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Cassazione: va risarcito il danno da tardiva diagnosi

I giudici della corte riconoscono il danno morale patito a causa del non tempestivo riconoscimento di una patologia terminale


di Lucia Izzo - L'omissione o la tardiva diagnosi di una patologia terminale cagiona al paziente un danno, nonostante l'esito ineluttabile della malattia, con conseguente responsabilità medica dello specialista e necessità di risarcire il danno morale terminale patito.


La Corte di Cassazione, terza sezione civile, è tornata ad esprimersi, con la sentenza n. 16993/2015 (qui sotto allegata), circa il risarcimento danno da omessa diagnosi di una malattia terminale e sul nesso di causalità tra l'evento e il non tempestivo riconoscimento della patologia da parte del medico.

Nel caso di specie, gli eredi di una donna deceduta a causa di un carcinoma all'utero propongono domanda di risarcimento danno nei confronti del ginecologo che la ebbe in cura per cinque mesi tra il 1992 e il 1993. Il professionista è ritenuto responsabile di non aver tempestivamente diagnosticato la malattia, nonostante le continue perdite ematiche e i controlli a cui la donna si sottopose.

Gli Ermellini ribaltano l'esito della vicenda, poiché la Corte d'appello territoriale aveva negato la sussistenza del nesso causale tra il ritardo diagnostico della malattia e la morte della signora, considerando la patologia di sua natura particolarmente aggressiva e dall'esito inevitabile.


I giudici, premettendo che la misura della perizia nell'attività esercitata muta in relazione alla qualifica professionale del debitore ed alla specializzazione nello specifico settore di attività (cfr. Cass., 22222/2014), precisano che al professionista è richiesta una diligenza particolarmente qualificata, nonché il rispetto degli obblighi di buona fede oggettiva e correttezza, osservando obblighi di informazione e di solidarietà sociale.

Inoltre, in tema di danno alla persona conseguente a responsabilità medica, l'omissione della diagnosi di un processo morboso terminale, determinando un ritardo nell'esecuzione anche solo di un intervento c.d. palliativo, determina al paziente un danno per non aver potuto alleviargli il dolore, nonostante l'ineluttabilità della malattia.

A ciò si aggiunge la copiosa giurisprudenza che evidenzia la perdita per il paziente della chance di vivere per un (anche breve) periodo di tempo in più rispetto a quello poi effettivamente vissuto, ovvero anche solo della chance di conservare durante il decorso una "migliore qualità della vita".
Il paziente tempestivamente informato, avrebbe anche potuto scegliere cosa fare per fruire della salute residua, anche rinunciando alle cure per limitarsi ad esplicare le proprie attitudini psico-fisiche.


Nel caso in esame, il comportamento tenuto dal medico non è stato improntato alla dovuta diligenza, in quanto il professionista ha attuato un approccio diagnostico insufficiente in relazione ad un quadro patologico che andava approfondito con esami diagnostici specifici.
La Corte, accogliendo il ricorso degli eredi, rinvia alla Corte d'appello competente affinché riconosca il risarcimento del danno morale terminale ad essi dovuto a seguito della morte della congiunta.

Data: 21/08/2015 20:30:00
Autore: Lucia Izzo