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Diritti umani: problematiche costituzionali e di giustizia penale internazionale

Analisi della normativa internazionale, rilevanza costituzionale dei diritti umani, problemi di giustizia penale internazionale e profili di carattere giurisprudenziale


Avv. Federica Federici
f.federici@studiolegalefederici.it

DIRITTI UMANI: PROBLEMATICHE COSTITUZIONALI E DI GIUSTIZIA PENALE INTERNAZIONALE

Sommario: 1. La normativa internazionale e le convenzioni in materia di diritti umani. – 2. Rilevanza costituzionale della tutela dei diritti umani: in particolare l'Unione Europea. – 3. Aspetti peculiari della governance europea. – 4. Diritto internazionale penale e problemi di giustizia penale internazionale. – 5. Profili di carattere giurisprudenziale: tutela dei diritti umani e organismi internazionali.

1. La normativa internazionale e le convenzioni in materia di diritti umani

In seguito ai gravi crimini commessi durante la guerra, quali lo sterminio degli ebrei, le deportazioni di massa, l' imposizione di lavori forzati, la comunità internazionale sentì l'esigenza di punire i criminali nazisti responsabili di enormi atrocità, in relazione alle quali per la prima volta si parlò concretamente di crimini internazionali e di responsabilità degli individui.

L'occasione fu offerta dai processi di Norimberga e Tokio, istituiti proprio con la finalità di condannare i criminali nazisti, ed i cui Statuti prevedevano tre figure di crimini: i crimini di guerra, i crimini contro la pace ed i crimini contro l'umanità.

I crimini internazionali, in relazione ai gravi avvenimenti verificatisi nella ex Jugoslavia ed in Ruanda, Paesi nei quali in concomitanza con la guerra sono state compiute barbarie tali, quali genocidi, pulizie etniche, torture, da non colpire solamente il singolo Paese, ma l'intera comunità internazionale.

La pressante esigenza di non lasciare impuniti i responsabili di simili azioni ha indotto l'intera umanità ad interrogarsi sulla necessità di istituire forme di giurisdizione sopranazionali, posto che l'attribuzione ad organi giurisdizionali interni della competenza a reprimere tali crimini potrebbe, di fatto, risultare insoddisfacente per diversi motivi: arretratezza economica, sociale, culturale della comunità statale; non perfetta indipendenza dei giudicanti e quindi non completa imparzialità, rispetto al potere politico, economico o religioso[1].

Tale nuovo orientamento è stato seguito dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, il quale, al fine di giudicare i responsabili dei crimini commessi nella ex Jugoslavia e nel Ruanda, ha istituito due Tribunali penali internazionali con una giurisdizione limitata sia nel tempo, che per materia[2].

Massima realizzazione del diritto internazionale penale sarebbe un generale riordinamento delle fonti, attraverso una codificazione con il pieno recepimento del principio di legalità e la creazione di una giurisdizione penale internazionale permanente.

In questo senso un notevole passo avanti si è avuto con la Conferenza dei plenipotenziari tenutasi a Roma dal 15 giugno al 17 luglio 1998 e che si è conclusa con l'approvazione dello statuto, che istituisce la Corte penale internazionale permanente[3].

Lo Statuto all'art. 126 prevede che la Corte entri in funzione quando almeno sessanta Stati l' abbiano ratificato. Tale obiettivo è stato raggiunto e superato lo scorso 11 aprile 2002 grazie alle ratifiche di dieci Stati, che hanno permesso di raggiungere il numero di sessantasei ratifiche [4].

Il diritto penale internazionale costituisce il massimo presidio e garanzia del rispetto dei diritti dell'uomo, oggi calpestati e soffocati in ogni continente.

La normativa penale internazionale, dunque, costituisce quel complesso di norme del diritto internazionale generale, che sanciscono la responsabilità penale degli individui per quei fatti che turbano l'ordine pubblico internazionale e costituiscono crimini contro il diritto delle genti [5].

Come la legge penale nazionale è lo strumento più efficace di tutela dei delitti che vengono commessi nell'ordine interno, sempre che esista un'organizzazione statale capace di reprimerli, così il diritto internazionale penale dovrebbe servire a raggiungere con la sua giustizia quei crimini che, pur offrendo interessi fondamentali dell'uomo, non vengono repressi nei paesi dove vengono commessi, talvolta anche ad opera di pubblici poteri, quali capi di Stato e capi di governo o sono perpetrati in territori sottratti, per cause di guerra o di guerra etnica o di guerra civile, ad ogni giurisdizione di carattere statale.

E' chiaro che il diritto internazionale generale, che si richiama all'ordine internazionale turbato e alla violazione delle leggi dell'umanità, ha di mira soprattutto le violazioni più gravi dei diritti dell'uomo, gli attentati alla vita, alla dignità, alla libertà e alla sicurezza di singoli individui o di gruppi perseguitati.

Alla creazione su basi sempre più solide e certe di questo diritto internazionale generale studiosi e istanze internazionali si dedicano da anni, in particolare da quando, in occasione dei processi di Norimberga e di Tokio e degli altri processi minori, ma numerosi ad essi collegati, si gettarono con relative Carte e statuizioni le basi di un sistema di giustizia per i crimini contro l'umanità.

Uno strumento necessario per disciplinare la tutela dei diritti umani in ambito internazionale è la convenzione.

Prima di tutto si deve chiarire che una convenzione sui diritti umani è un accordo internazionale legalmente vincolante tra Stati o paesi, che definisce alcuni princìpi relativi alla tutela di un insieme di diritti umani, e stabilisce i parametri di condotta ai quali i governi si devono attenere per rispettarli[6].

Le convenzioni vengono chiamate anche trattati o patti.

Ratificando o approvando una convenzione, uno Stato si impegna a garantire ad ogni persona che si trova nel proprio territorio l'esercizio dei diritti umani da essa definiti.

Come noto nel 1948, la neonata ONU proclamò la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (UDHR Universal Declaration of Human Rights), che descrive con eloquenza i diritti inalienabili ed inviolabili di tutti i membri della famiglia umana. Tuttavia, poiché la dichiarazione non aveva valore giuridico, è stato necessario tradurne i princìpi in trattati legalmente vincolanti per i paesi che li ratificano.

Da questo processo sono emerse due convenzioni, chiamate patti, che distinguono i diversi tipi di diritti umani: i diritti civili e politici, che i paesi stabilirono di proteggere immediatamente, ossia il Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici, ed i diritti economici, sociali e culturali, che i paesi promisero di garantire nel corso del tempo, ossia il Patto Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali. Queste due convenzioni, insieme all'originale UDHR, compongono quella che viene definita la Carta Internazionale dei diritti umani.

Le convenzioni seguenti sono un'elaborazione della Carta Internazionale dei Diritti Umani, in quanto si concentrano più approfonditamente su aree specifiche. Ad esempio, mentre la Carta Internazionale dei Diritti Umani tratta il tema della tortura, è però la Convenzione contro la tortura a definire tutele più specifiche in materia.

Inoltre, alcune convenzioni sui diritti umani hanno protocolli facoltativi o ulteriori accordi, in aggiunta al testo principale. Questi protocolli possono allargare la tutela dei diritti umani prevista dalla convenzione, o istituire ulteriori meccanismi per garantire l'applicazione del trattato nel suo insieme, in particolare tramite la presentazione di denunce in caso di violazioni.

I protocolli facoltativi dei trattati in materia di diritti umani sono essi stessi dei trattati internazionali, soggetti alla firma, ratifica o adesione da parte degli stati che hanno sottoscritto il trattato in questione.

Quando l'ONU adotta una convenzione, quest'ultima viene presentata a tutti i suoi Stati membri. Uno Stato può firmare una convenzione, esprimendo così la propria intenzione di attenervisi, ma la convenzione assume un carattere legalmente vincolante solo dopo essere stata ratificata o approvata secondo le procedure legali del paese in questione [7]. Se un paese non ha ratificato una convenzione sui diritti umani o non vi ha aderito, non è legalmente vincolato a rispettare gli obblighi in essa enunciati.

Ciascuna convenzione deve essere ratificata da un certo numero di paesi, prima di entrare in vigore, o diventare legge.

Uno Stato può firmare o ratificare una convenzione in un momento successivo al primo periodo di apertura alle firme, e questo processo si chiama adesione. In quel momento, lo Stato in questione può anche esprimere una riserva. Si tratta di una dichiarazione in cui si dice che il suddetto Stato non è in accordo con alcune norme della convenzione e, di conseguenza, non è legalmente obbligato a rispettare le parti della convenzione che contengono tali norme[8].

Le riserve, tuttavia, non possono essere incompatibili con lo scopo generale della convenzione e ci sono trattati sui diritti umani che non sono aperti a possibili riserve, poiché coprono diritti umani considerati troppo fondamentali per consentire deroghe. Se, in qualunque momento, uno Stato decide di non essere più in accordo con l'intento complessivo di una convenzione, può dichiararlo formalmente o ritirare la propria adesione, a condizione di dare un preavviso alle Nazioni Unite.

Per sapere se il proprio paese sostiene una determinata convenzione sui diritti umani, bisogna appurare che esso abbia:

· ratificato la convenzione o vi abbia aderito,

· espresso delle riserve, o ritirato delle riserve,

· denunciato la convenzione o ritirato la propria adesione,

· ratificato i protocolli facoltativi della convenzione o aderito ad essi.

Vediamo ora come si impone il rispetto delle convenzioni.

In particolare le procedure dell'ONU per imporre il rispetto della legislazione internazionale in materia di diritti umani sono molto differenti da quelle seguite dagli Stati per imporre il rispetto delle leggi nazionali.

Non esiste una forza di polizia internazionale per le violazioni dei diritti umani e non ci sono tribunali internazionali permanenti ai quali i cittadini si possano rivolgere per presentare denuncia contro i propri governi.

La Corte Internazionale di Giustizia dell'Aja accoglie le denunce degli Stati, non quelle dei singoli cittadini.

Nel luglio del 1998, a Roma, grazie ai voti di 120 paesi, è stato approvato un trattato per l'istituzione di una Corte Penale Internazionale.
Pertanto, più che su strumenti giudiziari, il sistema attuale si fonda sostanzialmente sull'esercizio di pressioni politiche per ottenere l'applicazione della legislazione in materia di diritti umani, e sull'assunzione di responsabilità da parte degli Stati e non dei singoli cittadini nei confronti delle violazioni dei diritti umani [9].

Considerate le costanti violazioni dei diritti umani da parte degli Stati stessi, vennero promulgate dalle Nazioni Unite, successivamente, molteplici convenzioni: contro il genocidio, le discriminazioni razziali, le discriminazioni nei confronti delle donne, sui diritti politici alle donne, contro la schiavitù e le istituzioni o pratiche assimilabili alla schiavitù, contro il traffico e lo sfruttamento della prostituzione altrui, contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradati, sui diritti del fanciullo, per la protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie, contro la discriminazione nell'educazione, sullo status dei rifugiati, sullo status degli apolidi.

Tra tutte queste carte e convenzioni internazionali emerge e resta ancor oggi la più importante e avanzata, la convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'Uomo e delle libertà fondamentali, del 4 novembre 1950, che viene comunemente chiamata la Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, ma la sua caratteristica primaria ed essenziale risiede proprio nella funzione programmatica del termine, ossia “la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo”, anche in considerazione del fatto che questa convenzione non si limitava all'enunciazione astratta dei diritti ivi garantiti, ma prevedeva anche una corte internazionale di controllo sugli stati che l'avessero accettata.

Oggi con l'Unione Europea, tutti gli stati membri del consiglio d'Europa sono soggetti alla lettera-denuncia inviata da coloro che hanno visto negati i loro diritti fondamentali da parte dei giudici dello Stato di appartenenza. Sulla base di questa semplice lettera-denuncia la Corte, all'esito della procedura, può condannare lo Stato che ha violato i diritti umani nei confronti di questa persona.

Pertanto la vera rivoluzione di questa Convenzione europea risiede proprio nella giustiziabilità internazionale delle norme della stessa convenzione Europea dei diritti dell'Uomo, con la possibilità di ottenere, da parte di una corte internazionale, una condanna a carico degli stati per eventuali violazioni da loro commesse in danno delle persone sottoposte alla loro giurisdizione e potere autioritativo.

La condanna comporta anche una sanzione di contenuto economico satisfattivo e risarcitorio per la persona riconosciuta come vittima.

Per tale sua giustiziabilità, la Convenzione Europea dei diritti dell'Uomo rappresenta quasi l'inizio di una nuova epoca, soprattutto prima e dopo la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo.

Tutte le altre Carte e Convenzioni internazionali, fino a quando non hanno previsto un sistema di giustiziabilità internazionale più o meno perfetto, sono rimaste allo stadio della mera pronuncia di buoni propositi, perché lo stato sovrano, anche se non proprio il dittatore, potrà sempre imporre ai suoi giudici leggi che negano nella sostanza i diritti fondamentali della persona.

Nel 1986 è entrata in vigore anche la Carta africana dei diritti degli uomini e dei popoli, la quale ha istituito un'apposita Commissione, i cui poteri sono comunque piuttosto limitati, concretandosi nella trasmissione di rapporti “confidenziali” ai singoli Capi di Stato o ai singoli Governi e all'esame di comunicazioni relative a violazioni della Carta stessa.

La prima parte della Carta è dedicata ai diritti e ai doveri dell'uomo, mentre la seconda parte alle misure di controllo.

Accanto a queste Convenzioni e a questi Patti relativi alla tutela dei diritti umani, esiste tutta una normativa internazionale relativa ai crimini contro l'umanità in tempo di guerra e in tempo di pace, il cui nucleo principale è rappresentato dalle varie Convenzioni di Ginevra[10] e Protocolli annessi[11].

