Segregare la moglie in casa è reato
Oltre alla violenza privata, la condotta fa scattare il sequestro di persona anche se il partner ha la possibilità di fuggire
di Lucia Izzo - Maltrattamenti, violenza privata e sequestro di persona: tanto può rischiare chi tiene segregato in casa il coniuge impedendogli di uscire senza il proprio consenso.
L'art. 605 del codice penale punisce con la reclusione da sei mesi a otto anni chiunque priva taluno della libertà personale: la reclusione è da uno a dieci anni, invece, se il fatto è commesso in danno di un ascendente, di un discendente, o del coniuge.
Limitare fisicamente la libertà dell'altra persona, pertanto, può configurare il reato summenzionato, anche se questa ha possibilità di fuggire. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione nella sentenza n. 7962/2014 riguardante il caso di un partner particolarmente possessivo che teneva la compagna sotto chiave. Affinché si possa configurare il reato di sequestro di persona, evidenziano gli Ermellini, non è necessario che la limitazione della libertà di movimento dell'altra persona sia oggettivamente insuperabile e' sufficiente che l'attività, anche meramente intimidatoria, faccia desistere la vittima ad allontanarsi dai luoghi in cui la si vuole trattenere (leggi: "In una relazione amorosa violenta anche se la donna ha la possibilità di fuggire non viene meno il reato di sequestro di persona").
Anche se la ragazza avrebbe potuto fuggire, come evidenziato dal ricorrente nella sua difesa, la possibilità di fuga, in particolare, conferma e non esclude l'esistenza del reato, ove costringa a imprudenti iniziative o a comportamenti elusivi della vigilanza e sia comunque attuabile con mezzi artificiosi di non facile attuazione o con qualsiasi altra condotta che induca la vittima a rinunziarvi nel timore di ulteriori pericoli o danni alla persona.
La stessa Cassazione, inoltre, ha confermato la condanna per il reato di cui all'art. 610 c.p. (Violenza privata) nei confronti di un uomo che aveva costretto la moglie a modificare le proprie abitudini di vita, rinunciando ad uscire a piedi e, comunque, a limitare le proprie uscite, a vivere chiusa a casa, controllando continuamente le immagini provenienti da una telecamera esterna appositamente installata, a richiedere la compagnia della madre nelle notti in cui il marito era impegnato in turni di lavoro notturni.
Una condanna, secondo gli Ermellini, giustificata da un sistema di reiterate molestie e minacce tali non solo da costringere la persona offesa ad un radicale cambiamento del suo regime di vita, ma a tollerare anche pesanti intrusioni nella sua vita privata e nella sfera della sua riservatezza (per approfondimenti:Cassazione: marito costringe la moglie a stare in casa? E' violenza privata).
Autore: Lucia Izzo