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Avvocati: lavorare "pro bono" fa bene alla reputazione

Ha preso piede anche in Italia la prassi statunitense di lavorare a favore di chi ne ha bisogno


di Valeria Zeppilli – Anche diversi studi legali italiani, negli ultimi tempi, sono stati contagiati da una prassi tipicamente anglosassone: quella di lavorare gratuitamente o in maniera vantaggiosa a favore di chi ne ha bisogno.

I destinatari delle attività pro bono sono, sostanzialmente, le categorie svantaggiate e le associazioni no profit che, specie in un periodo di crisi come quello dal quale non riusciamo ancora ad uscire, sono in forte difficoltà.

Obbligo deontologico negli USA

Sebbene nel nostro paese si faccia fatica ad entrare in quest'ottica, altrove essa è molto più scontata.

Si pensi che negli Stati Uniti l'articolo 6 delle Model rules of professional conduct considera un obbligo deontologico per tutti gli avvocati lo svolgimento di almeno 50 ore annuali di attività a titolo gratuito a favore di chi ne ha bisogno. Ma non solo: prestare la propria consulenza pro bono rappresenta anche una condizione fondamentale per essere abilitati all'esercizio della professione legale.

Il pro bono publico in Italia

In Italia, invece, a tutela dei meno abbienti c'è solo l'istituto del gratuito patrocinio, mentre manca un obbligo preciso per gli studi legali di svolgere azioni socialmente utili in tal modo.

Nonostante ciò, come accennato, qualcosa sta cambiando sul traino degli studi di matrice anglosassone e non solo.

Si pensi ad esempio allo Studio Hogan Lovells, la cui policy impone a tutti i membri dello staff di svolgere almeno 25 ore annue di lavoro in attività definite "di citizenship".

A fianco a tale Studio ce ne sono molti altri che hanno sviluppato una forte sensibilità verso queste tematiche, in alcuni casi dotandosi di veri e propri codici interni: si pensi allo Studio Toffoletto, De Luca Tamajo e Soci, allo Studio Dentons, allo Studio Latham & Watkins, allo Studio Osborne Clarke e ai numerosi altri che sostengono le attività pro bono.

Sostegno ai paesi in via di sviluppo

Tale tipo di attività, oltretutto, non si arresta alla "consulenza sociale" fatta all'interno dei confini del paese. Anzi: in alcuni casi essa va ben oltre e arriva a sostenere i paesi in via di sviluppo.

Si pensi, ad esempio, alle attività svolte dallo Studio Pavia e Ansaldo, impegnato soprattutto nel continente africano, o dallo Studio Quorum, attento in particolar modo a combattere le violazioni dei diritti umani, le discriminazioni e la violenza sulle donne.

Cura della reputazione ma non solo...

Chiaramente, quella del pro bono è una prassi che fa bene alla reputazione, ma scegliere di seguirla non può ispirarsi solo a questo.

La volontà di contribuire all'effettività della giustizia anche garantendo assistenza a chi non riesce a procurarsela autonomamente, infatti, non può che essere specchio di un intento che proviene dal cuore.

Quindi di certo il business ne guadagna, ma anche lo stare bene con sé stessi. Senza lasciare in secondo piano l'arricchimento professionale: cimentarsi con le tematiche sempre in evoluzione del settore no profit aiuta a crescere.

Data: 18/10/2016 16:20:00
Autore: Valeria Zeppilli