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Interdizione: tutela o morte civile? Intervista a Paolo Cendon

Il progetto del noto giurista per una nuova tutela della persona: il ddl per abrogare interdizione e inabilitazione e il settimo libro del codice civile


di Marina Crisafi - Che senso ha oggi l'interdizione? E l'inabilitazione? Istituti nati in un'epoca di assolutismo mirante a proteggere soprattutto gli interessi patrimoniali e non i diritti della persona. Concezioni che appaiono ormai anacronistiche e superate, soprattutto negli ultimi anni tesi ad un progressivo riconoscimento di una parziale capacità agli "infermi" di mente, ma che continuano ancora oggi a produrre i loro effetti. Secondo i dati, infatti, sarebbero 40mila i soggetti interdetti ogni anno, soggetti cui è impedito, tra l'altro, sposarsi, fare testamento, riconoscere un figlio. Una vera e propria "morte civile" dal sapore "manicomiale" e spesso priva di valore terapeutico che, peraltro, grava sullo Stato in termini di elevata costosità.

A dodici anni dall'entrata in vigore della legge sull'amministrazione di sostegno che ha incrinato la logica precedente, i tempi sembrano maturi per un'abrogazione di entrambi gli istituti.

Ne parliamo con Paolo Cendon, professore di diritto privato all'università di Trieste, padre riconosciuto del danno esistenziale e "madre" dell'amministrazione di sostegno, nonché autore e redattore della proposta di legge sull'abrogazione dell'interdizione e dell'inabilitazione (insieme all'avv. Rita Rossi) che, dopo una lunga giacenza è ora all'esame della commissione giustizia alla Camera.

Prof. Cendon, che senso hanno oggi l'interdizione e l'inabilitazione?

Non hanno senso, ma sono dure a morire. Il Ministero non ha diffuso dati recenti, qualche anno fa si parlava di 40mila casi esistenti, qualcuno anche di più, ma il numero è ancora impressionante.

Quali sono le ragioni?

Nonostante ci sia un interesse diffuso alla loro abrogazione, le ragioni di questi numeri sono parecchie.

Da un lato le meschinità delle famiglie che sfruttano in qualche modo il fatto di avere un matto in famiglia, come una fortuna, dal quale ricavare una pensione di invalidità sulla quale campano tutti. Poi c'è il fatto che l'interdizione permette secondo loro un controllo sul patrimonio dell'interessato, e quindi di evitare dispersioni, disastri, errori, tenendo soggiogato l'interessato ai desideri del gruppo familiare. Queste e altre considerazioni sono da imputare alla famiglia, a certe famiglie soprattutto del Sud, ma non soltanto lì naturalmente e spiegano il fatto che molte volte sono proprio i familiari, più rozzi più ottusi più indifferenti, approfittatori, sciacalli a usare il parente, l'infelice come uno strumento.

Poi ci sono i giudici secondi imputati, di solito sono brave persone ma spesso non sono così. Ci sono giudici scarsamente competenti, poco dotati, inesperti di psicologia, non si rendono conto neanche di cosa sia il manicomio. Oppure c'è una venatura autoritaria oppressiva che è nascosta in molti giudici che amano il potere e le sciabole, i tintinnii del metallo e quindi uno strumento forte come l'interdizione.

Ancora, ci sono molti psichiatri a livello di Medioevo, non sanno niente di cosa è successo negli ultimi cento anni in Europa, da nessun punto di vista, e sono convinti che ci siano dei matti al 100% degli incapaci da interdire, da ghigliottinare, e fanno delle perizie con linguaggio lombrosiano, spaventoso.

Poi c'è su tutti quanti la paura della follia che non va dimenticata. La follia per una serie di ragioni, complici anche i fatti di sangue che leggiamo sui giornali, che porta a immaginare che uno strumento rigido antico, maschile, segregativo come l'interdizione possa essere più efficace per esorcizzare, svelenare questo pericolo tanto temuto.

Anche le inabilitazioni soffrono di questo automatismo, sempre l'idea che ci sia questo male del matto che può fare male a se stesso e agli altri o comunque al patrimonio della famiglia, un pericolo da ingabbiare.

Dodici anni fa la logica "patrimoniale" (in cui furono concepite interdizione e inabilitazione) è stata "incrinata" dalla legge sull'amministrazione di sostegno, di cui lei è "madre" riconosciuta, come ama definirsi.

Quali risultati sono stati ottenuti?

Bé innanzitutto la legge ha avuto molto successo. Un successo superiore alle aspettative. Si pensava che sarebbe stato un gioco di decreti, di procedimenti messi in atto nei vari tribunali, che gestissero qualche situazione, invece soprattutto in certi tribunali più sensibili, ma anche in città come Roma, Venezia, Bologna, Milano c'è stata una vera e propria ondata di passione, di entusiasmo. Alcuni giudici hanno trovato quasi il senso della loro missione, della loro professione, in questa legge. Anche molti avvocati, il volontariato, i movimenti, gli assessori. Insomma, i vari protagonisti del processo hanno dimostrato di vivere questa occasione storica della riforma legislativa come punto di partenza per rimeditare un po' la gestione della fragilità.

Certo non è bastato per convincere proprio tutti i tribunali, ci sono delle location, dei luoghi geografici in cui abbiamo constatato purtroppo un persistere del ricorso all'interdizione. Però, tutti questi episodi patologici non ci possono fare dimenticare questa ondata di entusiasmo, di riconoscenza, che da tanti muschi dell'Italia sono venuti. Direi che questo è il fatto più significativo e che ci induce a sperare che oggi la battaglia che incominciamo a fare per abrogare l'interdizione potrebbe avere un esito migliore.