La Commissione europea dei diritti umani, che ha sede a Strasburgo, è un organo indipendente dagli Stati. I membri della Commissione, uno per ogni Stato contraente la Convenzione, vi siedono solo a titolo personale, non rappresentando i governi nazionali; sono eletti ogni sei anni dal comitato dei Ministri del consiglio d'Europa[12].

La Commissione può essere adita, per violazioni della Convenzione europea dei diritti umani imputabili ad uno stato contraente, tramite ricorso. Il ricorso può essere proposto:

- da uno Stato contraente ai sensi dell'art. 21: i ricorsi statali sono poco numerosi. Si possono ricordare ad esempio i ricorsi contro la Grecia, al tempo del “regime dei colonnelli”, i ricorsi dell'Irlanda contro la Gran Bretagna ed i ricorsi di Cipro contro la Turchia per l'occupazione di una parte dell'isola;

- dagli individui, gruppi di individui, associazioni non governative ai sensi dell'art. 25, quando la violazione sia avvenuta sul territorio di uno degli stati membri. E' irrilevante la cittadinanza dell'individuo, avendo priorità la protezione della persona umana[13].

Già con riferimento alle Convenzioni di Ginevra ed ai Protocolli aggiuntivi, invero, la dottrina aveva avuto modo di mettere in luce le dissonanze fra la normativa interna e quella internazionale[14].

L'esigenza dell'adeguamento della legislazione interna, peraltro, sembrerebbe confermata ed “amplificata” proprio dai recenti sviluppi del diritto penale internazionale.

Gli Statuti e soprattutto la giurisprudenza dei Tribunali internazionali ad hoc, infatti, hanno posto in luce quelli che sono i temi “caldi” del diritto penale internazionale, ed hanno risvegliato un inaspettato interesse per il diritto penale bellico a lungo considerato una branca del diritto penale priva di operatività.

2. Rilevanza costituzionale della tutela dei diritti umani: in particolare l'Unione Europea.

La tutela dei diritti umani assume particolare rilievo nelle Carte Costituzionali degli Stati.

In particolare nell'Unione Europea, che è nel pieno della sua fase di sviluppo e di crescita ed ha avuto modo di maturare la convinzione del fatto che un reale progresso verso la pace, il benessere e la giustizia si potrà conseguire soltanto nella misura in cui i particolarismi nazionali verranno subordinati all'edificazione di una salda unione politica ed economica.

Per realizzare ciò, l'Unione si serve del c.d.“metodo comunitario”[15], il solo strumento capace di garantire nello stesso tempo il rispetto della diversità e l'efficacia dell'Unione, che cerca di assicurare un trattamento equo a tutti gli Stati membri, dal più grande al più piccolo e di conciliare interessi diversi attraverso due filtri successivi: quello dell'interesse generale a livello della Commissione e quello della rappresentanza democratica, europea e nazionale, a livello del Consiglio e del Parlamento Europeo, che sono gli organi legislativi dell'Unione.

Tutte le istituzioni comunitarie devono tornare ad impegnarsi su quelli che sono i propri compiti essenziali: la Commissione propone e dà esecuzione alle politiche del Consiglio e il Parlamento europeo controlla l'esecuzione del bilancio e delle politiche dell'Unione, al fine di riuscire a migliorare le iniziative di carattere politico.

L'Unione Europea deve saper utilizzare i poteri che i cittadini le hanno conferito sia attraverso l'apertura del processo di elaborazione delle politiche ad una maggiore partecipazione e responsabilizzazione sia avvicinandosi ai propri cittadini e rafforzando l'efficacia delle proprie politiche.

Il metodo comunitario in argomento sarà rafforzato attraverso l'individuazione di un migliore equilibrio tra gli strumenti delle politiche, quali la legislazione, il dialogo sociale, i finanziamenti strutturali ed i programmi di azione.

Tutti gli individui, infatti, sono tenuti a collaborare e ad operare al fine di costruire l'Europa, sulla base di un principio fondamentale, insito nell'uomo, riconosciuto, altresì, dal disposto dell'art. 11 della vigente Costituzione, che consente allo Stato italiano di limitare la propria sovranità, purché in condizioni di parità con gli altri Stati, per promuovere e favorire le organizzazioni internazionali, rivolte a creare un ordinamento, che assicuri la pace e la giustizia tra le Nazioni.

A riguardo è il caso di ricordare la recente riforma del Titolo V della nostra Costituzione, introdotta dalla legge costituzionale n. 1/2003.

In particolare il nuovo testo dell'art. 117 della nostra Carta Fondamentale individua tassativamente alcuni limiti all'esercizio della potestà legislativa propria dello Stato e delle Regioni. Tali limiti sono costituiti non solo dal rispetto della Costituzione, che impone la conformità alla normativa che tutela tutti i diritti dell'individuo da essa riconosciuti inviolabili e tutelati, ma anche dai vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario, nonché dagli obblighi internazionali. Ciò vuol dire che ai sensi della Costituzione della Repubblica italiana il complesso di norme che disciplina l'organizzazione dell'Unione Europea è riconosciuto come gerarchicamente sovraordinato rispetto a quello che regola lo Stato nazionale e le relative Regioni, segnando un importante momento di crescita dello Stato comunitario.

I membri della collettività organizzata dei Paesi Europei, infatti, hanno il dovere morale di cercare di spiegare alle persone, che si manifestano tendenzialmente avverse a riconoscere la validità dell'Unione Europea, che il bene dell'individuo, come singolo e come componente della collettività, si realizza con il bene della collettività medesima e viceversa[16], quindi per la crescita e per l'evoluzione del nostro popolo è utile e doveroso lavorare per il miglioramento di tutta l'Europa, rispettando con serenità le norme sancite dallo Stato Europeo.

Solo sulla base della consapevolezza della validità di tali principi sarà possibile capire ed apprezzare i benefici, che derivano dall'essere cittadino europeo, sarà facile credere nell'Europa e contribuire attivamente a costruirla e arrivare a garantire effettività alla tutela dei diritti umani.

A riguardo, molto importante è anche il contributo del Papa, volto a sollecitare le menti umane ad arricchire la concezione classica della Comunità internazionale come un concerto di Stati sovrani, per fare in modo che in essa si operi al fine di rendere un servizio alla Comunità umana universale intesa anche come famiglia delle genti.

Un'espressione manifesta di questo è l'apporto finalizzato a proporre di incardinare, accanto ai principi classici della coesistenza e della cooperazione tra gli Stati, quello della solidarietà.

Giovanni Paolo II, fin dalla Sua prima enciclica “Redemptor hominis” del 4 marzo 1979, ha ripreso l'idea del Concilio Vaticano II della “regalità” di tutti gli uomini, discendente dal fatto che ciascuno di essi è stato creato ad immagine e somiglianza di Dio. In tale peculiarità degli esseri umani sta il saldo punto di partenza della Sua visione dell'unità di tutto il genere umano e della dignità di ciascuno dei suoi componenti.

Sulla base di tali valori prende avvio non solo lo sforzo del Sommo Pontefice di promuovere una sollecitudine di ogni essere umano verso tutti gli altri atta a dare luogo ad uno sviluppo economico dei popoli programmato in termini universali e solidali, ma anche il contatto che ricerca in modo infaticabile con le istituzioni internazionali e con tutte le persone di buona volontà[17] .

Per tutti gli individui il primo e fondamentale valore da tutelare e da rispettare è quello della persona umana e nell'Unione Europea, più che in altre parti del mondo, la vita umana è tutelata dall'ordinamento giuridico[18].

I diritti della persona, infatti, vengono prima di quelli dello Stato, in quanto ai sensi dell'articolo 1 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea, proclamata il 7 dicembre 2000, “la dignità umana” è definita “inviolabile” e “deve essere rispettata e tutelata”.

La persona umana è la “causa” e nello stesso tempo il fine ultimo dell'attività statuale[19], quindi la concezione europeista del diritto pone la persona e dopo di essa le comunità intermedie più in alto dello Stato.

A riguardo possiamo menzionare l'art. 2 della medesima Carta dei Diritti Fondamentali, che tutela il diritto alla vita di ogni individuo.

Il primato della responsabilità personale deve essere riaffermato anche in ambito sociale, poiché è auspicabile che i cittadini europei collaborino alla costruzione di un'Europa dei popoli, dei cittadini, degli uomini e delle donne, di un'Europa riconciliata e capace di riconciliare, di un'Europa dello spirito edificata su solidi principi morali e per questo in grado di offrire a tutti e a ciascuno spazi autentici di libertà, di solidarietà, di giustizia e di pace.

La cultura della Comunità Economica Europea, infatti, si potrà costruire solo dopo che le coscienze siano state previamente educate[20].

Anche se i membri dell'Unione sono determinati a conservare le proprie diverse lingue nazionali, i retaggi, le identità, nello stesso tempo si stanno unendo e amalgamando non a causa di un dittatore o di un conquistatore, quindi non a causa di un potere superiore, ma per via di una comune convinzione che un'Unione Europea forte e vitale soddisferà meglio i rispettivi interessi nazionali, a prescindere dall'ampiezza delle trasformazioni globali previste per il prossimo secolo.

La Carta dei diritti fondamentali, infatti, trova il suo fondamento non solo nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, proclamata dall'Assemblea delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948, ma anche nella volontà degli Stati Europei di realizzare un'unione più stretta attraverso la salvaguardia e lo sviluppo dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà fondamentali.

Per progredire verso forme di integrazione sempre maggiori rispetto all'area di libero scambio è necessario dare vita ad un'unione nella quale, oltre all'assenza di barriere doganali al suo interno, vi sia non solo libertà di movimento dei servizi e dei fattori della produzione, ma anche politiche comuni attivate in settori importanti per il processo di integrazione e le cui linee di azione devono essere definite e portate avanti da un organismo indipendente, in grado cioè di assumere decisioni non a difesa delle posizioni di uno o più Paesi, ma nell'interesse dell'intera Comunità[21].

E' importante ricordare le radici cristiane dell'Unione europea ed è auspicabile che essa costituisca un modello di valori a cui si ispirino le regole destinate a disciplinare la globalizzazione dell'economia.

L'Unione Europea, infatti ha portato a sintesi gli elementi essenziali del messaggio cristiano realizzando uno spazio unico di libertà in una prospettiva di mutua cooperazione e arricchimento culturale.

E' viva in tutti noi la speranza che la coniugazione tra libertà e solidarietà realizzata dall'Unione Europea possa costituire il modello concreto sulle cui linee le organizzazioni internazionali e regionali ed i governanti, con il concorso di tante persone e di tanti gruppi di buona volontà, procedano nella realizzazione di un nuovo mondo veramente civile.

Gli organismi che, sia pure a fatica, si stanno sforzando di governare l'inesorabile avanzata della globalizzazione dell'economia, dovranno riuscire ad incorporare, nell'applicazione delle regole che sono chiamati a far rispettare, quei valori, in piccola misura di origine cristiana, che fanno parte dell'acquis comunitario[22], e, come sopra evidenziato, hanno al centro l'individuo come causa e fine dell'attività statuale dell'Unione Europea.

In particolare nell'Unione Europea sono tutelati i diritti fondamentali delle persone. Vediamo ora un breve percorso storico, che ha portato alla firma della “Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali”.

Alla fine del secondo conflitto mondiale, risultava necessaria l'elaborazione di un ordine internazionale, volto alla tutela dei diritti umani; tale esigenza rappresentava alla fine delle ostilità una condizione necessaria, non più per gli interessi dei singoli Stati, bensì per assicurare la pace e la sicurezza a livello internazionale[23]. Con la firma dello Statuto delle Nazioni Unite il 26 giugno 1945, l'osservanza dei diritti umani diviene un interesse dell'intera comunità internazionale[24].

Il diverso modo di intendere le relazioni internazionali e la stessa necessità di recuperare i principi di democrazia e di rispetto dei diritti dell'uomo persi nel corso della II Guerra Mondiale, si sentì anche a livello europeo. Tutto ciò si concretizza con la firma a Londra, il 5 maggio 1949, dello Statuto del Consiglio d'Europa[25]. Con tale atto, il principio di non interferenza in materia di diritti umani ha subito un rapido declino sino a tramontare del tutto attraverso la Dichiarazione politica adottata a Vienna, il 20 marzo 1985, dagli Stati membri del Consiglio d'Europa, con cui è stato stabilito che “la protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali costituisce un legittimo e urgente interesse della comunità internazionale e dei suoi membri” e che la “manifestazione di interesse per l'osservanza di tali diritti e di libertà da parte di un determinato Stato non possono essere considerate un'interferenza negli affari interni di quello Stato”.

Scopo del Consiglio d'Europa, oltre alla promozione dei principi di cui sopra, è anche, come afferma l'articolo 1, di favorire il progresso economico degli Stati Membri. Si può affermare che il Consiglio d'Europa si caratterizza per una duplice finalità, vale a dire quella di salvaguardia e quella di sviluppo dei diritti e delle libertà, la prima per evitare che l'esercizio arbitrario dei pubblici poteri possa lederli, il secondo per ampliarne i contenuti e rendere l'osservanza degli stessi soggetta al controllo di organi internazionali[26]. Inoltre, attraverso la firma di tale accordo, gli Stati membri si impegnano anche ad accettare il principio della preminenza del diritto e del godimento, da parte di chi è soggetto alla loro giurisdizione, dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali[27].

Successivamente a Roma, nel 1950 è stata sottoscritta la “Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali”, ratificata successivamente dagli Stati membri del Consiglio d'Europa, ed è un trattato che si caratterizza per la sua natura in quanto istituisce un ordinamento dotato di un proprio organo di produzione giuridica, costituito dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo con sede a Strasburgo. Lo Statuto delle CEDU ha inoltre istituito l'organo esecutivo della stessa che è il Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa, cui spetta in particolar modo di sorvegliare l'operato dei Governi in fase di esecuzione delle sentenze della Corte.

