Anche lanciare gavettoni può essere reato
di Marina Crisafi - A Carnevale ogni scherzo vale dice il proverbio, ma d'estate evidentemente no. Possono confermarlo quattro ragazzi che in pieno agosto non sapendo come passare il proprio tempo hanno pensato di divertirsi a lanciare da una terrazza palloncini pieni d'acqua addosso alla gente. Le risate a più non posso per ogni gavettone andato a segno, però, si sono presto trasformate in "lacrime" quando uno dei tanti palloncini ha centrato in pieno un passante in un occhio provocandogli gravi lesioni. Scoperti dai carabinieri i 4 goliardici si sono beccati, infatti, una condanna per lesioni personali colpose. Condanna ora confermata definitivamente dalla Cassazione, che con la recente sentenza n. 46992/2015 (qui sotto allegata), ha ritenuto evidente la consapevolezza della follia compiuta dai quattro protagonisti della vicenda, a prescindere da chi ha effettuato il lancio fatale che ha colpito l'occhio della vittima.
Per gli Ermellini, vanno condannati tutti e quattro, perché si ravvisa la cooperazione colposa di cui all'art. 113 c.p., in quanto erano tutti consapevoli della condotta sconsiderata che gli altri compivano alla loro presenza lanciando i gavettoni nel luogo sottostante frequentato da più persone.
Secondo il consolidato indirizzo della giurisprudenza (cfr., per tutte, Cass. n. 43083/2013), ha ritenuto difatti la Corte "è responsabile ai sensi dell'art. 113 c.p. di cooperazione nel delitto colposo l'agente il quale, trovandosi a operare in una situazione di rischio da lui immediatamente percepibile, pur non rivestendo alcuna posizione di garanzia, contribuisca con la propria condotta cooperativa all'aggravamento dei rischio, fornendo un contributo causale giuridicamente apprezzabile alla realizzazione dell'evento, ancorché la condotta del cooperante in sé considerata appaia tale da non violare alcuna regola cautelare, essendo sufficiente l'adesione intenzionale dell'agente all'altrui azione negligente, imprudente o inesperta, assumendo così sulla sua azione il medesimo disvalore che, in origine, è caratteristico solo dell'altrui comportamento".
Né si può invocare, come pretendono i difensori dei ragazzi, la non punibilità per particolare tenuità del fatto, in quanto il danno provocato all'organo della vista della persona offesa "è tale da indurre a ritenere che il fatto commesso dagli odierni ricorrenti, per l'entità dell'esito lesivo che lo ha caratterizzato, non possa dirsi particolarmente tenue".

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Data: 06/12/2015 16:00:00
Autore: Marina Crisafi