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Diritto militare: Aspirante Volontario in Ferma permanente e procedimento penale.

Il venir meno della vicenda penale cancella i dubbi sulla moralità del militare


Avv. Francesco Pandolfi - Cassazionista
L'inizio di un procedimento penale non consente all'Amministrazione di emettere un giudizio definitivo circa la moralità e la professionalità di un aspirante volontario in ferma permanente, in coerenza con quanto disposto dall'art. 27 comma 2 Cost.: di conseguenza, venuta meno l'imputazione a carico di un individuo, nessun dubbio può essere sollevato circa la sua idoneità morale a ricoprire quel determinato ruolo.
L'esclusione di un candidato da un concorso (ammissione di 1750 unità nel ruolo di volontari di truppa in servizio permanente dell'Esercito Italiano), motivata con riferimento alla mera pendenza di un procedimento penale al momento della presentazione della domanda di partecipazione ad una procedura concorsuale, adottata prescindendo del tutto dalla valutazione circa l'esito di tale procedimento ( quand'esso - come nella specie - sia favorevole al candidato, nel frattempo pure immesso in servizio ), si inserisce in un'ottica di rigida applicazione delle norme.
Ne deriva una lettura formalistica della documentazione, avulsa dal riscontro oggettivo dei fatti, che si risolve, in ultima analisi, in una distorsione dei canoni di legittimità e buon andamento dell'azione amministrativa.
L'importante principio è stabilito dal Consiglio di Stato sezione 4, con la pregevole sentenza n. 965 del 26.02.2015.

In buona sostanza, la pubblica amministrazione deve adottare i principi di ragionevolezza e proporzionalità nelle proprie decisioni.

Da una parte il principio di proporzionalità impone all'amministrazione di adottare un provvedimento non eccedente quanto è opportuno e necessario per conseguire lo scopo prefissato: nel caso in cui l'azione amministrativa coinvolga interessi diversi, è doverosa un'adeguata ponderazione delle contrapposte esigenze, al fine di trovare la soluzione che comporti il minor sacrificio possibile.

La proporzionalità non deve essere considerata come un canone rigido ed immodificabile, ma si configura quale regola che implica la flessibilità dell'azione amministrativa ed, in ultima analisi, la rispondenza della stessa alla razionalità ed alla legalità.

In definitiva, il principio di proporzionalità va inteso “nella sua accezione etimologica e dunque da riferire al senso di equità e di giustizia, che deve sempre caratterizzare la soluzione del caso concreto, non solo in sede amministrativa, ma anche in sede giurisdizionale” (cfr. da ultimo Cons. Stato, sez. V, 21 gennaio 2015 n. 284).

Parallelamente, la ragionevolezza costituisce un criterio al cui interno convergono altri principi generali dell'azione amministrativa (imparzialità, uguaglianza, buon andamento): l'amministrazione, in forza di tale principio, deve rispettare una direttiva di razionalità operativa al fine di evitare decisioni arbitrarie od irrazionali.

Sul punto, la giurisprudenza ha chiarito che il criterio di ragionevolezza impone di far prevalere la sostanza sulla forma qualora si sia in presenza di vizi meramente formali o procedimentali, in relazione a posizioni che abbiano assunto una consistenza tale da ingenerare un legittimo affidamento circa la loro regolarità (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 14 novembre 2014 n. 5609; id. 18 agosto 2009 n. 4958; id. 2 ottobre 2007, n. 5074).

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Data: 24/03/2015 16:00:00
Autore: Avv. Francesco Pandolfi