Fecondazioni: la Cedu dice no alla ricerca sugli embrioni
di Marina Crisafi - Il divieto di usare gli embrioni umani per la ricerca scientifica continuerà a permanere. Non c'è nessuna violazione dei diritti dell'uomo. Lo ha stabilito la Corte europea dei diritti umani nella sentenza definitiva Parrillo contro Italia (ricorso n. 46470) resa nota poche ore fa.
L'attesa pronuncia, la prima della Corte dopo la pausa estiva, ha rigettato il ricorso presentato da Adelina Parrillo, vedova del proprio compagno ucciso nella strage di Nassiriya nel novembre 2003, che denunciava la violazione perpetrata dallo Stato italiano al diritto al rispetto della vita privata e familiare, di cui all'art. 8 della Convenzione dei diritti dell'uomo e dell'art. 1 del Protocollo n. 1 sul diritto di proprietà.
La donna aveva deciso di ricorrere alla procreazione assistita in vitro, e i cinque embrioni erano stati sottoposti alla procedura di “crioconservazione”. A seguito della morte del compagno, aveva quindi deciso di donarli alla scienza, affinché potessero essere impiegati nella ricerca, ma la richiesta veniva respinta dai giudici italiani, in base al divieto di sperimentazione sugli embrioni contenuto nella legge n. 40/2004, anche se gli stessi erano stati ottenuti in data antecedente all'entrata in vigore della legge.
Così nel 2011, la donna aveva fatto ricorso a Strasburgo, e la Grande Camera ha rinviato il caso ad oggi emettendo il suo verdetto negativo.
Nonostante le “attese” (visto che già nel 2012, un pezzo della legge 40 era stato bocciato da Strasburgo, che aveva dichiarato illegittimo il divieto di ricorso all'omologa in vitro necessario per la diagnosi preimpianto), e il “dibattito significativo” generato sul tema, la Corte ha deciso che la legge n. 40/2004 che vieta la sperimentazione sugli embrioni umani è legittima, riconoscendo all'Italia ampi margini di manovra su una materia così delicata sulla quale non vi è ancora un consenso a livello europeo.
Per “giustificare” la sua decisione, la Grande Camera ha affermato inoltre che non esistono prove che il compagno defunto della signora concordasse con la donazione degli embrioni alla scienza.
Per cui nessuna violazione dei diritti al rispetto e alla vita familiare è stata commessa dallo Stato italiano né, altresì, ha dichiarato la Cedu può applicarsi al caso di specie il diritto alla proprietà invocato dalla donna, posto che gli embrioni umani “non possono essere ridotti a una proprietà come definita dall'articolo 1 protocollo 1 della Convenzione europea dei diritti umani”.
Entro l'anno, sulla base del calendario di udienze fissato, la Corte tornerà a giudicare l'Italia in materia di trattamenti disumani e degradanti in una vicenda di immigrazione, sul caso Abu Omar, sui risarcimenti in materia di sangue infetto, sui fatti di Bolzaneto avvenuti durante il G8 di Genova e su un ricorso in tema di maternità surrogata all'estero.
Data: 27/08/2015 14:00:00Autore: Marina Crisafi