Passo "falso” a bordo piscina? Nessun risarcimento per la vittima
di Marina Crisafi - Non c'èrisarcimento per il capitombolo a bordopiscina anche in presenza di un liquido scivoloso, a meno che non si provispecificamente la “natura” del liquido stesso.
Così si espressa laterza sezione civile della S.C. consentenza n. 9009/2015 depositata il 6 maggio scorso, rigettando le doglianze diun uomo che rimaneva vittima di una disavventura in un centro sportivo dellaPolizia di Stato, prendendo uno “scivolone” mentre camminava a bordo piscina.
L'uomo trascinava in giudizio il Ministero dell'Internoe il Fondo di Assistenza del personale della Polizia di Stato per ilrisarcimento dei danni subiti, addebitando la caduta alla presenza di unliquido scivoloso mescolato all'acqua del bordo piscina.
L'istanza,rigettata in primo grado, veniva accolta dalla Corte d'Appello di Roma che liquidava alla vittima quasi 11mila eurooltre interessi e rivalsa delle spese processuali, sulla base della violazionedel principio del neminem laedere,ex art. 2043 c.c., ravvisando la sussistenzadell'elemento oggettivo della presenza di “sostanze solitamente nonrinvenibili in quel luogo e di quello soggettivo della loro non visibilità orilevabilità con la normale diligenza”.
Ma la Cassazione tira una brusca frenata, ribaltandoil verdetto.
Ribadendo unprincipio pacifico e anche abbastanza scontato, la Corte infatti ha ricordatoche il bordo della piscina è per suanatura “bagnato” proprio a ragione dell'attività che vi si svolge, e dunqueil rischio “va doverosamente calcolatoed evitato”, magari indossando calzature adeguate e comunque adeguandosialla massima prudenza, non potendosi invocare, “una volta che una caduta dannosa si è verificata, come fonte diresponsabilità l'esistenza di una situazione di pericolo che rientra nel rischio generico proprio dei luoghi,evitabile in base a una condotta normalmente diligente”.
Vaconsiderato, inoltre, ha sottolineato la S.C., che quando venga invocata, comenel caso di specie, la regola generale dettata dall'art. 2043 c.c., grava sul danneggiato l'onere di provareun'anomalia dello stato dei luoghi che anche se non integra gli estremi dell'insidiao trabocchetto “è comunque idonea a prefigurare una condotta colposa (o dolosa)della parte convenuta, fornendo quindi almeno implicitamente la prova dell'elementosoggettivo, comunque necessaria”. E in ogni caso, sia nell'ipotesi diresponsabilità del custode ex art. 2051 c.c., sia in quella evocata ex art.2043 c.c., hanno spiegato gli Ermellini, “ilcomportamento colposo del danneggiato può - in base ad un ordine crescentedi gravità - o atteggiarsi a concorso causale colposo (valutabile ai sensidell'art. 1227, 1° comma, c.c.), ovvero escludere il nesso causale tra cosa edanno e, con esso, la responsabilità del custode (integrando gli estremi delcaso fortuito rilevante a norma dell'art. 2051 c.c.) e a maggior ragione ove siinquadri la fattispecie del danno nella previsione di cui all'art. 2043 c.c.”
Quantoall'”elemento oggettivo”, la mancanza diqualsiasi ulteriore precisazione sulla “natura del liquido” che avrebbeprovocato la caduta, hanno concluso dal Palazzaccio accogliendo il ricorso delMinistero, rende “insuperabilmenteinsufficiente la motivazione, in fatto, della sentenza impugnata e,correlativamente, apodittico il giudizio svolto in diritto circa l'ascritta violazione del principio del neminemlaedere”.
Data: 10/05/2015 12:30:00Autore: Marina Crisafi