La Convenzione si prefigge di tutelare i diritti fondamentali dell'individuo, sia di contenuto positivo che negativo quali ad esempio il diritto alla vita o il divieto della tortura e di pene o trattamenti disumani o degradanti.

Come si evince da quanto sopra esposto, la tutela dei diritti fondamentali della persona costituisce uno dei principi su cui si fonda l'Unione Europea e nello stesso tempo il presupposto per costituire la sua legittimità.

La “Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali” è il risultato di una delle più significative iniziative assunte dal Consiglio d'Europa ed insieme ai protocolli aggiuntivi, costituisce una sorta di “Magna Charta” a livello europeo dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali.

La Convenzione si apre proclamando il diritto alla vita, alla libertà, alla sicurezza di ogni individuo, prosegue occupandosi delle libertà negative come la libertà di pensiero, la libertà di espressione, la libertà di riunione e di associazione, ma anche di diritti soggettivi, quali il diritto di proprietà, il diritto all'istruzione, il rispetto dei diritti della difesa, il diritto ad un giusto processo. Di notevole rilievo è il sesto Protocollo aggiuntivo del 1983, nel quale si prevede l'abolizione della pena di morte.

Al fine di garantire il rispetto delle proprie norme, la Convenzione prevede l'istituzione della Commissione europea dei diritti dell'uomo e la Corte europea dei diritti dell'uomo.

Rilevante è stato l'apporto della Corte di Giustizia delle Comunità Europee.

Nei primi anni, la Corte, in alcune sentenze, aveva sottolineato la limitazione della propria competenza all'interpretazione del diritto comunitario e l'irrilevanza dei parametri nazionali, anche costituzionali, con l'intento di far risaltare l'autonomia e il primato del diritto comunitario sul diritto interno[28].

A partire dal 1969 la Corte riconosce[29] che i diritti fondamentali, quali risultano dalle tradizioni costituzionali, comuni agli Stati membri e dalla Convenzione Europea sulla salvaguardia dei diritti dell'uomo, fanno parte dei principi giuridici generali di cui essa garantisce l'osservanza.

La Giurisprudenza della Corte ha portato alla codificazione di questi principi nel Trattato di Maastricht del 1992: all'art. 6, paragrafo 1, si afferma che l' Unione Europea "si fonda sui principi di libertà, democrazia, rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, e dello stato di diritto, principi che sono comuni agli Stati membri"; allo stesso articolo, paragrafo 2, si stabilisce che "l'Unione è tenuta a rispettare i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 Novembre 1950 e quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri in quanto principi generali del diritto comunitario".

Inoltre, grazie alla creazione della cittadinanza europea ad opera dello stesso Trattato, che ha introdotto una serie di diritti civili e politici, il rapporto tra i cittadini degli Stati membri e l'Unione Europea è diventato più diretto.

In particolare il Trattato di Maastricht del 1992[30] ha introdotto nuove forme di cooperazione tra i governi degli Stati membri, ad esempio in materia di difesa e nel settore “giustizia e affari interni”, aggiungendo questa forma di cooperazione intergovernativa al sistema “comunitario” esistente, creando così l'Unione Europea (UE), fondata su tre pilastri: l'unione economica e monetaria, la politica estera e di difesa comune, nonché la cooperazione nella giustizia e affari interni.

Successivamente, il Trattato di Amsterdam del 2 ottobre 1997 accentua il rilievo dei principi generali, segnatamente quanto alla tutela dei diritti fondamentali e in genere di tematiche attinenti al trattamento e ai rapporti con i cittadini.

Rispetto ai Trattati in vigore, qualche differenza si può rilevare già per quanto riguarda l'ispirazione, o meglio, la stessa "filosofia" del nuovo testo. Mentre il Trattato di Mastricht è più attento ai profili monetari, quello di Amsterdam dà rilievo ai profili in senso molto lato sociali.

Più specificamente il Trattato di Amsterdam conferisce un particolare rilievo al principio di non discriminazione nelle sue diverse manifestazioni: viene confermato nella sua tradizionale formulazione rispetto alle discriminazioni fondate sulla nazionalità e viene esteso alle discriminazioni fondate sul sesso, sulla razza o origine etnica, sulla religione, sull'handicap, sull'età o sulle tendenze sessuali.

Il Trattato medesimo ha introdotto, altresì, all'art. 7, una procedura sanzionatoria a carico degli Stati membri che non rispettino i suddetti principi.

Un nuovo slancio al cammino comunitario è stato dato dall'approvazione della Costituzione per l'Europa, avvenuta durante il vertice di Bruxelles del 18 giugno 2004 da parte dei capi di Stato e di governo dei 25 Paesi, quali Austria, Belgio, Cipro, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Grecia, Irlanda, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Olanda, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia, Ungheria.

Il testo del Trattato costituzionale europeo unifica in un documento organico tutti i precedenti trattati, da quelli più lontani, come quello di Roma del 1957 fino ai più recenti di Maastricht e Nizza.

Il Trattato di Nizza[31] svoltosi dal 7 al 9 dicembre 2000 ha segnato la firma congiunta da parte dei Presidenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea.

La Costituzione europea firmata a Roma il 29 ottobre 2004, dovrà essere ratificata da tutti i 25 Paesi membri dell'Unione: alcuni Stati lo faranno per via parlamentare, altri con referendum popolare, comunque, una volta ratificata dagli Stati, entrerà in vigore a partire dal 2009.

3. Aspetti peculiari della governance europea

Alla luce delle riflessioni di cui sopra, si può affermare che la tutela concreta dei diritti fondamentali della persona non solo costituisce uno dei principi fondatori dell'UE e delle costituzioni democratiche in genere e nello stesso tempo il presupposto per fondare la legittimità degli ordinamenti costituzionali stessi.

In particolare è basilare il concetto di “governance” designa le norme, i processi e i comportamenti che influiscono sul modo in cui le competenze sono esercitate a livello europeo, soprattutto con riferimento ai principi di apertura, partecipazione, responsabilità, efficacia e coerenza.

Per affrontare qualsiasi sfida, alla base di una buona governance troviamo tali principi, che costituiscono il fondamento della democrazia e del principio di legalità, applicabili a tutti i livelli di governo: globale, europeo, nazionale, regionale e locale.

Attraverso l'apertura le istituzioni europee sono in grado di operare in modo più aperto, vale a dire si adoperano attivamente insieme agli Stati membri per spiegare meglio con un linguaggio accessibile e comprensibile al grande pubblico che cosa fa l'Unione europea e in che consistono le decisioni che essa adotta.

Tale principio riveste particolare importanza se si vuole accrescere la fiducia dei cittadini in istituzioni complesse.

Con un'ampia partecipazione, assicurata lungo tutto il percorso, dalla prima elaborazione all'esecuzione, si potrà potenziare la qualità, la pertinenza e l'efficacia degli interventi politici dell'Unione. Con una maggiore partecipazione sarà possibile aumentare la fiducia nel risultato finale e nelle istituzioni da cui emanano tali politiche. Per ottenere una maggiore partecipazione è indispensabile che le amministrazioni centrali lavorino per interessare i cittadini all'elaborazione e all'attuazione delle politiche dell'Unione.

Ogni istituzione appartenente all'Unione deve spiegare con chiarezza ai cittadini quale è il suo ruolo in Europa e deve assumere la responsabilità di competenza all'interno dei processi legislativi ed esecutivi. Esiste una particolare esigenza di maggiore chiarezza e maggiore responsabilità anche da parte degli stati membri e di tutti coloro che partecipano, a qualsiasi livello, all'elaborazione e all'attuazione delle politiche dell'Unione.

Le politiche dell'UE devono inoltre essere efficaci e tempestive, è necessario che producano i risultati richiesti in base a obiettivi chiari, alla valutazione del loro impatto futuro e, ove possibile, delle esperienze acquisite in passato. Per la loro efficacia, è necessario inoltre che le politiche siano attuate secondo proporzionalità e le decisioni siano adottate al livello più opportuno.

Le politiche e gli interventi dell'Unione devono essere coerenti e di facile comprensione. Si avverte una crescente esigenza di coerenza. La gamma dei compiti da assolvere è andata ampliandosi; l'allargamento dell'Unione accentuerà le differenze; sfide quali il cambiamento climatico e il calo demografico superano i confini delle politiche settoriali sulle quali è costruita l'Unione, le autorità regionali e locali sono sempre più coinvolte nelle politiche dell'UE. La coerenza richiede una leadership politica e una decisa assunzione di responsabilità da parte delle istituzioni, tali da assicurare un'impostazione coerente all'interno di un sistema complesso.

I cinque principi sopra menzionati sono importanti non solo singolarmente, ma anche collettivamente, in quanto nessuno di essi può essere conseguito con azioni separate. Non è più possibile garantire l'efficacia delle politiche dell'Unione senza un maggiore coinvolgimento di tutti nella loro elaborazione, applicazione ed attuazione.

L'applicazione dei valori di apertura, partecipazione, responsabilità, efficacia e coerenza va a sostegno dei principi di proporzionalità e di sussidiarietà. Infatti dalla prima elaborazione di una politica alla sua esecuzione, la scelta del livello al quale intervenire, dal livello comunitario a quello locale, e degli strumenti da utilizzare, deve essere proporzionata agli obiettivi perseguiti. Ciò vuol dire che quando si avvia un'iniziativa è fondamentale verificare sistematicamente se un'azione pubblica è veramente necessaria, se il livello europeo è quello più opportuno, e se le misure proposte sono proporzionate agli obiettivi.

Anche l'Unione cambia, poiché i settori di sua competenza spaziano dalla politica estera alla difesa, dall'immigrazione alla lotta contro la criminalità. L'Unione sta ampliandosi con la prevista adesione di nuovi membri, e non sarà più giudicata soltanto per la sua capacità di eliminare le barriere agli scambi o di portare a compimento il mercato unico, ma la sua legittimità dipende oggi dalla partecipazione e dal coinvolgimento di tutti. Ciò significa che il modello lineare, secondo il quale le politiche sono adottate ed imposte dall'alto, deve essere sostituito con un “circolo virtuoso”,basato sul feedback e su una partecipazione a tutti i livelli, dalla definizione delle politiche fino alla loro attuazione.

Alla luce di quanto sopra evidenziato emerge senza equivoco il fatto che la preoccupazione principale dell'Unione Europea è porre gli individui e i loro interessi al centro del processo di integrazione europea.

La politica regionale di coesione comunitaria ha in potenza la capacità di apportare un valore aggiunto rispetto alle singole politiche nazionali, non solo perché realizza un principio di solidarietà fra regioni di Paesi diversi, che è proprio delle finalità dell'Unione, ma anche perché può consentire un coordinamento fra le diverse strategie nazionali, una contaminazione e diffusione di metodi tra queste ultime, nonché una maggiore rispondenza alle politiche di ogni singolo paese. Ciò sarà possibile, come abbiamo sopra evidenziato, dando effettiva attuazione ai principi base del metodo europeo, quali la semplificazione delle procedure, la sussidiarietà e la proporzionalità dei controlli, la valutazione, il coinvolgimento del settore privato, la concentrazione territoriale, l'integrazione, il parternariato, la premialità.

Lo Stato comunitario interviene a garantire la tutela dei diritti fondamentali degli individui operando in vari settori di attività della vita umana, come in quello dell'istruzione, del lavoro, del commercio e dell'economia in genere.

Tutti noi ci auguriamo che, sia pure a lungo termine, la collettività riesca non solo ad apprezzare gli interventi che lo Stato comunitario pone in essere attraverso i propri organi legislativi, amministrativi e giurisdizionali, al fine di sollevare gli individui dal bisogno e garantire a questi ultimi l'effettiva tutela dei propri diritti fondamentali e diritti di libertà, ma anche a collaborare attivamente con lo Stato comunitario medesimo per il perseguimento dei fini che quest'ultimo si propone di raggiungere.

E' necessario che le istituzioni europee e gli Stati membri collaborino al fine di governare insieme nel migliore dei modi. Ciò vuol dire che Parlamento, Consiglio e Commissione sono tenuti a cooperare attivamente con i governi nazionali, affinché i cittadini si riconoscano il più possibile sia nei progetti più importanti, che negli atti quotidiani dell'Unione.

Quest'ultima, infatti, utilizza bene i propri poteri nel momento in cui si avvicina ai cittadini e per realizzare questo deve accrescere la partecipazione dei cittadini medesimi, della società civile e delle comunità locali al dibattito politico informando e comunicando più attivamente con il grande pubblico.

Solo sulla base di tale convinzione tutti i membri della collettività comunitaria organizzata in argomento potranno porre le fondamenta per creare una situazione di benessere morale e materiale, che favorisca nel mondo l'aumento del numero delle aree pacifiche e riduca quello delle zone in ostilità.

Poiché purtroppo non tutti i Paesi pongono al centro l'uomo, o meglio la figura umana nel suo complesso, non sembra pienamente diffusa a livello mondiale la consapevolezza del fatto che la realizzazione del bene dell'individuo è strettamente e direttamente connessa con la realizzazione del bene della collettività e viceversa.

Come è stato sopra evidenziato, infatti, l'Unione Europea da un punto di vista sostanziale si può realizzare soltanto attraverso il superamento della concezione di sovranità nazionale e il riconoscimento della sovranità dello Stato Europeo. Ciò porta necessariamente alla maturazione della convinzione in tutti i consociati del fatto che è non solo utile, ma doveroso sacrificare l'individualismo nazionale, per assicurare il benessere dei membri della Comunità Europea, sia come singoli, che come consociati.