Veniamo, dunque, al ddl. Cosa propone?

Bè innanzitutto l'abrogazione in toto di entrambi gli istituti. Prendere le norme del codice e delle leggi speciali che riguardano questi istituti e buttarle via, lasciando spazio solo all'amministrazione di sostegno, rimodulata sui singoli casi.

Ma non solo.

La novità del disegno di legge è che non ci si limita ad abrogare. Io e l'avv. Rita Rossi di Bologna, che con me è autrice di questo progetto, abbiamo voluto toccare un po' tutti i punti significativi.

Per esempio, siamo intervenuti sulla responsabilità extracontrattuale, l'art. 2046, siamo intervenuti sul 428, cioè sull'incapacità naturale, siamo intervenuti con nuovi strumenti, per quanto riguarda il testamento e la donazione, abbiamo introdotto un nuovo istituto, tipo trust all'italiana, che è il patrimonio di destinazione, che sopperirebbe alla figura macchinosa del fedecommesso.

Agendo su tante altre piccole cose che fanno da contorno all'abrogazione dell'interdizione. Non è un caso che abbiamo intitolato il nostro progetto "rafforzamento dell'amministrazione di sostegno": una manovra a tutto campo in cui l'abrogazione è solo una parte di un tratteggio riformistico globale della condizione del soggetto fragile in Italia.

Ma il ddl non basta….

Ovviamente, quello è un documento di riforma del codice civile e di qualche legge speciale, non è certamente la sede per indicare al legislatore, agli operatori sociali, al comparto amministrativo la necessità di far capo a un nuovo modo di organizzare giorno per giorno la gestione della fragilità.

Certamente è un punto importante, anzi essenziale, soprattutto in vista di un aumento dei decreti che ci saranno nel corso del tempo, di una crescita degli interventi richiesti dagli interessati ai giudici tutelari, il cui compito è veramente notevole e lo sarà sempre di più. Ora è impossibile che possano svolgerlo con le limitate forze che ci sono in Italia, quindi bisogna immaginare un modello, che del resto è molto frequente all'estero, che coniughi, intrecci sapientemente il momento giurisdizionale, legislativo, con quello amministrativo, il che significa sostanzialmente la necessità di varare a livello di comune, soprattutto, che secondo me è il cuore della gestione della fragilità, un ufficio/sportello, integrato con le risorse del volontariato, dei familiari, un gruppo di persone o un ente che faccia funzionare la legge, sostanzialmente gestendo in maniera efficiente sia i rapporti con la cittadinanza, sia quelli coi giudici che con gli amministratori in carica.

Una macchina a tutto campo che integra le varie piattaforme in una falda complessiva. Qualcosa di moderno, di efficiente, di semplice, che risolve i problemi, un po' come Wolf, il personaggio di Pulp Fiction…

Certo è una cosa complessa da realizzare, ricca di indicazioni pratiche ma decisiva. Il giorno che ci sarà questo sportello in ogni comune che funzioni adeguatamente, tutto sarà più semplice, i giudici non interdiranno più nessuno (anche se ci fosse ancora la legge), la cittadinanza sarà informata, saprà come fare, avrà meno paura del diritto, e gli stessi amministratori in carica saranno più aiutati a svolgere il loro lavoro.

La sua proposta, dopo una lunga giacenza, è ora all'esame della commissione giustizia alla Camera. È la volta buona?

Sì, stavolta, credo di sì.

La proposta di legge è in commissione giustizia e giace lì da un pò di tempo, e sarebbe rimasta molto più tempo se non ci fossimo dati da fare. Abbiamo trovato parlamentari molto capaci, anche varie forze politiche che han detto di volerci appoggiare. Il problema oggi è che il Parlamento è intasato da mille cose e poi c'è anche la mania dei deputati di pensare che l'unico diritto che esista al mondo è quello penale… Molto spesso il diritto civile è in secondo piano, poi i deboli che cosa vuole sono deboli perché nessuno si interessa di loro, aldilà delle parole, tutti sono pronti a stracciarsi le vesti e a citare il vangelo, nella pratica è un po' più difficile…. Ma ora, qualcuno si è accorto che c'è questa proposta e speriamo che ciò basti a farla camminare.

- Guardando al futuro, il codice civile secondo lei è ancora in grado di fare da contenitore a tutte queste riforme? O ci si dovrebbe muovere verso un vero e proprio codice della persona?

Io lo chiamo il "settimo libro" del codice civile. L'Italia ha fatto delle buone leggi negli ultimi 60 anni, non tutte buone, naturalmente, alcune sono cattive, discutibili, ma comunque abbiamo delle leggi coraggiose, capaci ed è un delitto secondo me permettere a tutte queste ricchezze di vivere sparpagliate nell'universo legislativo. Occorre cogliere l'occasione dell'amministrazione di sostegno che è un po' una legge leader, la stella cometa di un movimento così rinascimentale e tentare di fare il punto, dettando un giorno una specie di testo unico su tutti i diritti dei soggetti fragili, cominciando a distillare, a convogliare la ricchezza che c'è nelle singole leggi, scegliendole, accostandole, facendole confluire chissà su un nuovo testo della fragilità, sui diritti e doveri delle persone deboli, di cui si parla ancora troppo poco.

Data: 05/02/2016 12:00:00
Autore: Marina Crisafi