Responsabilità magistrati: il problema dell'irretroattività della riforma
In materia civile la legge ordinaria non incontra in generale il limite della retroattività, ma solo quello della retroattività irragionevole
di Lucia Di Giovine - Il 19 marzo 2015 è entrata in vigore la legge 27 febbraio 2015, n. 18 (G.U. n.52 del 4.3.2015) di riforma della legge 13 aprile 1988, n.117 (c.d. legge Vassalli), rubricata "Risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati", immediatamente ponendosi il problema della sua applicabilità a fattispecie verificatesi prima del 19 marzo 2015.
Il problema dell'irretroattività
Nel nostro ordinamento, l'art. 11 delle Disposizioni preliminari al Codice Civile afferma un generale principio di irretroattività: "La legge non dispone che per l'avvenire: essa non ha effetto retroattivo".
Pertanto, la legge esclude che una norma giuridica possa applicarsi ad atti, fatti, eventi o situazioni verificatesi prima della sua entrata in vigore.
Tuttavia, mentre in ambito penale, ai sensi dell'art. 25 Cost., resta preclusa al legislatore la possibilità di emanare leggi retroattive (salvo il favor rei), in materia civile la legge ordinaria non incontra in generale il limite della retroattività, ma solo quello della retroattività "irragionevole" (Corte Cost., sent. n. 118 del 1957), in base al principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 della Costituzione.
Peraltro, la retroattività è espressamente riconosciuta per le norme dichiarate d'interpretazione autentica, ovvero, tenendo conto della peculiarità delle fattispecie, essa può presupporsi qualora il legislatore non abbia espressamente previsto una specifica disciplina transitoria.
Difatti, con riferimento ai principi generali in materia di successione di leggi nel tempo e fatto salvo il principio della cosa giudicata, la nuova legge può applicarsi agli effetti non esauriti di un rapporto giuridico sorto anteriormente quando sia diretta a regolare questi effetti indipendentemente dall'atto o dal fatto giuridico che li generò; quando invece essa, per regolare gli effetti, agisce sul fatto o sull'atto generatore del rapporto, la legge nuova, salve espresse disposizioni, non estende la sua portata a quegli effetti.
Nel caso che ci riguarda, la legge 27 febbraio 2015 n. 18 ha ampliato l'area di responsabilità dello Stato e dei magistrati in linea con il diritto dell'Unione Europea, includendo le ipotesi di violazione manifesta delle norme di legge, ovvero manifesto errore nella rilevazione dei fatti e delle prove ed altresì abrogando il filtro posto all'azione di risarcimento e costituito da un previo procedimento di ammissibilità della domanda giudiziale.
In sostanza, dovrebbe concludersi che, poiché la legge ha inciso sul fatto generatore del diritto ampliandone l'area, in assenza di espresse norme di transizione le nuove norme troverebbero applicazione solo per i fatti successivi al 19.3.2015.
Tuttavia, è noto che la riforma è stata un atto dovuto, quale correttivo richiesto alla disciplina interna a seguito della procedura d'infrazione aperta contro l'Italia dalla Commissione dall'Unione Europea (C-379/10) dopo la sentenza del 13 giugno 2006, C-173/03, Traghetti del Mediterraneo/Italia e l'ulteriore procedura di messa in mora (ex art. 260 TFUE) del 26 settembre 2013 dopo la sentenza della Corte di Giustizia del 24 novembre 2011, la quale ha rilevato che la normativa italiana, laddove esclude la responsabilità di un organo giurisdizionale di ultimo grado derivante dall'interpretazione di norme di diritto o dalla valutazione di fatti e di prove, e laddove limita tale responsabilità ai casi di dolo o di colpa grave, è in contrasto con il principio generale di responsabilità degli Stati membri.
A tale scopo l'art. 1 della nuova legge prevede testualmente "La presente legge introduce disposizioni volte a modificare le norme di cui alla legge 13 aprile 1988, n.117, al fine di rendere effettiva la disciplina che regola la responsabilità civile dello Stato e dei magistrati, anche alla luce dell'appartenenza dell'Italia all'Unione Europea".
Tenuto conto della peculiarità della fattispecie e del principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost., sembrerebbe evidente che la volontà del legislatore, nel dichiarare espressamente di "rendere effettiva la disciplina", dovrebbe essere quella di volersi adeguare al diritto dell'Unione eliminando ex tunc l'incompatibilità del nostro sistema con il diritto europeo, così come interpretato dalla Corte di Giustizia, atteso che il principio di responsabilità dello Stato per i danni arrecati ai cittadini dai propri organi è stato affermato fin dalla sentenza del 19 novembre 1991, cause riunite C-6/90 e C-9/90, Francovich, Bonifaci e altri/Italia.
In essa la Corte afferma che gli Stati membri sono tenuti verso i propri cittadini al risarcimento dei danni prodotti dai propri organi (legislativi, amministrativi, giudiziari) in modo analogo a quanto è tenuta a fare la Comunità per i danni prodotti dalle proprie Istituzioni, essendo il principio della responsabilità patrimoniale dello Stato "inerente" al sistema dei Trattati, ed atteso che, se i singoli non avessero la possibilità di ottenere un concreto risarcimento per la lesione del diritto da parte dello Stato, sarebbe messa a repentaglio la piena efficacia delle norme comunitarie (alle quali va riconosciuta la primazia sul diritto interno) e sarebbe infirmata la tutela dei diritti da queste riconosciuti.
