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Anche i detenuti devono pagare le tasse

Lo stato di detenzione non configura forza maggiore e non giustifica quindi gli inadempimenti col fisco


di Marina Crisafi - Stare in carcere non è una buona ragione per non pagare le tasse. La privazione della libertà personale infatti non è una causa di forza maggiore, in quanto il detenuto ben può, in occasione dei colloqui con i familiari e con terzi, fornire tutte le indicazioni per adempiere correttamente ai propri obblighi fiscali. Ad affermarlo è la Ctr della Lombardia con la recente sentenza n. 5328/67/2015, respingendo l'appello presentato da un contribuente che sosteneva di non aver presentato la dichiarazione dei redditi in quanto ristretto in carcere.

L'uomo era stato raggiunto da una contestazione dell'Agenzia delle entrate relativa al mancato versamento dell'Irpef per l'anno di imposta 2007 e in primo grado la Ctp di Brescia gli aveva dato parzialmente ragione, riducendo le imposte ma senza annullare la pretesa del fisco.

Il contribuente ricorreva pertanto in appello lamentando che le sanzioni non erano dovute giacchè per forza maggiore non aveva ottemperato ai propri obblighi fiscali, essendo ristretto in carcere fino al 2012 e quindi materialmente impossibilitato ad adempiere agli obblighi dichiarativi contestati dal fisco.

La tesi di fronte alla commissione regionale però non regge. Per i giudici lombardi, infatti, "lo stato di detenzione, di per sé, non configura quella forza maggiore che giustifica il mancato invio della dichiarazione". Questo perché il detenuto avrà sicuramente "potuto conferire con il suo difensore, per il tramite del quale avrebbe potuto informare il proprio consulente tributario".

La decisione, del resto, si innesca nel solco già seguito dalla giurisprudenza tributaria che in passato aveva affermato principi analoghi, sottolineando che il personale impedimento derivante dallo stato di detenzione non configura un caso di forza maggiore e non esclude dunque la punibilità per il mancato rispetto degli obblighi dichiarativi, atteso che "gli atti e i comportamenti censurati non devono e non dovevano di necessità avvenire personalmente, ma potevano essere realizzati con le modalità e per il tramite di soggetti terzi quali professionisti abilitati, parenti, conoscenti, etc." (cfr. Ctp Caltanissetta sentenza n. 708/01/2014).

Né tanto meno, nel caso di specie, aggiungono i giudici, può rilevare a favore del contribuente la circostanza relativa allo stress connesso alla reclusione in carcere che gli avrebbe fatto "dimenticare" i suoi obblighi fiscali.

Da qui il rigetto dell'appello.

Data: 29/03/2016 18:30:00
Autore: Marina Crisafi