E' interessante ricordare che, per migliorare l'esistenza della persona umana, l'Unione Europea sta lavorando anche per ottimizzare i processi di mobilità del lavoro. Le forti interazioni tra Paesi comunitari ed extra comunitari in termini di sviluppo di mercati globali, di incontro domanda ed offerta e di implementazione di strutture e reti di servizio pubbliche e private richiedono l'attivazione di strategie ed interventi a livello transnazionale. In particolare è necessario provvedere a modernizzare la rete dei servizi dell'impiego pubblici e privati a livello internazionale e valorizzare la mobilità dei lavoratori e delle imprese, ad attivare processi di internazionalizzazione finalizzati all'ampliamento delle opportunità di occupazione e di sviluppo locale, a favorire scambi di buone pratiche e parternariati anche in vista dell'allargamento dell'Unione Europea. Sarà sicuramente utile attivarsi per sviluppare la rete dei servizi per l'impiego pubblici e privati in raccordo con le politiche dell'Unione Europea anche attraverso progetti di scambio, accordi di parternariato, sviluppo di sistemi informativi, interventi di facilitazione dell'incontro domanda ed offerta, animazione del territorio, sviluppo di community.

Sulla base delle considerazioni sopra esposte, si può affermare che, per realizzare in concreto un'unione politica, è necessario rafforzare le istituzioni europee, semplificare le procedure decisionali, dare trasparenza e flessibilità all'operato delle istituzioni comunitarie, ravvicinare i cittadini europei, anche attraverso un maggiore ricorso a procedure decentralizzate di coinvolgimento e sensibilizzazione della popolazione agli obiettivi di coesione economica e sociale e di solidarietà perseguiti dall'Unione nell'interesse di tutti gli Stati membri e quindi di tutti gli individui.

Non dobbiamo dimenticare il fatto che l'attuale contesto sociale dei diritti umani è stranamente in contraddizione con la realtà della vita umana.

Noi non siamo minacciati soltanto da forze distruttive per l'individuo e per la società, ma anche da forze distruttive per l'ambiente. Infatti, la società moderna sembra più minacciata dallo sviluppo insostenibile che dagli attacchi diretti alla libertà individuale. Evidentemente, i diritti umani e l'ambiente sono strettamente concatenati.

In particolare la realtà europea e meglio ancora quella italiana sono privilegiate. L'art. 3 della nostra Costituzione nel sancire il principio di uguaglianza sostanziale e formale mira a rimuovere gli ostacoli che impediscono la piena partecipazione di tutti i cittadini alla vita sociale, politica ed economica del paese. Nella nostra legislazione viene stabilito l'obbligo per lo Stato di attivarsi in senso positivo per rendere effettivi anche i diritti dell'uomo definiti fondamentali, ossia immodificabili, vale a dire non rivedibili nemmeno con procedimento di revisione costituzionale. Non a caso si tratta di diritti riconosciuti dall'ordinamento e non istituiti dall'ordinamento stesso. Sono diritti inviolabili, che tutelano valori supremi immodificabili dai poteri dell'ordinamento e ai poteri è solo concesso di interpretarne le formulazioni testuali ed attuarli[32].

In conclusione si può rilevare che il nostro ordinamento riconosce e dà rilievo alla tutela del diritto umano, che trova già esistente e non istituisce.

4. Diritto internazionale penale e problemi di giustizia penale internazionale.

Il diritto penale internazionale è una disciplina complessa, a causa delle sue fonti, costituite da singole parti provenienti da svariate discipline giuridiche , e anche a causa del suo dualismo nei sistemi di esecuzione: il sistema diretto e quello indiretto[33].

La struttura consueta della legge penale interna è composta da diverse parti: la parte generale, la parte speciale, quella processuale, e, in alcuni sistemi, la parte sanzionatoria, qualora essa non sia inclusa nella parte generale. Tutte queste parti sono tra loro complementari e formano un insieme, a prescindere dalla forma legislativa che assumono: cioè uno o più codici, o atti normativi distinti.

Nella maggior parte dei sistemi di giustizia penale interni, tuttavia, queste parti sono inserite in due tipi di codici, uno dedicato al diritto penale sostanziale, un altro alla procedura penale. Questo codici, di solito, riflettono anche una precisa impostazione teorica e possiedono una logica interna. I codici nazionali, però, di solito, disciplinano tutte queste parti con specificità e in modo dettagliato.

Il diritto penale internazionale è ancora privo di una simile connotazione di coesione e coerenza per quanto riguarda le sue singole componenti, poiché manca un codice penale internazionale, che le comprenda, lasciando separate tutte queste parti.

I crimini internazionali derivano da trattati ad hoc e dal diritto internazionale consuetudinario e le definizioni e gli elementi di questi crimini, sovente, lasciano molto a desiderare rispetto alla tassatività e ai requisiti oggettivi. Manca anche una vera parte generale, codificata o espressa in forma diversa, tranne per ciò che riguarda alcune questioni, come la responsabilità da comando e l'adempimento di ordini superiori, che derivano dal diritto internazionale consuetudinario; ma con tutte le difficoltà che questa fonte di diritto internazionale procura in termini di specificità. In tal modo sia la parte speciale, sia le due indicate e particolari questioni di parte generale non sono in grado di soddisfare i rigorosi requisiti del principi di legalità.

Inoltre, il diritto penale internazionale è privo di una parte sanzionatoria, per cui quando vengono applicate delle pene fuori dalla sfera del diritto penale interno, si incontra particolare difficoltà nell'ottica del principio nulla poena sine lege.

Quanto alla parte processuale, essa esiste soltanto con un riferimento alle esperienze del Tribunale militare internazionale, del Tribunale militare internazionale per l'Estremo Oriente, del Tribunale penale internazionale per la ex-Jugoslavia e di quello per il Ruanda, che sono tutti istituti ad hoc. Tuttavia, lo Statuto della futura Corte penale internazionale prevede norme dettagliate di procedura e di prova, ed esse saranno, un giorno, considerate alla luce dei precedenti appena citati, la fonte riconosciuta del diritto penale internazionale processuale[34].

L'esecuzione del diritto penale internazionale, che si realizza essenzialmente attraverso il “sistema di esecuzione indiretta”, è rimessa alla volontaria cooperazione degli Stati, sino a quando la massima aut dedere aut iudicare non sia riconosciuta alla stregua di una norma giuridicamente vincolante, ai sensi del diritto penale internazionale.

Il “sistema di esecuzione diretta”, rispecchiato nel Tribunale militare internazionale e nel Tribunale per l'Estremo Oriente, e per certi aspetti, nel Tribunale penale internazionale, in quello per il Rwanda e nella Corte penale internazionale, deve essere ancora pienamente sviluppato.

Anche la Corte penale internazionale dipende dalle sei modalità di cooperazione inter – statuale in materia penale che costituiscono l'essenza del “sistema di esecuzione indiretta”, per indagare, arrestare e dare esecuzione alle proprie sentenze. Così la Corte penale internazionale non realizzerà un “sistema di esecuzione diretta” completamente integrato, ma un sistema che dipenderà ancora dalla disponibilità degli Stati - parte a provvedere alle sue necessità esecutive.

Il Diritto penale internazionale è costituito da diversi gruppi di norme giuridiche, che derivano da molteplici discipline, i cui metodi e tecniche sono diversi. La diversità di queste componenti non può essere facilmente conciliata, se si deve soddisfare il rigore giuridico intellettuale e armonizzarlo con la difficile realtà dell'attuale status del diritto penale internazionale. Tuttavia questi gruppi di norme formano un insieme, sebbene esso non sia né coerente né coeso e soprattutto sia ampliamente incompleto a causa dell'assenza di una codificazione internazionale. Di conseguenza la struttura del diritto penale internazionale è anomala, se paragonata alle codificazioni penali nazionali.

Poiché il diritto penale internazionale è una disciplina condizionata dalla necessità e sorretta dalla prassi degli stati, la sua principale caratteristica è la coerenza pratica. Esso rimarrà così sino a quando tutte le sue parti non saranno codificate in modo giuridicamente razionale e globale.

Non dobbiamo dimenticare che sul piano dell'organizzazione giudiziaria, i tribunali internazionali penali ad hoc sono dunque l'unica realtà della giustizia internazionale penale al giorno d'oggi. Il fatto che quello della ex –Jugoslavia abbia appena cominciato a funzionare, con una prima selezione di casi e produzione di richieste di consegna di detenuti e quello del Rwanda non abbia ancora potuto vedere l'inizio della propria attività, può con uno sforzo di volontà essere riconosciuto come un fatto secondario rispetto al principio internazionalmente stabilito con documenti la cui validità e forza cogente difficilmente potranno essere contestate con un minimo di successo.

Sul piano del diritto sostanziale internazionale sono stati fatti grandi passi dopo la seconda guerra mondiale, sia attraverso le Convenzioni di Ginevra del 1949 sulle violazioni delle leggi e degli usi della guerra e con i protocolli addizionali del 1977, sia con la convenzione sul genocidio del 1948, sia con la definizione dei crimini contro l'umanità, sia con le numerose convenzioni su fatti pericolosi per l'ordine internazionale o comunque suscettibili di un interesse della comunità internazionale alla loro punizione . Fare codici di crimini, però, non vuol dire instaurare una giustizia internazionale in grado di giudicarli[35].

Non possiamo ritenere che agli scopi della giustizia internazionale penale possa bastare l'esistenza di tribunali internazionali ad hoc. Si tratta, infatti, di una giustizia dichiaratamente limitata, forzatamente parziale e asfittica fin dalle prime fasi del suo funzionamento.

Gli sforzi per la corte internazionale penale dovranno pertanto continuare e si deve riconoscere che la messa a punto degli Statuti dei tribunali ad hoc ha spianato la strada ad alcuni principi che dovranno esser propri dell'auspicata Corte internazionale e che la loro esperienza concreta, se vi sarà, potrà essere utile per una definizione ulteriore di alcuni problemi. Su tali problemi si continua a lavorare da parte dell'Assemblea generale, delle Commissioni permanenti dell'ONU, di quelle appositamente costituite.

Gli anni 1995 e 1996 potrebbero essere decisivi, comunque ci auguriamo che siano importanti.

L'edificio da costruire è molto difficile dal punto di vista della politica dei vari Stati, sia delle grandi sia delle piccole potenze. Comunque l'organizzazione della giustizia penale internazionale è un grande traguardo di civiltà con il quale l'organizzazione internazionale potrà provvedere a salvaguardare la civiltà in ogni campo.

In particolare per giustizia internazionale penale deve intendersi quell'insieme di norme e di apparati, istituiti dal diritto internazionale, rivolti alla scoperta, alla persecuzione e alla punizione di “crimini internazionali” e cioè di fatti la cui illiceità è prevista in norme o in principi del diritto internazionale e la cui gravità è tale, per l'orrore che essa determina o per la vastità del pericolo che essa provoca nel mondo, da interessare l'intera comunità degli Stati.

Il campo essenziale a cui la giustizia internazionale penale si riferisce coincide con quello delle più gravi violazioni delle regole del diritto umanitario e cioè con quella dei “crimini contro l'umanità”, o meglio dei “delitti di lesa umanità”. Si tratta di una categoria sempre insita nella criminalità più grave ed allarmante, ma emersa con contorni ben definiti dopo la conoscenza degli orrori perpetrati durante la seconda guerra mondiale, nel periodo che va dal 1939 al 1945 e dopo che furono costituiti organismi per la loro repressione penale[36] .

Tuttavia il campo di applicazione della giustizia internazionale penale appare coincidente con una platea ampia di delitti, includente i crimini contro la pace, i crimini di guerra o i crimini internazionali per eccellenza. Si tratta comunque di crimini con contenuti eterogenei, che per vari motivi non possono essere perseguiti direttamente dalla giustizia penale degli Stati nazionali.

La giustizia internazionale penale è più ampia di quella del diritto internazionale penale, che si può individuare in quel complesso di norme del diritto internazionale generale, che sanciscono la responsabilità penale degli individui per quei fatti che turbano l'ordine pubblico internazionale e costituiscono crimini contro il diritto delle genti.

Nella nozione di giustizia internazionale penale rientrano infatti, con il diritto internazionale penale, che ne è la base normativa di diritto sostanziale, l'organizzazione per la persecuzione e repressione dei crimini internazionali e cioè la giurisdizione internazionale penale.

La giustizia internazionale penale si distingue dalla giustizia penale nazionale ed anche da quella cosiddetta transnazionale per una quantità di caratteri.

I diritti penali nazionali hanno i propri principi. La giustizia internazionale penale tende a creare un proprio complesso normativo che potrà anche coincidere in tutto o in parte con quello dei singoli diritti nazionali, ma che intende affermarsi come del tutto autonomo, in virtù di principi che trovano la loro base nel diritto internazionale e di esigenze che sono proprie del diritto umanitario elaborato dalle convenzioni internazionali: tutto ciò vale sia per i delitti contro l'umanità, che per i delitti contro la pace, che per i crimini di guerra, dove il riscontro nei diritti nazionali è più agevole e costante.

Essa crea inoltre propri organi di giurisdizione e di accusa, sulla base di risoluzioni dell'Organizzazione delle Nazioni Unite, con indirizzi di imparzialità e secondo una logica ed un sistema, anch'essi del tutto autonomi da quelli delle giurisdizioni nazionali.

Ovviamente tra la giustizia penale nazionale e quella internazionale esistono molteplici nessi.

Tutto quel sistema di norme che in Italia viene spesso chiamato “diritto penale internazionale” per indicare con una locuzione più sintetica, anche se impropria, l'insieme delle disposizioni di diritto interno, sostanziale come processuale, dedicate ai problemi dell'applicazione delle suddette disposizioni in relazione allo spazio[37] è un sistema a contatto con problemi di giustizia internazionale penale[38].

In particolare molti diritti penali nazionali prevedono l'applicabilità senza condizioni della propria legge penale e l'intervento della propria giurisdizione per delitti definiti internazionali a prescindere dal luogo ove gli stessi sono stati perpetrati: in tal modo si applica il principio della “universalità della legge penale”, applicando la legge penale in relazione allo spazio.

