall'articolo 2621 c.c., la medesima si applica anche nel caso in cui le falsità o le omissioni riguardino beni che la società possiede o amministra per conto di terzi.
Fatti di lieve entità
Se i fatti idonei a integrare il reato di false comunicazioni sociali sono di lieve entità, la pena, in forza di quanto previsto dall'articolo 2621-bis c.c., è quella della reclusione da sei mesi a tre anni.
A tal fine, per valutare la lieve entità è necessario tenere conto:
- della natura e delle dimensioni della società;
- delle modalità o degli effetti della condotta.
- nei tre esercizi antecedenti hanno avuto un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore a 300mila euro;
- nei tre esercizi antecedenti hanno realizzato ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore a 200mila euro;
- hanno un ammontare di debiti, anche non scaduti, non superiore a 500mila euro.
In tale seconda ipotesi, per la procedibilità del delitto è richiesta la querela della società, dei soci, dei creditori o degli altri destinatari della comunicazione sociale.
Particolare tenuità del fatto
Il legislatore del 2015, nel riformare il reato di false comunicazioni sociali, si è preoccupato anche di orientare l'attività del magistrato chiamato a giudicarlo, prevedendo, con l'introduzione dell'articolo 2621-ter nel codice civile, che, ai fini della non punibilità della condotta per particolare tenuità del fatto ai sensi dell'articolo 131-bis del codice penale, occorre valutare in maniera prevalente l'entità dell'eventuale danno che sia stato cagionato alla società, ai soci o ai creditori.
False comunicazioni sociali delle società quotate
Nelle società quotate, la commissione del reato di false comunicazioni sociali è punito più severamente: di esso si occupa, in maniera specifica, l'articolo 2622 del codice civile, stabilendo la pena della reclusione da tre a otto anni.
Tale trattamento sanzionatorio, più rigido, è in particolare riservato ai casi in cui le falsità o le omissioni riguardano:
- società emittenti strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato italiano o di altro Paese dell'Unione europea;
- società emittenti strumenti finanziari per i quali è stata presentata una richiesta di ammissione alla negoziazione in un mercato regolamentato italiano o di altro Paese dell'Unione europea;
- società emittenti strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in un sistema multilaterale di negoziazione italiano;
- società che controllano società emittenti strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato italiano o di altro Paese dell'Unione europea;
- società che fanno appello al pubblico risparmio o che comunque lo gestiscono.
Giurisprudenza sulle false comunicazioni sociali
Si riporta qui di seguito quanto statuito in alcune interessanti sentenze della Corte di cassazione in materia di false comunicazioni sociali:
Cassazione n. 11308/2020
Il reato di false comunicazioni sociali, previsto dall'art. 2621 cod. civ., nel testo modificato dalla legge 27 maggio 2015, n. 69, è configurabile in relazione alla esposizione in bilancio di enunciati valutativi, se l'agente, in presenza di criteri di valutazione normativamente fissati o di criteri tecnici generalmente accettati, se ne discosti consapevolmente e senza fornire adeguata informazione giustificativa, in modo concretamente idoneo ad indurre in errore i destinatari delle comunicazioni.
Cassazione n. 27170/2018
Premesso che il reato di false comunicazioni sociali, in particolare dopo la riforma introdotta dalla legge n. 69 del 2015, è posto a tutela della correttezza e trasparenza dell'informazione societaria, quale bene 'strumentale' alla salvaguardia dei beni 'finali' del patrimonio dei soci e dei creditori, nonché dei terzi interessati, la consumazione dell'illecito coincide con l'esposizione (o l'omissione) di fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero "nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali dirette ai soci o al pubblico.
Cassazione n. 6495/2018
Il reato di false comunicazioni sociali, previsto dall'art. 2621 cod. civ., nel testo modificato, è configurabile in relazione alla esposizione in bilancio di enunciati valutativi, se l'agente, in presenza di criteri di valutazione normativamente fissati o di criteri tecnici generalmente accettati, se ne discosti consapevolmente e senza fornire adeguata informazione giustificativa, in modo concretamente idoneo ad indurre in errore i destinatari delle comunicazioni, pertanto non vi può essere possibilità di identificazione con il reato di truffa e i due reati possono concorrere tra loro, non sussistendo alcun rapporto di specialità tra le rispettive fattispecie.
Autore: Giovanni Tringali