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Cassazione: togliere il bancomat alla moglie è reato

La privazione delle disponibilità economiche unita ad altre modalità di maltrattamento integra il delitto ex art. 572 c.p.


di Marina Crisafi - Tagliare le disponibilità economiche alla moglie, lasciandole solo i soldi per fare la spesa, è reato. Lo ha stabilito la terza sezione penale della Cassazione con la sentenza n. 18937/2016 (qui sotto allegata), confermando la condanna di un uomo che aveva tolto alla moglie "la procura sul conto corrente e l'uso del bancomat, lasciandole solo una carta per la spesa al supermercato con un limitato plafond".

Difficile non parlare di maltrattamenti spiegano dal Palazzaccio, confutando la tesi della difesa secondo la quale l'imputazione ex art. 572 c.p. era insussistente, posto che la moglie aveva la disponibilità di uno stipendio, che la famiglia aveva sempre avuto un tenore di vita agiato, con viaggi all'estero e vita sociale intensa.

Per gli Ermellini si tratta solo di generiche asserzioni, inidonee a contrastare le affermazioni dei giudici di merito secondo cui il marito, togliendole la procura sul conto corrente e l'uso del bancomat, aveva privato sostanzialmente la moglie di ogni disponibilità economica, come emergeva anche dagli estratti conto prodotti che attestavano solo modesti pagamenti presso supermercati e negozi alimentari.

In ogni caso, poi, proseguono gli Ermellini la privazione delle disponibilità economiche è soltanto una delle numerose modalità di maltrattamento perpetrate dall'uomo ai danni della consorte: angherie quotidiane, insulti, violenze psicologiche e lesioni, peraltro non contestate dalla difesa, che valgono senz'altro la condanna ex art. 572 c.p.

Ma non solo. L'uomo si è reso responsabile anche di soprusi di carattere sessuale, costringendo la donna ad avere rapporti, "anche orali e anali, nonché masturbazioni, minacciandola, picchiandola, immobilizzandola con violenza, offendendola".

Nessun dubbio, dunque, per i giudici, sul valore spregevole delle sue condotte che fanno confermare anche la condanna per violenza sessuale. A nulla valgono le tesi difensive secondo le quali la moglie "avrebbe potuto troncare la relazione coniugale e con ciò evitare di avere rapporti sessuali". Su tale fronte, la S.C. ribadisce che non sussiste "alcun diritto del coniuge al compimento di atti sessuali come sfogo dell'istinto sessuale, anche contro la volontà dell'altro coniuge", con la conseguenza che i rapporti posti in essere con violenza e minaccia, come nel caso di specie, "configurano pienamente il reato di violenza sessuale". Il rapporto matrimoniale o di convivenza non autorizza, chiosano infatti i giudici, "alcun uso violento del corpo altrui, né limitazioni della libertà della persona o umiliazioni della sua dignità. E neppure l'ingiustificato e persistente rifiuto di rapporti sessuali legittima il ricorso ad alcuna forma di coercizione morale o fisica per ottenere la consumazione di tali rapporti".

Data: 09/05/2016 19:24:00
Autore: Marina Crisafi