Il codice italiano, ad esempio prevede all'art. 7 comma 5 la punizione secondo la legge penale italiana di ogni reato per il quale convenzioni internazionali stabiliscono l'applicabilità della legge penale italiana. Inoltre per la legge italiana vi sono numerosi casi nei quali leggi penali nazionali prevedono una punibilità di reati commessi interamente in territorio estero: in alcune di queste ipotesi si affaccia un interesse della comunità internazionale degno in se stesso di considerazione e di tutela qualificata. Esistono, altresì, norme incriminatici proprie dei diritti penali nazionali, che sono state adottate dai singoli Stati in forza di un impegno assunto attraverso una convenzione internazionale: tipico l'esempio dei vari delitti di genocidio, per i quali lo Stato italiano ebbe a provvedere con la legge 9/10/1967, n. 962.

Vanno anche ricordate la convenzione di New York del 18/12/1979 sulla cattura di ostaggi , che comportò una sia pur ridotta estensione dei delitti di sequestro di persona a scopo di estorsione o terroristico e un obbligo di punizione, sia pure condizionato a richiesta ministeriale, dei delitti commessi all'estero da cittadini o stranieri[39].

La convenzione di New York del 7/3/1966 sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, che comportò l'introduzione dei reati previsti all'art. 3della legge 13 ottobre 1975, n. 654.

Gli Stati assumono spesso, sempre in forza di convenzioni internazionali, obblighi di estradizione dal proprio territorio: tipico, ancora, il genocidio, per il quale l'Italia ritenne di dover provvedere con una legge costituzionale [40], al fine di eliminare ogni dubbio circa possibili vincoli negativi nascenti dagli artt. 10 e 26 della propria Costituzione.

Sono tutte convenzioni le quali hanno per scopo che gli autori delle violazioni sopramenzionate, di evidente o possibile rilievo internazionale, non rimangano impuniti quale che sia il luogo del commesso reato. In tal modo assicurano, anche se in via indiretta, uno degli scopi della giustizia internazionale penale.

Il compito di dirimere le controversie che insorgono tra gli Stati contraenti nell'interpretazione ed applicazione dei trattati relativi alla repressione di una serie di reati di rilievo internazionale spetta ad on organo di giustizia internazionale penale, da individuare nel “Tribunale internazionale penale”.

La giustizia penale transnazionale rappresenta in modo unitario un complesso di misure adottate per rendere efficienti la scoperta, la prosecuzione e la repressione di delitti che interessano una pluralità di Stati o in alcuni casi l'intera comunità internazionale minacciata dalla loro diffusione. Sono reati caratterizzati da legami tra le organizzazioni criminali di vari Paesi. Basta pensare al traffico di stupefacenti su scala internazionale e alle associazioni costituite a tale scopo, all'immane fenomeno del riciclaggio di denaro proveniente da detti traffici illeciti, ai delitti di tratta di donne e di minori, ai delitti di dirottamento aereo e di cattura di ostaggi, all'impedimento di comunicazioni internazionali, ai delitti dell'informatica e simili.

Per il momento tale giustizia penale internazionale non riesce ad assumere una dimensione autonoma rispetto al diritto penale internazionale, ma non è da escludere che nel corso di ulteriori sviluppi di collaborazione tra gli Stati, anche la giustizia penale transnazionale possa assumere una dimensione sistematica autonoma.

Tra la giustizia penale transnazionale e la giustizia internazionale penale esistono molteplici nessi. Molti crimini sono oggetto di convenzioni internazionali, anche se queste ultime lasciano la prosecuzione e la punizione alla competenza dei singoli Stati.

E' interessante, però, notare che tanto nei progetti di codice dei crimini internazionali, quanto nei progetti relativi alla creanda corte internazionale di giustizia e ai crimini sui quali dovrebbe essere riconosciuta la sua giurisdizione, figurano, accanto ai delitti contro la pace, ai crimini di guerra e ai crimini contro l'umanità, alcuni reati caratterizzati già oggi da una più intensa collaborazione internazionale per l'importanza e l'estensione degli interessi che ne sono coinvolti: così i delitti di schiavitù, quelli di tratta di donne e di minori, il traffico internazionale di stupefacenti ed altri[41] .

Le difficoltà per la realizzazione dell'istituzione degli organi giurisdizionali di cui sopra, nonché per l'elaborazione di un codice, che disciplini specificamente la materia, sono di vario genere. Prima di tutto è evidente la difficoltà oggettiva connessa alla materia. I crimini destinati a formare oggetto della giustizia internazionale è complicato sia giuridicamente, che politicamente definire i crimini contro la pace, i crimini di guerra, i crimini contro l'umanità, ad esempio anche il genocidio, altri crimini pericolosi per i rapporti internazionali, o per la convivenza nel mondo, oppure offensivi per i sentimenti di umanità, quali l'apartheid, la presa di ostaggi, la tortura, gli attacchi alla navigazione marittima ed aerea, il traffico di stupefacenti e di sostanze psicotrope, tutte materie oggetto di convenzioni internazionali sottoscritte in questi ultimi decenni e dirette ad assicurare la persecuzione e punizione dei colpevoli da parte dei singoli Stati o l'obbligo di estradizione.

Si deve rilevare che ad un'eccessiva estensione dell'affermarsi dei diritti dell'uomo, corrisponde un aumento spaventoso delle violazioni dei diritti primari ed un elevato tasso di impunità, altrettanto paradossalmente potrebbe accadere che attraverso un'eccessiva estensione dei crimini di competenza della Corte internazionale finiscano per sfuggire alla giustizia proprio i crimini più inumani e più gravi.

Nel novembre 1994 il sistema della creazione di un Tribunale ad hoc per crimini contro l'umanità e di genocidio è stato seguito dal Consiglio di Sicurezza dell'ONU anche per cercare di mettere termine ai massacri in corso nei territori del Ruanda[42]. Effettivamente in tali territori si sono verificati massacri senza precedenti: donne incinte di una certa etnia sono state sventrate, i bambini della stessa etnia massacrati a colpi di machete, quindi la comunità internazionale si è svegliata. Il Consiglio di Sicurezza dell'ONU aveva preso atto dei risultati dell'indagine affidata alla Commissione per i diritti umani, constatando le denunciate gravi violazioni del diritto internazionale umanitario. Successivamente aveva preso atto delle analoghe conclusioni di una speciale Commissione di esperti, nominata seguendo lo schema già adottato per la ex-Jugoslavia[43].

Sul piano dell'organizzazione giudiziaria, i tribunali internazionali penali ad hoc sono dunque l'unica realtà della giustizia internazionale penale al giorno d'oggi.

Sul piano del diritto sostanziale internazionale penale, come del resto abbiamo sopra evidenziato, grandi passi sono stati fatti dopo la seconda guerra mondiale, sia attraverso le Convenzioni di Ginevra del 1949 sulle violazioni delle leggi e degli usi della guerra e con i protocolli addizionali del 1977, sia con la convenzione sul genocidio del 1948, sia con la definizione dei crimini contro l'umanità, sia con le numerose convenzioni su fatti pericolosi per l'ordine internazionale o comunque suscettibili di un interesse della comunità internazionale alla loro punizione. Fare codici di crimini, però, non è instaurare una giustizia internazionale in grado di giudicarli.

Non è pensabile il fatto che agli scopi della giustizia internazionale penale sia sufficiente l'esistenza di tribunali internazionali ad hoc e la possibilità di costituirne altri.

Si tratta, infatti di una giustizia dichiaratamente limitata, forzatamente parziale. Gli sforzi per la Corte internazionale penale dovranno pertanto continuare, sperabilmente senza soste, anche se con fatali ritardi. Tuttavia deve riconoscersi che la messa a punto degli Statuti dei tribunali ad hoc ha spianato la strada ad alcuni principi, che dovranno essere propri dell'auspicata Corte internazionale e che la loro esperienza concreta, se mai vi sarà, potrà essere utile per una definizione ulteriore di alcuni problemi. Sono alcuni di quei problemi sui quali si continua intanto a lavorare da parte dell'Assemblea generale, delle Commissioni permanenti dell'ONU, di quelle appositamente costituite.

Gli anni 1995 e 1996, come accennato, potrebbero essere decisivi; ci auguriamo comunque che siano importanti. L'edificio da costruire è, come abbiamo visto, di difficilissima costruzione e, dal punto di vista della politica dei vari Stati, delle grandi potenze come delle piccole, tutto è ancora incerto. Né l'attuale situazione internazionale è fatta per portare chiarezza. Poiché, però, si tratta di un grande traguardo di civiltà e poiché compito dell'organizzazione internazionale è proprio quello di salvaguardare la civiltà in ogni campo, bisogna continuare ad operare e a sperare.

5. Profili di carattere giurisprudenziale: tutela dei diritti umani e organismi internazionali.

Alla luce delle considerazioni sopra esposte, possiamo dare uno sguardo alle pronunce giurisprudenziali e vedere come esse incidono sulla disciplina della materia.

Prima di tutto dobbiamo rilevare che le pronunce giurisprudenziali assumono in ambito internazionale rilevanza primaria e fondante, cui si accompagna, da ultimo, l'espresso riconoscimento, contenuto nell'art. 21 dello Statuto della Corte penale permanente, dei precedenti come fonte del diritto e l'espressa indicazione dei “principi di diritto e (del)le norme giuridiche quali risultano dall'interpretazione fornitane nelle proprie precedenti decisioni”, risorsa centrale del diritto internazionale penale[44].

L'analisi, seppure sintetica, di due significative sentenze rese, rispettivamente, dal Tribunale per la ex Jugoslavia e per il Ruanda, consente, meglio di astratte teorizzazioni, un riscontro puntuale e concreto. La prima pronuncia è stata emessa in primo grado il 14 gennaio 2000 dal Tribunale internazionale per l'ex Jugoslavia nei confronti di Zoran Kupreskic e altri, nell'ambito di un procedimento concernente le violenze commesse contro gli abitanti di un villaggio della Bosnia centrale durante l'attacco del 16 aprile 1993 e incentrato sulle accuse di crimini contro l'umanità, in particolare persecuzione, e di violazione delle leggi e delle consuetudini di guerra, in particolare di omicidio e trattamenti crudeli.

La sentenza, invero perspicua, affronta molteplici problematiche, soffermandosi, nello specifico, sulla sistematica del concorso di norme e del concorso di reati nel diritto internazionale criminale. Tuttavia, l'aspetto rilevante ai fini della nostra indagine, concerne il metodo di reperimento delle fonti adottato dalla Corte, specie relativamente al valore dei precedenti giurisprudenziali e all'armonizzazione dei differenti sistemi legali. Le fonti, oltre alle norme pattizie e alla consuetudine, sono da individuare nei “principi generali del diritto internazionale criminale”, nonché nei “principi comuni ai vari sistemi legali del mondo”, con peculiare riguardo ai “principi della legge penale in quanto essi derivino dalla convergenza dei principali sistemi penali del mondo”[45].

A tale indicazione si accompagna un ulteriore momento assai significativo: la centralità e la portata dell'attività della Corte medesima, prima facie qualificabile interpretativa, in realtà significativamente creativa.

La Corte, infatti, in primo luogo si attribuisce “ampi poteri nel determinare” il diritto applicabile, esplicitando, sul piano metodologico, la finalità di contemperare i differenti sistemi giuridici del mondo allo scopo di evitare l'incorporazione nel diritto internazionale penale di principi tipici di un solo sistema nazionale ovvero di una sola “famiglia” del diritto. In secondo luogo il Tribunale afferma ripetutamente che la necessità di rifarsi ai precedenti nazionali e internazionali deriva dalla condizione di “stadio elementare” del diritto internazionale penale sostanziale e processuale. E il Tribunale osserva che, data la difficoltà di contemperare tradizioni giuridiche spiccatamente divergenti quando non addirittura antitetiche, unicamente la giurisprudenza può conseguire il risultato che “i principi generali possano essere gradualmente cristallizzati attraverso la loro incorporazione ed elaborazione in una serie di decisioni giudiziali”[46].

La seconda sentenza su cui qui brevemente ci si sofferma rende invece palese l'apporto della giurisprudenza alla creazione della “parte speciale” del diritto internazionale penale. Si tratta della pronuncia resa il 2 settembre 1998 dal Tribunale internazionale per il Ruanda nei confronti di J.P. Akayesu. L'importanza di questa decisione risiede sia nella circostanza che essa rappresenta la prima sentenza di un giudice internazionale dall'adozione della Convenzione per la repressione e prevenzione del genocidio (New York, 9 dicembre 1948) sia nella articolata e complessa ricostruzione della fattispecie di genocidio, punibile ai sensi dell'art. 2 dello Statuto del Tribunale per il Ruanda. Si intende qui unicamente analizzare la decisione unicamente nell'ottica della funzione creativa giurisprudenziale[47], tralasciando altri pur importanti profili.

Il contributo del Tribunale è determinante nella qualificazione dello stupro come atto di genocidio ai sensi dell'art. 2, lett. d) dello Statuto del Tribunale per il Ruanda. La questione della rilevanza penale internazionale, e, in particolare, della riconducibilità delle condotte di violenza sessuale alla fattispecie di genocidio[48], emersa già durante il processo di Norimberga seppure in maniera non propriamente analoga, è diventata infatti di stringente attualità in occasione degli avvenimenti della ex Jugoslavia e del Ruanda, cosicché, parallelamente, si è affermata la questione della relative punibilità, alla luce della insussistenza di una espressa, specifica previsione negli Statuti istitutivi dei rispettivi Tribunali.

