Consulta: legittimo il raddoppio del contributo unificato
di Marina Crisafi - È legittimo il raddoppio del contributo unificato in tutti i casi di esito negativo dell'appello. Un aggravio giustificato dall'aver fatto funzionare invano la macchina della giustizia. Lo ha stabilito la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 120/2016 (depositata ieri qui sotto allegata), giudicando, in parte inammissibile e in parte infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 13 del testo unico delle spese di giustizia (d.p.r. n. 115/2002) sollevata dalla Corte d'Appello di Firenze.
La norma censurata prevede che quando l'impugnazione "è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l'ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma del comma 1-bis".
La q.l.c.
Per il collegio toscano, ciò comporterebbe un "aggravamento tributario", di natura "sanzionatoria", che, applicabile anche nel caso in cui l'appello sia dichiarato improcedibile ai sensi dell'art. 348, secondo comma, del codice di procedura civile per mancata comparizione dell'appellante alla prima udienza ed a quella successiva di cui gli sia stata data comunicazione, realizzerebbe un'ingiustificata disparità di trattamento – in violazione dell'art. 3 Cost. – rispetto all'ipotesi di cancellazione della causa dal ruolo e conseguente estinzione del processo ai sensi degli artt. 181 e 309 c.p.c. Inoltre, atteso che la disposizione censurata avrebbe natura tributaria, ad avviso della corte risulterebbe violato anche l'art. 53 Cost.
Sotto il profilo della rilevanza, il giudice a quo riferisce, altresì, che, a fronte della mancata comparizione della parte appellante alla prima udienza ed a quella successiva "dovrebbe dichiarare l'appello improcedibile ai sensi dell'art. 348, secondo comma, cod. proc. civ. e – in ragione di tale declaratoria – dovrebbe altresì rilevare la sussistenza di uno dei presupposti previsti per il versamento dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, così come prescritto dalla norma censurata".
Da qui, duque, l'illegittimità costituzionale dell'articolo, nella parte in cui prevede il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione anche nel caso di improcedibilità previsto dall'art. 348, 2° comma, c.p.c.
La decisione
Per la Consulta, la q.l.c. deve essere dichiarata inammissibile (giacchè il rimettente omette di illustrare compiutamente i motivi per cui la disposizione violerebbe il parametro indicato) e infondata.
Le situazioni messe a confronto dalla Corte d'appello infatti non sono omogenee.
La norma censurata – spiega la sentenza – "correla l'aggravio del contributo unificato all'integrale reiezione dell'impugnazione o alla sua declaratoria di inammissibilità o di improcedibilità. L'art. 348, secondo comma, c.p.c. prevede un'ipotesi di improcedibilità dell'appello, comminandola nel caso in cui l'appellante costituito ometta di comparire alla prima udienza ed a quella successiva, ritualmente comunicata. L'art. 181 c.p.c. – richiamato dall'art. 309 c.p.c. per le udienze successive alla prima ed applicabile nei giudizi di secondo grado in ragione del rinvio operato dall'art. 359 c.p.c. – stabilisce che, se nessuna delle parti compare alla prima udienza, il giudice ne fissi una successiva a seguito della quale, se di nuovo nessuna delle parti compare, ordina la cancellazione della causa dal ruolo e dichiara l'estinzione del processo".
Per cui non può condividersi l'asserita ingiustificata discriminazione tra le due fattispecie, posto che la norma impugnata sanziona la prima con il raddoppio del contributo unificato e ne lascia esente la seconda.
Nonostante il dato comune rappresentato dalla mancata comparizione, cui si correla sia l'improcedibilità di cui all'art. 348, 2° comma, c.p.c., sia la cancellazione della causa dal ruolo e l'estinzione del processo ai sensi degli artt. 181 e 309 c.p.c., difatti "le due fattispecie non sono equiparabili". Ciò, anzitutto, perché il regime del raddoppio del contributo unificato "accomuna tutti i casi di esito negativo dell'appello, essendo previsto per le ipotesi del rigetto integrale o della definizione in rito sfavorevole all'appellante. In tale categoria rientra l'improcedibilità comminata dall'art. 348, 2° comma, c.p.c. ma non l'ipotesi di cancellazione della causa dal ruolo ed estinzione del processo". In secondo luogo, perché, come evidenziato più volte anche dalla Cassazione (cfr. Cass. n. 13636/2015; Cass. n. 19464/204), la norma censurata ha la ratio di "scoraggiare le impugnazioni dilatorie o pretestuose". Ratio che non può ravvisarsi, prosegue la sentenza, nella fattispecie di cui all'art. 181 c.p.c., la quale "prescinde dalla unilaterale utilizzazione impropria del gravame, ma riguarda soltanto l'omologa condotta omissiva delle parti – alla luce dell'orientamento assolutamente prevalente nella giurisprudenza di legittimità (ex multis, Cass. n. 2816/2015), secondo cui la mancata presenza alla prima udienza ed alla successiva dell'appellante e dell'appellato costituito determina la cancellazione della causa dal ruolo e l'estinzione del processo (anziché l'improcedibilità dell'appello) – con la conseguenza che la funzione deterrente riconosciuta alla norma censurata non avrebbe modo di esprimersi".
Atteso, infine, ha osservato il giudice delle leggi, che il raddoppio del contributo unificato "è previsto a parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell'apparato giudiziario o della vana erogazione delle limitate risorse a sua disposizione, deve sottolinearsi come tale inutile dispendio di energie processuali e di correlati costi non caratterizzi la fattispecie di cui agli artt. 181 e 309 c.p.c.".
Invero, la loro applicazione e la conseguente emissione di un provvedimento di cancellazione della causa dal ruolo e di estinzione del processo richiedono la mancata comparizione di tutte le parti alla prima udienza ed a quella successiva, sull'assunto che tale comportamento costituisca una tipica manifestazione di disinteresse a proseguire il processo. Disinteresse che, emergendo successivamente alla costituzione delle parti in secondo grado (quando le stesse hanno già disvelato le proprie tesi difensive), "è verosimile espressione della comune decisione di non comparire" e, non di rado, di accordo tra le parti stesse.
Tali peculiarità, impediscono di considerare allo stesso modo la mancata comparizione del solo appellante alla prima udienza e quella di tutte le parti del giudizio d'appello, probabile indice (quest'ultima) dell'avvenuta composizione stragiudiziale della causa giudizio di appello.
Per cui non avrebbe senso, ha concluso la Consulta dichiarando inammissibile e infondata la q.l.c., sanzionare la condotta "della (sola) parte appellante, peraltro omologa a quella dell'appellato, scoraggiando un esito auspicabile sotto il profilo dell'economia processuale oltre che dell'assetto sostanziale degli interessi in conflitto".
Data: 31/05/2016 08:00:00
Autore: Marina Crisafi