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Criticare un bar su Facebook non è reato

Non si tratta di diffamazione ma di espressione del diritto di critica poiché riferite a un locale pubblico


di Lucia Izzo - Affidare ai social network le proprie opinioni, positive e negative, è ormai una prassi consolidata: ma cosa succede se il cliente insoddisfatto cui proprio quel locale non va giù arriva al punto di creare un gruppo su Facebook il cui nome incita all'abolizione del locale stesso e i cui contenuti si traducono in commenti negativi sulla sua attività?


Per il Tribunale di Pistoia (sentenza del 16 dicembre 2015, qui sotto allegata), non sono integrati gli estremi del reato di diffamazione a mezzo internet, ma si rimane nell'alveo del diritto di critica, potendosi al più ritenere che i commenti contengano espressioni ironiche goliardiche, grottesche, ma non tali da ledere l'onore e il prestigio delle parti offese.

L'imputato, cliente insoddisfatto di un bar, aveva affidato ad un gruppo su FB le sue opinioni negative sul locale, lamentando la preponderante presenza maschile nel locale, la pessima composizione dei drink offerti e la ristrettezza del locale.

Ma per il Tribunale, tali espressioni si riferiscono ad attività svolte in un pubblico esercizio ed in particolare alla qualità scadente dei servizi offerti, circostanza che non può comportare alcuna diffamazione.

Si tratta di nient'altro che una scherzosa e ironica recensione di un locale pubblico da parte di clienti insoddisfatti, espressa con ironia e manifestazione del diritto di critica costituzionalmente tutelato che, laddove si eserciti nei confronti di un locale pubblico, dilata i suoi confini: chi si pone sul mercato, infatti, accetta il rischio di critiche qualora i servizi offerti non soddisfino le aspettative di coloro che ne usufruiscono, tanto più quanto tali servizi non sono gratuiti

Sono molteplici i precedenti giurisprudenziali che hanno valorizzato il potere esimente del diritto di critica tratteggiandone i confini: deve, in primis, essere accertata l'esistenza del fatto assunto ad oggetto o spunto del discorso critico e, in aggiunta, devono utilizzarsi modalità di espressione proporzionate e funzionali all'opinione o alla protesta, in considerazioni degli interessi e dei valori che si ritengono compromessi.
Pertanto, nel rispetto del c.d. canone della "continenza" deve trattarsi di una forma espositiva strettamente funzionale alla finalità di disapprovazione e che non trasmodi nella gratuita e immotivata aggressione dell'altrui reputazione.

Non è dunque vietato l'utilizzo di "coloriture ed iperboli, toni aspri o polemici, linguaggio figurato o gergale", essendo scriminati termini che, sebbene oggettivamente offensivi, siano insostituibili nella manifestazione del pensiero critico in quanto non hanno adeguati equivalenti.

I suddetti principi, applicati al caso di specie, determinano l'assoluzione dell'imputato perché il fatto non sussiste.

Data: 14/03/2016 19:00:00
Autore: Lucia Izzo