Le Corti, dunque, hanno dovuto compiere rilevanti sforzi finalizzati a ricostruire e ad interpretare per colmare i vuoti normativi e ricondurre, mediante un'accurata elaborazione dei capi d'accusa, le fattispecie concrete nell'ambito dei crimini di rispettiva competenza. L'apporto creativo della sentenza Akayesu si inserisce, per l'appunto, come anche altre pronunce del Tribunale per la ex Jugoslavia, in tale contesto e si concretizza nel qualificare, per la prima volta, come atto di genocidio lo stupro sistematico e strumentale al perseguimento di politiche di pulizia etnica. Il Tribunale perviene a tale conclusione sulla scorta di un articolato ragionamento, che ha come punto di partenza la constatazione che lo stupro non costituiva solamente un atto di violenza e umiliazione bensì anche un atto che sfociava, frequentemente e non accidentalmente, nell'uccisione della donna. Lo stupro si può dunque qualificare come una tappa di distruzione del gruppo, ove si consideri che nelle società patriarcali l'appartenenza al gruppo è determinata dall'identità del padre e che, di conseguenza, lo stupro di donne appartenenti all'etnia contrapposta costituisce misura volta a impedire le nascite, dal momento che tanto dal punto di vista della condotta quanto circa la complessa questione dell'identificazione della nozione di gruppo in generale, e del gruppo Tutsi in particolare.

Nell'ambito di una società spiccatamente patriarcale quale quella ruandese, i bambini frutto di violenza non potranno essere accettati come membri del gruppo della madre – come in effetti è accaduto.

Vediamo ora la giurisprudenza scaturita dai vari organi giudiziari preposti in materia di diritti umani, segue un breve elenco di questi.

La Corte Internazionale di Giustizia (CIG) è l'organo giudiziario del sistema delle Nazioni Unite, creato nel 1945 con la stessa Carta dell'Organizzazione delle Nazioni Unite: si proponeva di divenire il "giudice" della comunità internazionale uscita dal secondo conflitto mondiale, ma si palesò bene presto per quello che veramente è, vale a dire un organo arbitrale che giudica solo sul presupposto dell'accettazione della sua competenza da parte dei soggetti in lite[49].

Suo compito precipuo è la composizione delle controversie interstatuali, anche se può, su richiesta specifica, emettere pareri su questioni di diritto. Solo gli Stati sovrani o le istanze di organizzazioni internazionali possono adire la Corte, quindi gli individui, singoli o associati, ne sono esclusi. La sua sede è a L'Aja (nei Paesi Bassi).

Con la nascita del sistema comunitario, è stata istituita la Corte di Giustizia delle Comunità Europee (CGCE), che giudica la conformità degli atti adottati dalle istituzioni ai trattati europei (trattato di Roma, Atto Unico Europeo, trattato di Maastricht, trattato di Amsterdam, trattato di Nizza). Si tratta di una Corte, che provvede a sanzionare pure gli Stati membri che non rispettano le loro obbligazioni derivanti dal diritto comunitario. La Corte può essere adita dai quindici Stati membri dell'Unione, dalle istituzioni comunitarie e dalle persone, fisiche e giuridiche. Ha sede in Lussemburgo. È affiancata da un Tribunale di primo grado di cui, dunque, funge da istanza di appello.

Nel quadro del Consiglio d'Europa è stata creata la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, che vigila sul rispetto della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali che, allo stesso tempo, ha proceduto ad istituirla. Tale Corte giudica le violazioni di questo trattato e può essere adita dagli Stati membri, dai singoli individui o dai soggetti rappresentativi di interessi diffusi. La sua sede è a Strasburgo.

Sul modello della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo l'Organizzazione degli Stati Americani ha creato la Corte Interamericana dei Diritti Umani, per mezzo della Convezione americana sui diritti dell'uomo. Solo le istanze dell'organizzazione stessa o gli Stati firmatari possono adirla. Uno Stato, anche se parte alla convenzione, non può essere convenuto dinanzi alla Corte se non ha accettato espressamente la sua giurisdizione.

Tale Corte ha la sede a San Josè, in Costa Rica[50]. Nel febbraio 1993 è stato creato dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite il Tribunale Penale Internazionale per la ex-Yugoslavia (TPIY), che giudica i presunti responsabili di gravi violazioni del diritto internazionale umanitario commesse sul territorio della ex-Yugoslavia a partire dal 1991 durante le varie fasi di conflitto che si sono succedute su quello scenario. Dispone di proprio personale inquirente, ma incontra notevoli difficoltà a far eseguire i mandati di cattura internazionali che emana per la mancanza di collaborazione delle istituzioni nazionali. Tale organismo ha già provveduto alla condanna di diversi responsabili di reati durante il conflitto e vi sono ancora molti procedimenti in corso (il più famoso e mediatizzato è sicuramente quello nei confronti dell'ex-presidente serbo Slobodan Milosevic). Il Tribunale in argomento ha sede, comprensiva di prigioni, a L'Aja (nei Paesi Bassi).

Nel novembre 1994 è stato creato il Tribunale Penale Internazionale per il Rwanda (TPR), sempre ad opera del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, per giudicare i crimini commessi durante il genocidio ruandese (dal 1° gennaio al 31 dicembre 1994), ricalca il modello del TPIY ed ha già emanato molte condanne. Trenta procuratori sono incaricati di identificare e localizzare i soggetti da processare. Come il TPIY, il TPR emana mandati di arresto internazionali che gli Stati sono tenuti a eseguire sui loro territori.

La sua sede è ad Arusha (Tanzania) e approfondiremo i suoi aspetti nel capitolo Terzo.

In tempi più recenti, durante la Conferenza di Roma del 1998, è stata istituita la Corte Penale Internazionale (CPI) con la firma dell'atto che rappresenta il suo statuto, approfondito sempre nel capitolo Terzo. Se 120 sono state, però, le firme subito raccolte dal documento, per raggiungere le 60 ratifiche necessarie affinché lo stesso entrasse in vigore abbiamo dovuto attendere e tuttora si contano degli assenti di peso (Stati Uniti, in primis, accanto a Israele, ma pure Cina, Iraq e Libia)[51].

Con la Corte in argomento si intende rendere permanente ciò che il TPIY e il TPR avevano rappresentato ad hoc, per cercare di ovviare ai limiti ed alle deficienze, anche di legittimità, che tutte le giurisdizioni speciali o post factum positae debbono pagare. La CPI, dunque, ha carattere permanente e la sua sede è a L'Aja (nei Paesi bassi).

A riguardo, nell'esame dei profili di carattere giurisprudenziale inerenti in particolare alla tutela dei diritti umani in ambito internazionale non possiamo non menzionare la seguente iniziativa. Nel giugno 2002 Amnesty International, ICS-Consorzio Italiano di Solidarietà e MSF-Medici Senza Frontiere hanno espresso le proprie obiezioni per il contenuto del disegno di legge su immigrazione e asilo approvato della Camera dei Deputati lunedì 3 giugno. Approvando delle disposizioni in materia di diritto di asilo che di fatto ne impediscono l'effettivo esercizio, ancora una volta l'Italia ha ignorato i propri obblighi internazionali in materia e si è dimostrata incapace di garantite tutela e protezione ai rifugiati. Amnesty International, ICS-Consorzio Italiano di Solidarietà e MSF-Medici Senza Frontiere esprimono le proprie riserve in merito alle disposizioni votate e approvate dalla Camera dei deputati, che si concentrano in particolare sui tre seguenti aspetti:

1) Il testo sembra ignorare del tutto che i rifugiati in fuga da reali situazioni di persecuzione e tortura sono costretti quasi sempre dalle circostanze a fuggire in modo illegale dalla propria patria e ad entrare irregolarmente nel paese in cui chiedono asilo. Amnesty International, ICS­Consorzio Italiano di Solidarietà e MSF-Medici Senza Frontiere avevano già espresso le proprie raccomandazioni affinché il trattenimento dei richiedenti asilo fosse disposto solo per reati comuni, fosse loro garantito il diritto alla difesa nel rispetto di quanto disposto dall¹art. 24 della Costituzione Italiana - e di comparire prontamente davanti ad un magistrato;

2) il funzionamento delle commissioni territoriali dovrebbe rispondere a parametri di indipendenza, competenza e trasparenza, che non appaiono essere rispettati. Fra le lacune si sottolinea in particolare come nella proposta di legge non sia prevista l¹indicazione dei requisiti di competenza - in materie quali i diritti umani e il diritto internazionale - da parte dei funzionari membri delle commissioni periferiche;

3) la materia del ricorso avverso le decisioni negative al riconoscimento del diritto d¹asilo rappresenta l'aspetto più grave ed inaccettabile della norma; il ricorso al giudice ordinario non prevede infatti un effetto sospensivo, negando di fatto in tal modo la tutela giurisdizionale del ricorrente.

In particolare si deve rilevare che il diritto di cercare asilo, e quindi protezione, è un diritto umano come previsto dall'articolo 14 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani ed è anche riconosciuto dall'articolo 10 della Costituzione Italiana. Inoltre, l'Italia è firmataria della Convenzione di Ginevra relativa allo Status dei Rifugiati del 1951. Il diritto di asilo è una materia distinta rispetto alla migrazione economica e come tale va affrontata.

Fatte queste premesse, risulta chiaro come le disposizioni relative agli Statuti dei Tribunali Internazionali ad hoc vadano necessariamente integrate con le decisioni giurisprudenziali e con le elaborazioni dottrinali. Anzi, in proposito si è affermato che la giurisprudenza internazionale svolge un vero e proprio ruolo "costituente" nella creazione dei principi del diritto penale internazionale.

Tuttavia, va anche sottolineato come la giurisprudenza dei singoli Stati continua (in relazione ai Tribunali ad hoc) e continuerà (in relazione alla ICC) a svolgere un ruolo determinante, proprio perché è dai singoli Stati che nascono quei "principi generali del diritto" assunti a fonte del diritto internazionale.

Vi è di più: lo stesso Statuto dell'ICC nell'enunciare la normativa applicabile dispone, all'art. 21, che la Corte applica, seppur in via meramente subordinata, "i principi generali di diritto ricavati dalla Corte in base alla normativa interna dei sistemi giuridici del mondo, compresa, ove occorra, la normativa interna degli Stati che avrebbero avuto giurisdizione sul crimine, purché tali principi non siano in contrasto con il presente Statuto, con il diritto internazionale e con le norme ed i criteri internazionalmente riconosciuti".

Ecco che allora risulta evidente come tra le due discipline penalistiche (il diritto penale interno e quello internazionale) le esigenze di un dialogo siano fondamentali: così come il diritto internazionale influenza il diritto interno, anche il diritto interno influenza il diritto internazionale. Anzi, in materia criminale si può certamente affermare come il punto di partenza, ed anche l'appiglio concreto, del diritto internazionale penale sia costituito proprio dal diritto interno dei singoli stati. Sono infatti le singole legislazioni nazionali che contribuiscono alla formazione di quei principi generali del diritto penale più volte richiamati dai documenti internazionali. Invero, il diritto internazionale ci permette, in un certo senso, di "fotografare" l'evoluzione di questi principi in un dato momento storico.

In tal modo si crea una sorta di simbiosi fra i due rami del diritto penale: da un lato troviamo le singole legislazioni nazionali dalle quali vengono estrapolati i principi fondamentali del diritto internazionale penale; dall'altro gli stessi principi di diritto internazionale "ricadono" sui singoli ordinamenti imponendo ad essi obblighi di tutela o comunque contribuendo a plasmarli.

Infine, si tenga presente che l'ICC si porrà, in relazione ai singoli ordinamenti, in una posizione di complementarietà e di residualità. Ciò significa che la giurisdizione della Corte penale internazionale non deve sostituire la giurisdizione nazionale degli Stati contraenti e neppure vi è un rapporto di preminenza nei confronti della giustizia statale. L'ICC deve solamente integrare le istanze nazionali, attivandosi solo quando la giurisdizione nazionale, nell'ambito della propria competenza, o non vuole o non è in grado di accertare, perseguire o punire adeguatamente i crimini che rientrano (anche) nella giurisdizione della ICC. Sarà tuttavia la stessa Corte a valutare gli elementi di "unwillingness" o di "unability" e ad ammettere un procedimento davanti a sé.

Inoltre, lo Statuto dell'ICC prevede, all'art. 124, la possibilità per gli stati parte di dichiarare per sette anni dall'entrata in vigore dello Statuto nei loro confronti di non accettare la competenza della Corte in relazione ai crimini di guerra, qualora un simile reato sia stato commesso nel suo territorio o dai suoi cittadini (c.d. clausola di opting-out).

Il dibattito sui diritti fondamentali dell'uomo si è comunque intensificato in maniera esponenziale, soprattutto negli ultimi anni, grazie all'enorme sviluppo delle telecomunicazioni e del fenomeno della globalizzazione che, partito dal campo economico, non manca di comportare conseguenze anche in quello giuridico.

Ciò ha causato il proliferare di organizzazioni internazionali anche non governative, quali le ONG, che hanno il precipuo scopo di intervenire in maniera attiva nella protezione dei diritti fondamentali dell'uomo a livello mondiale.

In particolare per ciò che riguarda l'Italia, si può rilevare che la partecipazione della stessa all'Unione Europea ha in effetti causato una duplicazione dell'organo deputato a difendere i diritti fondamentali dell'uomo, dal momento che la Corte di Giustizia, essendo l'organo giurisdizionale di un ordinamento di stati a carattere sostanzialmente economico, nella propria giurisprudenza in tema di diritti umani ha costantemente fatto riferimento alla Universal Declaration of Human Rights del 1948 e alla European Convention for Human Rights and Fundamental Freedoms firmata a Roma il 4 novembre 1950, senza peraltro provvedere all'integrazione dei principi ivi contenuti all'interno dei Trattati.

L'attività di cui sopra, di tutela di carattere “pretorio”, ha causato le resistenze della Corte costituzionale italiana la quale, ritenendo che la Corte di giustizia svolga il proprio compito sulla base di quanto disposto dall'art. 11 della costituzione, conclude che la stessa non possa in alcun modo derogare agli standard minimi di tutela dei diritti fondamentali previsti dalla Costituzione [52], e che un eventuale arretramento di tutela potrebbe persino condurre a risultati estremi, certamente da evitare.

