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Stalking: il divieto di avvicinamento e i contrasti della giurisprudenza

Alla luce delle incertezze interpretative, è auspicabile un intervento delle sezioni unite che chiarisca l'esatta portata della misura cautelare


di Valeria Zeppilli – L'articolo 282-ter del codice di procedura penale, inserito dal decreto legge numero 11 del 23 febbraio 2009, disciplina la misura cautelare del divieto di avvicinamento.

Con essa, in sostanza, si prevede che l'imputato, nei confronti del quale la misura è stata applicata, non deve avvicinarsi a luoghi determinati frequentati dalla persona offesa o deve comunque mantenere una determinata distanza da essi o dalla stessa persona offesa.

Nel caso in cui le esigenze di tutela lo rendano necessario, poi, il giudice può prescrivere che i luoghi oggetto della misura siano anche quelli frequentati abitualmente dai prossimi congiunti della vittima o da persona che con essa convivano o che siano ad essa legate da una relazione affettiva.

Il giudice può anche vietare all'imputato di comunicare con tutte tali persone.

Nel caso in cui, tuttavia, i luoghi sopra indicati debbano essere frequentati dall'imputato per esigenze lavorative o abitative, con la misura in esame il giudice deve prescrivere le modalità di frequentazione e può imporre limitazioni ad essa.

Nonostante, così descritta, la norma sembri apparentemente chiara, all'interno della giurisprudenza non sussiste, in realtà, unanimità di vedute circa la sua applicazione in concreto, specie con riferimento al reato di atti persecutori, in relazione al quale essa è stata creata.

In effetti, si tratta di una misura cautelare che, a differenza delle altre, ha la caratteristica di potersi adattare alle situazioni che in concreto si vogliono tutelare e che affida, quindi, al giudice il ruolo di delineare, in concreto, i suoi confini di applicazione.

In ogni caso, su un punto la Cassazione sembra ormai allineata.

Vi è, infatti, unanimità di vedute nel ritenere che, nel caso in cui la misura cautelare si limiti a vietare l'avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, sia necessario individuare quelli ove la stessa abitualmente si reca o passa del tempo, senza che la restrizione possa essere caratterizzata esclusivamente in senso "personale".

In caso contrario, del resto, si avrebbe una violazione di quanto disposto dall'articolo 282-ter c.p.c., ostacolandosi sia l'esecuzione della misura che il controllo effettivo del rispetto delle prescrizioni.

In tal senso, si vedano, recentemente, la sentenza della quinta sezione, numero 5664 del 6 febbraio 2015, e quella della sesta sezione, numero 83333 del 24 febbraio 2015.

Al di là di questo presupposto "concordato", all'interno della Corte di cassazione, come si è accennato, vi è tuttavia un contrasto interpretativo rilevante, che si auspica venga risolto con l'intervento delle Sezioni Unite.

Si tratta del caso in cui con la misura cautelare siano previsti, cumulativamente, sia l'obbligo di non avvicinarsi alla persona offesa che quello di non avvicinarsi ai luoghi di abituale frequentazione da parte della stessa.

Secondo una parte della giurisprudenza, riconducibile alla quinta sezione, in tale ipotesi non è possibile predeterminare i luoghi che la persona offesa frequenta se non si vuole incorrere nel rischio di limitare eccessivamente e inammissibilmente la libertà di quest'ultima nello svolgimento della propria vita sociale.

In tal senso, recentemente si veda, ex multis, la pronuncia numero 5664 del 6 febbraio 2015.

Al contrario, altra parte della giurisprudenza, riconducibile alla sesta sezione, ritiene che il divieto di avvicinamento debba anche in questi casi indicare dettagliatamente i luoghi ai quali l'imputato non deve avvicinarsi, soprattutto in ragione del fatto che le finalità di prevenzione dei due divieti e le limitazioni alla libertà di circolazione che essi pongono devono comunque reputarsi distinte.

In tal senso si veda, ad esempio, limitandosi alle pronunce più recenti, la sentenza numero 28666 del 6 luglio 2015.

Sempre la sesta sezione, oltretutto, con la sentenza numero 14766 del 28 marzo 2014 era arrivata addirittura a negare che fosse possibile, in quanto contrario al divieto di cumulo delle misure cautelari, riempire la misura prevista dall'articolo 282-ter del codice di procedura penale contemporaneamente con il divieto di avvicinamento personale e con quello reale.

Si precisa, per completezza, che nel caso in cui il provvedimento coercitivo preveda il solo divieto di avvicinamento alla persona offesa (o a taluno degli altri soggetti contemplati dalla norma), è chiaro che non è necessario individuare concretamente e dettagliatamente l'area entro la quale l'indagato non può "avventurarsi".


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Data: 18/11/2015 12:00:00
Autore: Valeria Zeppilli