Nella sentenza del 13 giugno 2006, C-173/03, Traghetti del Mediterraneo/Italia la Corte afferma che non è conforme al diritto comunitario una legislazione interna che non riconosce la responsabilità di un organo giurisdizionale in ipotesi di errata interpretazione di norme giuridiche, di errata valutazione di fatti e di prove, di violazione manifesta del diritto comunitario, ovvero che limiti la sussistenza della responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave del giudice.
A seguito di tali sentenze, emesse su rinvio pregiudiziale d'interpretazione, la Commissione dell'Unione ha aperto (dopo invio di diffida e di parere motivato rimasti inevasi) un procedimento d'infrazione contro l'Italia (C-379/10 Commissione/Italia), cui ha fatto seguito la sentenza del 24 novembre 2011, nella quale la Corte ha accertato e dichiarato l'incompatibilità della legge n.117/1988 con il diritto dell'Unione, posto che con la locuzione "diritto dell'Unione" devono intendersi anche le sentenze della Corte di Giustizia che riconoscono principi generali.
Se non fosse intervenuto il legislatore, a questa sentenza, dopo la messa in mora, ne avrebbe fatto seguito un'altra di condanna a sostanziose pene pecuniarie (come è avvenuto per la fattispecie dell'inadempimento alle direttive sullo smaltimento dei rifiuti, sentenza del 26.04.2007, C-135/05, e sentenza del 02.12.2014, C-196/13, con condanna dell'Italia al pagamento forfettario ed immediato di 40 milioni di euro ed una ulteriore penalità di 42,8 milioni di euro per ogni semestre di ritardo nell'attuazione delle misure necessarie a dare piena esecuzione alla sentenza del 2007).
Ora, a favore dell'applicabilità retroattiva delle nuove norme anche a fattispecie pregresse alla data del 19 marzo 2015 depone quanto affermato dalla Corte di Lussemburgo nella sentenza del 5 marzo 1996, cause riunite C-46/93 e C-48/93, Brasserie du pecheur et Factortame Ltd/Germania e Regno Unito. La Corte testualmente precisa: "L'obbligo, a carico di uno Stato membro, di risarcire i danni causati ai singoli dalle violazioni del diritto comunitario ad esso imputabili non può essere limitato ai soli danni subiti successivamente alla pronuncia di una sentenza della Corte che accerti l'inadempimento conseguente a tali violazioni. Infatti, il diritto al risarcimento esiste sulla base del diritto comunitario. . . Inoltre, subordinare il risarcimento del danno al presupposto di una previa constatazione, da parte della Corte, di un inadempimento del diritto comunitario imputabile allo Stato membro interessato urterebbe contro il principio dell'effettività del diritto comunitario."
Analogamente, può affermarsi che l'obbligo di risarcire i danni non può essere limitato ai soli danni subiti successivamente ad un intervento normativo, peraltro riequilibratore del diritto dell'Unione violato e necessitato da un procedimento d'infrazione e da accertata e dichiarata violazione del diritto comunitario, atteso che il diritto attribuito ai cittadini esiste già sulla base del diritto dell'Unione, indipendentemente dall'intervento normativo. Né l'obbligo al risarcimento per determinati fatti può essere subordinato al presupposto dell'entrata in vigore dell'intervento normativo che li preveda (il quale, peraltro, costituisce semplice riconoscimento della pregressa violazione), perché ciò urterebbe contro il principio di effettività della tutela giurisdizionale del diritto dell'Unione. Ne deriva che, sia per tali motivi, sia per il generale principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost., l'obbligo al risarcimento deve trovare applicazione anche nei confronti di fatti pregressi al 19 marzo 2015, fatti salvi i giudicati, non operando in tal caso, per la peculiarità della fattispecie e per il generale principio di ragionevolezza, il principio di irretroattività di cui all'art. 11 delle preleggi al codice civile.
Ogni diversa soluzione continuerebbe a determinare la perdurante violazione sia del principio di responsabilità dello Stato per danni causati ai cittadini dalle proprie istituzioni per violazioni del diritto dell'Unione, sia del principio di effettività della tutela giurisdizionale (art. 19.2 TUE e art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione), vale a dire garantire in fatto e in diritto la soddisfazione effettiva e non illusoria dell'interesse sostanziale dedotto in giudizio dal ricorrente, oltre a violare ulteriori principi generali del diritto dell'Unione, quali: il primato del diritto comunitario su quello interno; l'obbligo per il giudice nazionale di disapplicare la norma interna con esso configgente, qualora non ne possa assicurare la conformità per via interpretativa; la portata precettiva delle sentenze interpretative della Corte estesa ad analoghe e successive fattispecie (principio del precedente vincolante); il principio di piena e diretta efficacia delle norme e dei principi comunitari; l'obbligo di tutela effettiva ed efficace; l'obbligo di leale cooperazione incombente sullo Stato (art. 4 n.3 TUE), secondo cui gli Stati devono adottare ogni misura di carattere generale o particolare atta ad assicurare l'esecuzione degli obblighi derivanti dal diritto dell'Unione.
In conclusione, ogni diversa soluzione determinerebbe un'ulteriore violazione grave e manifesta sia del principio di leale collaborazione, sia dello stesso principio di effettività della tutela giurisdizionale, affermato come fine nello stesso art. 1 della legge 27 febbraio 2015 n. 18, con possibile impedimento alla chiusura della procedura d'infrazione e messa in mora ancora aperta davanti alla Commissione.
Lucia Di Giovine - digiovine.l@tiscali.it
Data: 19/03/2015 21:45:00Autore: Lucia Di Giovine