Sugli sviluppi della giustizia internazionale penale oggi gravano pesanti interrogativi, quali ad esempio relativi al dubbio sull'effettiva perseguibilità degli autori dei reati nefandi che purtroppo tuttora caratterizzano anche in Europa la nostra epoca, all'incertezza sul fatto che si possa arrivare alla creazione di un sistema giudiziario penale permanente capace di realizzare la prevenzione del crimine di rilievo internazionale ed in particolare il crimine contro l'umanità.

Avv. Federica Federici
f.federici@studiolegalefederici.it



[1] Cfr. V. FROSINI, Teoria e tecnica dei diritti umani, Edizioni scientifiche italiane, Napoli, 1993; A. MARCHESI, I diritti dell'uomo e le nazioni Unite. Controllo internazionale e attività statali di organi internazionali, Franco Angeli, Milano, 1996; A. PAPISCA, M. MASCIA, Le relazioni internazionali nell'era dell'interdipendenza e dei diritti umani, Cedam, Padova, 1991

[2] Cfr. M. SCALABRINO SPADEA, Codice internazionale dei diritti dell'uomo, Pirola, Milano, 1991; S. SHUTE, S. HURLEY (a cura di), I diritti umani, Oxford Amnesty Lectures, Garzanti, Milano, 1994; L. STRAUSS, Diritto naturale e storia, il melangolo, Genova, 1990.

[3] Cfr. MARCHISIO Sergio, RASPADORI Fabio, L'Italia e i Diritti Umani, Istituto di Studi Giuridici sulla Comunità Internazionale, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Cedam, 1995

[4] Il raggiungimento dell'obiettivo posto dal protocollo di adesione ha così permesso di dichiarare ufficialmente nata la corte penale dal 1 luglio 2002.

[5] Cfr. F. Mantovani, Diritto penale, 3° ediz., 1992, p. 959.

[6] Cfr. M. DE SALVIA, La convenzione europea dei diritti dell'uomo. Procedure e contenuti, Editoriale Scientifica, Napoli, 1997; P. DE STEFANI, Il diritto internazionale dei diritti umani, Cedam, Padova, 1994; C. CAPOGRASSI, La dichiarazione universale dei diritti dell'uomo e suo significato, Cedam, Padova, 1957.

[7] Ad esempio in Italia In Italia la ratifica di norma avviene tramite elaborazione di un disegno di legge, che deve essere poi approvato dal Parlamento, tramite una legge di ratifica. In alcuni casi, ove esista un largo consenso, possono essere adottate procedure più rapide, come è stato fatto ad esempio per il Protocollo facoltativo della Convenzione CEDAW, firmato nel 1999 e ratificato gà nel 2000.

[8] Cfr. P. DE STEFANI, Il diritto internazionale dei diritti umani, Padova, 1984; M. DE SALVIA, La Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Procedure e contenuti, Napoli, 2001; A. CASSESE, I diritti umani nel mondo contemporaneo, Laterza, bari, 1994; N. BOBBIO, L'età dei diritti, Einaudi, Torino, 1990; L. FERRAJOLI, Dai diritti del cittadino ai diritti della persona, in A.A.V.V., La cittadinanza: appartenenza, identità, diritti, a cura di D, ZOLO, Laterza, Bari, 1994; L. CIAURRO, A. MARCHESI, Introduzione ai diritti umani, ECP, Fiesole, 1998

[9] Cfr. Rights of Women A Guide to the Most Important United Nations Treaties on Womens Human Rights, (pp.7-16) a cura dell'International Womens Tribune Centre di New York, pubblicato da Women Ink, New York, 1998. Sito web: www.womenink.org. Per il testo completo di questo capitolo, vedi biblioteca "i temi", "diritti umani - generale".

[10] Cfr. I Convenzione di Ginevra del 12/8/1949 “per il miglioramento delle condizioni dei feriti e malati delle forze armate in campagna”; II Convenzione di Ginevra del 12/8/1949 “per il miglioramento delle condizioni dei feriti, malati e naufraghi delle forze armate sul mare”; III Convenzione di Ginevra del 12/8/1949 “relativa al trattamento dei prigionieri di guerra”; IV Convenzione di Ginevra del 12/8/194 “relativa alla protezione delle persone civili in tempo di guerra”; I Protocollo di Ginevra dell'8/6/1977 “sulla protezione delle vittime dei conflitti armati internazionali, aggiuntivo alle convenzioni del 12/8/1949” e allegato Regolamento relativo all'identificazione; II Protocollo di Ginevra dell'8/6/1977 “Sulla protezione delle vittime dei conflitti armati non internazionali, aggiuntivo alle convenzioni del 12/8/1949”.

[11] I patti e le convenzioni che non sono trattate nel dettaglio sono in ordine cronologico: la Convenzione dell'Aja del 14/5/1954 “per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato”; protocollo di Washington del 20/2/1957 “aggiuntivo alla convenzione relativa ai doveri e diritti degli Stati in caso di guerra civile, firmata all'Avana il 20/2/1928”; Trattato di Washington del 1/12/1959 “per la neutralizzazione dell'Antartide”; Trattato di Mosca del 5/8/81963 “per la messa al bando degli esperimenti di armi nucleari nell'atmosfera, nello spazio extra atmosferico e negli spazi sottomarini”; Trattato di Londra, Mosca e Washington del 27/1/1967 “Relativo ai principi che regolano le attività degli stati nella esplorazione e utilizzazione dello spazio extra atmosferico e negli spazi sottomarini”; Trattato di Londra, Mosca e Washington “sul divieto di armi nucleari nell'America Latina”; Trattato di Londra, Mosca e Washington del 1/7/1968 “per la proliferazione delle armi nucleari”; Convenzione di New York del 26/11/1968 “sulla imprescrittibilità dei crimini di guerra e dei crimini contro l'umanità”. Risoluzione 2391 (XXIII) dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite; Dichiarazione di New York del 24/10/1970 “sui principi di diritto internazionale concernenti le relazioni amichevoli e la cooperazione far gli Stati conformemente alla Carta delle Nazioni Unite”. Risoluzione 2625 (XXV) dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite; Trattato di Londra, Mosca e Washington del 11/2/1971 “sul divieto di collocare armi nucleari e altre armi di distruzione in massa sul fondo del mare e degli oceani e nel relativo sottosuolo”; Accordo di Washington USA – URSS del 30/9/1971 “sulle misure per ridurre il pericolo di una guerra nucleare”; Trattato di Londra, Mosca e Washington del 10/4/1972 “sul divieto di messa a punto, produzione e stoccaggio di armi batteriologice (biologiche) o a base di tossine e sulla loro distruzione”; Trattato di Mosca USA – URSS del 26/5/1972 “sulla limitazione dei sistemi di missili antibalistici”; Accordo provvisorio di Mosca USA – URSS del 26/5/1972 “sulla limitazione delle armi offensive strategiche “; Accordo di Washington USA – URSS del 22/6/1973 “per la prevenzione della guerra nucleare”; Risoluzione 3074 di New York del 3/12/1973 dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite “principi della cooperazione internazionale in materia di ricerca, arresto, estradizione e punizione delle persone colpevoli di crimini di guerra e di crimini contro l'umanità”; Convenzione europea di Strasburgo del 25/1/1972”; Risoluzione 3314 /XXIX) dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, New York 14/12/1974 “sulla definizione di aggressione”; Convenzione di New York del 10/12/1976 “sul divieto di utilizzare tecniche di modifica dell'ambiente naturale per scopi militari o per qualsiasi altro scopo ostile”; Convenzione Internazionale di New York del 17/12/1977 “contro la presa di ostaggi; Convenzione Internazionale di Ginevra del 10/10/1980 “sul divieto o la limitazione dell'impiego di certe armi classiche che possono essere ritenute capaci di causare effetti traumatici eccessivi o colpire senza discriminazione”; Convenzione Internazionale di new York del 10/12/1984 “contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti”.

[12] Cfr. Autori vari "La tutela dei diritti del cittadino davanti alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo di Strasburgo" in Temi Romana, rivista del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Roma (fascicolo unico n.2/4, 1987), Giuffré Milano; Autori vari, "La tutela dei diritti del cittadino davanti alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo di Strasburgo", Giuffré Milano, 1989; L.M. BONAVOLONTA', Formulario delle azioni contro lo Stato, Innanzi alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, Giuffré, 1999; A. SINAGRA Augusto, I rapporti della Corte europea dei diritti dell'uomo con le altre giurisdizioni internazionali, in Riv. trim. dir. pubbl., 1990, 548; C. ZANGHI', La protezione internazionale dei diritti dell'uomo. Roma 1979, Presidenza Consiglio dei Ministri, Servizi Informazione e proprietà letteraria; C. ZANGHI', Diritti dell'uomo (protezione internazionale dei), in Encicl. giur. Treccani, Roma, 1989, vol. XI

[13] Condizione necessaria per la presentazione di un ricorso individuale è l'accettazione della clausola apposita da parte dello Stato. La prima fase della procedura, che si svolge davanti alla Commissione, ha ad oggetto la ricevibilità del ricorso. Il ricorso non è ricevibile se non siano state esaurite le vie del ricorso interne (art. 27); sia trascorso un periodo superiore a 6 mesi dopo la data della decisione interna definitiva; è anonimo o manifestamente infondato; è già stato oggetto di un esame da parte della commissione; è incompatibile con le disposizioni della Convenzione. Nell'ipotesi in cui il ricorso è dichiarato ricevibile, la Commissione istruisce la causa in contraddittorio fra le parti. La commissione deve cercare di addivenire ad una conciliazione (art. 28) fra le parti, e nel caso in cui questa non venga raggiunta, redige e trasmette un rapporto al comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa. Entro 4 mesi si può proporre ricorso alla Corte Europea dei diritti dell'uomo contro il rapporto della Commissione, altrimenti in assenza di ricorso, la decisione spetta al consiglio dei Ministri.

[14] Cfr. G. MAZZI, “leggi e usi di guerra (reati contro)”, in Enc. giur. Treccani, vol. XVIII, Roma, 1990, p. 1 ss; C. F. GROSSO, “Prospettive di riforma dei codici penali militari”, in Riv. It. Dir.proc.pen., 1992, p. 735 ss; M. FUMO, “Il sistema penale militare bellico alla luce delle Convenzioni di Ginevra del 1949 e della Carta Costituzionale”, in Arch. Pen., 1985, p. 541 ss.

[15]La Governance Europea. Un libro bianco, Bruxelles, 25/7/2001, Commissione europea (2001)428

[16] P. Lillo, Diritti fondamentali e libertà della persona, Roma 2001,p. 86

[17] P. Mengozzi, La Famiglia delle Nazioni e il Diritto internazionale a fronte della Globalizzazione dell'economia, in Archivio Giuridico, 2003, pp. 143 ss

[18] cfr. art.2 comma 1 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea: Ogni individuo ha diritto alla vita

[19] P. Lillo, Globalizzazione del diritto e fenomeno religioso, Torino 2002, pag. 62

[20] P. Mengozzi, La Famiglia delle Nazioni e il Diritto internazionale a fronte della Globalizzazione dell'economia, cit., pp.149

[21] U. Triulzi, Dal mercato comune alla moneta unica, cit. pp. 71 ss.

cfr. in materia P.V.Dastoli., A.Malocchi e R.Santaniello, Prospettiva Europa, Bologna 1996

A.Michalski e H.Fallace, The European Community, The Challenge of Enlargement, Chantham Hose Discussion Paper, London 1992

N.Nugent , Governo e politiche dell'Unione Europea, Bologna 1995

M.Rainer Lepsius, L'integrazione economico – politica e la pluralità culturale europea, in Il Mulino, Europa/2, febbraio 1997

U.Triulzi , Il processo di integrazione monetaria europea, Roma 1988

U.Triulzi, L'integrazione economica e monetaria europea, in Fondamenti di economia internazionale, a cura di V.Del Punta e U.Triulzi , Roma 1992

[22] P. Mengozzi, La Famiglia delle Nazioni e il Diritto internazionale a fronte della Globalizzazione dell'economia, cit., pp.152

[23] N. Bobbio, L'età dei diritti, Torino 1992

[24] Art. 55 e 56

[25] Nel preambolo degli Stati membri proclamano “il proprio attaccamento ai valori spirituali e morali, che sono il patrimonio comune dei loro popoli e la vera fonte dei principi di libertà individuale, di libertà politica e di preminenza del Diritto, sui quali si fonda ogni vera democrazia”

[26] M. de Salvia, La Convenzione europea dei diritti dell'uomo, Napoli 2001, p.20

[27]“Ogni membro del Consiglio d'Europa deve accettare il principio della preminenza del Diritto e quello in virtù del quale ogni persona, posta sotto la sua giurisdizione, deve godere dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali”, Art.3 dello Statuto del Consiglio d'Europa

[28] Sentenza della Corte di Giustizia del 4 febbraio 1959, causa 1/58, Stork

[29] Sentenza della Corte di Giustizia del 12 novembre 1969, causa 1/58, Stauder

[30] Sulla tutela comunitaria dei diritti fondamentali di cui al Trattato di Maastricht del 1992, rafforzata dal Trattato di Amsterdam, cfr. B Conforti, Diritto internazionale, Napoli, 1999, p.172 ss; A. Stelmachowski, I diritti dell'uomo e il rinnovamento del diritto della casa comune europea, in Iustitia, 1991, 4, p. 376 ss

[31] Sul Trattato di Nizza cfr. R. Bifulco – M. Cartabia – A. Celotto, L'Europa dei diritti. Commento alla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, Bologna 2001; G.F. Ferrari, I diritti fondamentali dopo la Carta d Nizza. Il costituzionalismo dei diritti, Milano, 2001; M. Lugato, La rilevanza giuridica della Corte dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, in Riv.giur. dir.intern, 2001, p.1009 e ss

[32] Cfr. G. SILVESTRI, La parabola della sovranità. Ascesa, declino e trasfigurazione di un concetto, in Rivista di diritto costituzionale, 1/1996, pp. 3 - 74

[33] Cfr. M. CHERIF BASSIOUNI, Le fonti e il contenuto del diritto penale internazionale, Un quadro teorico, Giuffrè 1999

[34] Cfr.N.RONZITTI, Diritto internazionale dei conflitti armati, Giappichelli editore, Torino; D. COLARD, La création d'une cour pénal internationale permanente pour juger les crimes les plus graves, in Défense Nationale, Ottobre 1998, pag.92 e seguenti ; G. CEVOLIN, L'impiego delle Forze Armate italiane all'estero in operazioni di mantenimento della pace, in Quaderni ISTRID, n.4/98, pag.51 e seguenti; Lo status delle Forze Armate italiane impegnate in operazioni "fuori area" condotte sotto l'egida di organizzazioni internazionali, ricerca svolta dal Centro Militare di Studi Strategici, Direttore della ricerca Natalino RONZITTI, in Informazioni della Difesa, n.74-novembre 1998; Andrea DE GUTTRY, Le operazioni militari all'estero gestite al di fuori del sistema delle organizzazioni internazionali o nel suo ambito: problemi giuridici e organizzativi per le Forze Armate, in Informazioni della Difesa, n.83-dicembre 1996; P. DONVITO, Il Comandante e il Consigliere giuridico militare, in Rivista Militare, n.4/95, pag.78 e seguenti; G. MAZZI, L'istituzione del Tribunale internazionale penale permanente per la punizione dei crimini di guerra, in Rassegna dell'Arma dei CC, n.4-ottobre/dicembre 1997, pag.6 e seguenti; Milan TEPAVAC, Establishment of International Criminal Court, in Review of International Affairs, Belgrado, luglio/agosto 1998, pag.12 e seguenti; O. RACIC, A Look at the (Permanent) International Criminal Court, in Review of International Affairs, Belgrado, settembre 1998, pag.10 e seguenti; Pierdavid PIZZOCCHERO, Tempi duri per gli aguzzini, in Il Carabiniere, ottobre 1998, pag.52-53; F. POCAR, Creazione della Corte Penale Internazionale, in Relazioni Internazionali, n.47-novembre/dicembre 1998, pag.14 e segg; S. MARCHISIO, Lo Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale, in Affari Esteri, n.120-ottobre 1998, pag.821 e seguenti; G. BLAIS, La Corte Penale Internazionale: Una figlia di molti padri, in Rivista Aeronautica, n.6-novembre/dicembre 1998, pag.12 e seguenti; V. R. CERVELLI, Tribunale Penale Internazionale - Brevi osservazioni in vista della Conferenza Diplomatica di Roma, in Archivio Disarmo, Sistema informativo a schede, n.6-giugno1998, pag.1 e segg; G. BOSCO, Verso l'istituzione di una Corte Penale Internazionale, in Rivista di Studi Politici Internazionali, n.2-aprile/giugno 1998, pag.223 e seguenti; G. SPERDUTI, Crimini internazionali, in Enciclopedia del Diritto, pag.337 e seguenti; G. BOSCO, Il giudice interno e il diritto internazionale, in Affari Esteri, n.118-Primavera 1998, pag.422 e seguenti; D. BRUNELLI, Reati contro le leggi e gli usi di guerra, in Enciclopedia del Diritto, pag.1252 e seguenti; V.VEUTRO (con altri), Manuale di diritto e di procedura penale militare, Reati contro le leggi e gli usi della guerra, ed.Giuffrè, Milano, pag.477 e seguenti; G. VASSALLI, Il tribunale internazionale per i crimini commessi nei territori dell'ex Jugoslavia, in La legislazione penale, n.2 1994, pag.335 e seguenti; Il processo di Norimberga a cinquant'anni dalla sua celebrazione, Atti del simposio internazionale, Lecce, 5-6-7 dicembre 1997, a cura di A. TARANTINO e R. ROCCO, ed.Giuffrè, Milano; Crimini di guerra e competenza delle giurisdizioni nazionali, Atti del Convegno, Milano, 15-17 maggio 1997, a cura di P. LAMBERTI ZANARDI e G. VENTURINI, ed.Giuffrè, Milano; G. MAZZI, Leggi e usi di guerra, in Enciclopedia Giuridica, vol.XVIII, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma; D. COLARD, L'universalité des droits de l'homme: réflexions sur un jubilé, in Défense Nationale, n.10/98, pag.83 e seguenti; A. INTELISANO, Un problema aperto: I consiglieri giuridici per l'applicazione del diritto umanitario bellico, in Rassegna della Giustizia militare, n.5-6 Settembre/Dicembre 1992

[35] Cfr. G. Vassalli, La giustizia internazionale penale, Studi, Giuffrè, 1995

[36] Sui crimini contro l'umanità mi sembra che l'opera più aggiornata anche per i completi riferimenti storici sulla formazione della categoria e per la distinzione, non sempre facile, dai crimini di guerra, sia quella del bassiouni, cromes against humanity in Intarnational Criminal Law, Dordrecht – Boston – London, 1992

[37] In dottrina la distinzione tra “diritto internazionale penale” e “diritto penale internazionale”: con il primo si individua un ramo del diritto internazionale concernente le responsabilità penali degli individui di fronte al diritto internazionale cfr. N. Levi, Diritto penale internazionale, postumo, Milano, 1949, G. Vassalli, In tema di diritto internazionale penale, in Giust. Pen. 1949, I, 257 ss; al contrario nella dottrina straniera tale rigorosa distinzione è poco conosciuta e in genere non è seguita, infatti si parla di diritto penale internazionale per indicare sia il “diritto penale internazionale”, che i “crimini internazionali”.

[38] Cfr. A. CASSESE, M. CHIAVARIO, G. DE FRANCESCO (a cura di), Problemi attuali della giustizia penale internazionale, Torino, 2005; A. CASSESE, Le giurisdizioni penali internazionali, in La giustizia penale italiana nella prospettiva internazionale, Milano, 2000, pp.141 ss

[39] Cfr. legge 26 novembre 1985, n. 718

[40] Cfr. legge costituzionale 21 giugno 1967, n. 1

[41] Il progetto elaborato dal Bassiouni contempla la possibilità di una competenza del Tribunale internazionale, sia pure su richiesta di uno degli Stati membri della Organizzazione delle Nazioni Unite, per tutti o quasi i crimini internazionali, ivi inclusi i reati contro l'ambiente, la distruzione o il furto di tesori nazionali o culturali, il traffico di materiali osceni, il furto di materiali nucleari e persino l'uso di mercenari.

[42] Cfr. I. BOTTIGLIERO, Il rapporto della commissione di Esperti sul Ruanda e l'istituzione di un Tribunale internazionale penale, in Comunità internazionale, 1994, pp. 760 ss

[43] Cfr. A. BERNARDINI, Il Tribunale penale internazionale” per la ex – Jugoslavia: Considerazioni conclusive

[44] E. GRANDE, Principio di legalità e diritto giurisprudenziale : un'antinomia ?, in FIANDACA (cur.), Sistema penale in transizione e ruolo del diritto giurisprudenziale, Padova, 1997, p. 129 ss., afferma tuttavia che “un'analisi dei sistemi di common law che non si fermi alle apparenze, ma ne ricerchi le caratteristiche strutturali profonde, svela l'esistenza di regole, inizialmente sempre non scritte, da secoli capaci di assicurare una precisa dimensione di garanzia all'individuo nei confronti degli arbitrii e delle sopraffazioni dei poteri statuali”.

[45] V. anche il già citato art. 21 dello Statuto istitutivo della Corte penale internazionale nonché l'art. 38, par. 1, lett. 3 dello Statuto della Corte internazionale di Giustizia.

[46] Il Tribunale precisa anche che deve escludersi il carattere vincolante dei precedenti a causa dell'insussistenza di un sistema giudiziario strutturato come nei paesi di common law e che l'effettiva portata degli stessi si manifesta nella possibilità di dedurre da essi l'esistenza di una norma internazionale, sotto forma di norma consuetudinaria, in quanto indicativi di opinio juris sive necessitatis e di prassi internazionale – ovvero di principio generale di diritto internazionale.

[47] Al fine di una migliore comprensione, giova ricordare che Akayesu ricopriva la carica di Sindaco del comune di Taba, circostanza,quest'ultima, che gli conferiva consistenti poteri di diritto e di fatto. Akayesu era accusato di genocidio, crimini contro l'umanità e crimini di guerra, in relazione all'uccisione di circa duemila Tutsi avvenuta per l'appunto nel Comune di Taba. Akayesu, in particolare, era accusato non solo di non aver in alcun modo impedito siffatto massacro, pur avendone piena conoscenza, bensì anche di aver assistito, consapevolmente incoraggiato e personalmente compiuto i massacri nonché di averli pubblicamente incitati.

[48] Sulla problematica, in generale, v. ampiamente P. DEGANI, Diritti umani e violenza contro le donne: recenti sviluppi in materia di tutela internazionale, Quaderni del Centro di studi e di formazione sui diritti della persona e dei popoli, Padova, 2000.

[49] Cfr. M. DE SALVIA Michele, Lineamenti di diritto europeo dei diritti dell'uomo. Cedam, Padova 1992; M. DE SALVIA, La Convenzione Europea dei Diritti
dell'Uomo, Editoriale Scientifica, Napoli, 1999; M. DE SALVIA, Compendium de la CEDH. Les principes directeurs de la jurisprudence relative à la Convention européenne des droits de l'homme, Editions N.P. Engel Khel Strasbourg Arlington , Va, 1998 (in francese) ISBN 3.88357.126.1. ; M. DE STEFANO, "Il formulario di ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, dopo la riforma della procedura", "I diritti dell'uomo, cronache e battaglie" (anno 1998, n.1, pag. 61); F. DURANTE, M. F. GENNARELLI, I Diritti dell'Uomo in Italia, Giuffré, Milano, 1998; R. FACCHIN, L'interpretazione giudiziaria della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, Padova. Cedam 1990 ; S. MARCHISIO Sergio, Direttore dell'Istituto di Studi Giuridici sulla Comunità Internazionale, Consiglio Nazionale delle Ricerche , Osservatorio Diritti Umani, Editore, Presidenza Consiglio dei Ministri, Dipartimento per l'Informazione e l'Editoria, Roma, 1996; G. RECCHIA, Osservazioni sul ruolo dei diritti fondamentali nell'integrazione europea, in Dir. e società, 1991, 663; Rivista "I diritti dell'uomo, cronache e battaglie", organo dell'Unione Forense per la tutela dei Diritti dell'Uomo, Roma; "Rivista Internazionale dei diritti dell'Uomo" Editore, Vita e Pensiero, Università Cattolica del Sacro Cuore. Milano; G. ROMANO, M.G. PELLEGRINI, I ricorsi alla Commissione e alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, Giuffré, 1997; Consulta per la Giustizia Europea dei Diritti dell'Uomo, Ricorsi alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, Editrice IANUA, Roma, 1999; G. ROMANO, M.G. PELLEGRINI, D.A. PARROTTA, La nuova Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, Giuffrè, 1999; M. DE SALVIA, Compendium della CEDU. Le linee guida della giurisprudenza relativa alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo, Editoriale Scientifica, via Generale Giordano Orsini, 42, NAPOLI, 2000 (in italiano); C. RUSSO, P.M. QUAINI, La Convenzione Europea dei diritti dell'uomo e la la giurisprudenza della Corte di Strasburgo. Giuffré Editore, Milano, 2000.

[50] Cfr. A. BERNARDINI, op.cit;

[51] Cfr. A. CASSESE, op. cit.; BOTTIGLIERO, op.cit; Dai tribunali penali internazionali ad hoc a una Corte permanente - Atti del Convegno - Roma 15/16 dicembre 1995, a cura di F. LATTANZI ed E. SCISO, Editoriale Scientifica, Napoli.; N. RONZITTI, Diritto internazionale dei conflitti armati, Giappichelli editore, Torino; D. COLARD, La création d'une cour pénal internationale permanente pour juger les crimes les plus graves, in Défense Nationale, Ottobre 1998, pag.92 e seguenti; V. R. CERVELLI, Tribunale Penale Internazionale - Brevi osservazioni in vista della Conferenza Diplomatica di Roma, in Archivio Disarmo, Sistema informativo a schede, n.6-giugno1998, pag.1 e segg; G. BOSCO, Verso l'istituzione di una Corte Penale Internazionale, in Rivista di Studi Politici Internazionali, n.2-aprile/giugno 1998, pag.223 e seguenti; G. SPERDUTI, Crimini internazionali, in Enciclopedia del Diritto, pag.337 e seguenti; G. VASSALLI, Il tribunale internazionale per i crimini commessi nei territori dell'ex Jugoslavia, in La legislazione penale, n.2 1994, pag.335 e seguenti; Il processo di Norimberga a cinquant'anni dalla sua celebrazione, Atti del simposio internazionale, Lecce, 5-6-7 dicembre 1997, a cura di A. TARANTINO e R. ROCCO, ed.Giuffrè, Milano; Crimini di guerra e competenza delle giurisdizioni nazionali, Atti del Convegno, Milano, 15-17 maggio 1997, a cura di P. LAMBERTI ZANARDI e G. VENTURINI, ed.Giuffrè, Milano.

[52] Tale concezione è stata asserita dalla Corte costituzionale, che partendo dalla sentenza 98/1965 viene poi sviluppata nelle sentenze 183/1973 e soprattutto 232/1989, per mezzo della quale la Corte afferma, pur dichiarando al contempo inammissibile la questione, la possibilità di sottoporre al proprio giudizio non solo il Trattato nel suo complesso, ma anche ogni singolo atto comunitario, giurisprudenza della Corte di Giustizia compresa, per verificare la conformità con le previsioni costituzionali circa i diritti fondamentali dell'uomo.

Data: 01/02/2015 18:00:00
Autore: Avv. Federica Federici