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Il danno ingiusto nella giurisprudenza

Le tappe principali dell'evoluzione giurisprudenziale del requisito dell'ingiustizia ex art. 2043 c.c.


Dott. Giuseppe Carpino - L'art. 2043 c.c. dispone che il soggetto responsabile è colui che cagiona un danno ingiusto.

Si tratta di un concetto che assume un ruolo determinante nella qualificazione del fatto illecito e rappresenta il presupposto per la risarcibilità di ogni tipologia di danno, sia esso patrimoniale che non patrimoniale.

Per ingiustizia del danno s'intende la sua antigiuridicità, cioè la sua capacità di provocare la lesione di un diritto.

Perchè un danno possa qualificarsi come ingiusto è necessario che lo stesso sia cagionato non iure: cioè, non nell'esercizio di un diritto riconosciuto dall'ordinamento al danneggiante. Del pari, non può ritenersi ingiusto il danno arrecato nell'adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica autorità.

Si deve, comunque, sottolineare come il danno ingiusto sia escluso nel caso in cui sussista una causa di giustificazione come la legittima difesa ex art. 2044 c.c. o lo stato di necessità ex art. 2045 c.c.

Pertanto, non tutti i danni, quand'anche economicamente rilevanti, sono di per sé risarcibili secondo il paradigma dell'illecito aquiliano.

Ed è proprio il requisito dell'ingiustizia che svolge questa funzione selettiva, consente cioè di individuare quali danni siano meritevoli di ristoro risarcitorio: il danno ingiusto è, dunque, quell'elemento della responsabilità extracontrattuale che permette l'individuazione delle posizioni giuridiche meritevoli di tutela.

In altre parole, è quell'elemento che consente di transitare dall'area della rilevanza all'area dell'efficacia.

Allo stato attuale è possibile affermare che la responsabilità civile sorge per l'avvenuta lesione di un interesse giuridico tutelato dall'ordinamento, che spetta al giudice di volta in volta selezionare ed individuare.

Proprio per questa funzione selettiva, l'ingiustizia ha rappresentato il fulcro di notevoli sforzi interpretativi che ha portato al passaggio dal "diritto all'interesse".


La risarcibilità dei diritti relativi


Nei primi anni di applicazione del vigente codice civile la giurisprudenza affermava che danno ingiusto era soltanto quello che corrispondeva alla violazione di un diritto soggettivo assoluto, negando in tal modo tutela alla lesione di interessi che non rivestivano tale qualifica.

Di conseguenza, status, legittime aspettative e molte altre situazioni meritevoli di tutela e come tali tutelate, ma non agevolmente riconducibili entro lo schema protettivo della forma di qualificazione propria del diritto soggettivo continuavano a restare fuori dalla tecnica rimediale aquiliana.

Una prima apertura la si è avuta con la pronunzia da parte delle Sezioni Unite della sentenza n. 174/1971 avente ad oggetto la morte, avvenuta in seguito ad un incidente automobilistico, del calciatore del Torino Calcio Luigi Meroni.

Con tale statuizione si è data risposta positiva circa la risarcibilità della lesione del diritto di credito scaturente dal fatto ingiusto posto in essere da un terzo, limitando, però, il risarcimento alla sola ipotesi di insostituibilità del debitore o di impossibilità da parte dello stesso, di adempiere all'obbligazione per il fatto doloso o colposo del terzo (cfr. SS.UU. n. 174/1971).

In definitiva, la Suprema Corte giunse ad ammettere la risarcibilità della lesione affermando il principio secondo il quale "Chi con il suo fatto doloso o colposo cagiona la morte del debitore altrui è obbligato a risarcire il danno subito dal creditore, qualora quella morte abbia determinato l'estinzione del credito ed una perdita definitiva ed irreparabile per il creditore medesimo. È definitiva ed irreparabile la perdita quando si tratti di obbligazioni di dare a titolo di mantenimento o di alimenti, sempre che non esistano obbligati in grado eguale o posteriore, che possano sopportare il relativo onere, ovvero di obbligazioni di fare rispetto alle quali vi è insostituibilità del debitore, nel senso che non sia possibile al creditore procurarsi, se non a condizioni più onerose, prestazioni eguali o equipollenti".

Tale sentenza ha rappresentato la tappa fondamentale nell'iter verso il superamento del dogma dell'irrisarcibilità per la lesione del diritto di credito, aprendo la strada ad una notevole estensione di tutela attraverso un'interpretazione estensiva della nozione di danno ingiusto.

Facendo un ulteriore passo, la giurisprudenza arrivò ad ammettere la risarcibilità non solo della lesione di diritti, ma anche della lesione di situazioni di fatto, a condizione che risultassero protette dall'ordinamento giuridico (cfr. S.U. n. 987/1994).


La tutela degli interessi legittimi


Un ulteriore, fondamentale, passo compiuto dalla giurisprudenza nel percorso di ampliamento si è realizzato con l'affermazione della risarcibilità della lesione degli interessi legittimi.

Punto di partenza del revirement giurisprudenziale è la reinterpretazione dell'art. 2043 c.c., da intendersi quale norma primaria volta ad apprestare una riparazione del danno ingiustamente sofferto per effetto dell'attività altrui.

Ne deriva che, ai fini della configurabilità della responsabilità aquiliana, non assume rilievo determinante la qualificazione formale della posizione giuridica vantata dal soggetto, poiché la tutela risarcitoria è assicurata solo in relazione all'ingiustizia del danno, che costituisce fattispecie autonoma, contrassegnata dalla lesione di un interesse giuridicamente rilevante (cfr. SS.UU. n. 500/1999).

In tale prospettiva, dunque, la funzione della responsabilità civile inizialmente tesa a punire l'autore del danno e avente pertanto carattere sanzionatorio, diviene essenzialmente riparatoria del danno ingiustamente sofferto dalla vittima.

L'ingiustizia non viene più riferita al fatto, bensì al danno secondo una prospettiva più coerente con il tenore letterale della norma.

Quanto, poi, alla concreta individuazione del danno ingiusto, la Corte stabilisce che dovrà essere oggetto di verifica da parte del giudice attraverso un'operazione di comparazione tra gli interessi in conflitto, fondata non già su valutazioni aprioristiche o astratte, bensì su un esame a posteriori delle posizioni giuridiche del danneggiante e del danneggiato, per stabilire su chi è più giusto che ricadano le conseguenze dannose del fatto.

Occorre valutare se per l'ordinamento sia meritevole di maggior protezione l'interesse perseguito dal danneggiante con la condotta dannosa, ovvero il sacrificio patito dal danneggiato. Ne consegue che la comparazione sfocia in un giudizio di prevalenza in relazione al caso concreto.

In conclusione, si può asserire che la lunga e faticosa evoluzione dottrinale e giurisprudenziale del concetto di danno ingiusto, consegna all'interprete una impostazione dell'art. 2043 c.c. più aderente alle sempre più frequenti esigenze di tutela, rivoluzionando un settore nel quale soluzioni insoddisfacenti sembravano pietrificate.

Ha determinato il passaggio da una visione puramente patrimonialistica della tutela giuridica, riconoscendo che la persona è al centro dell'ordinamento e costituisce il presupposto di ogni diritto.

Data: 19/10/2016 18:00:00
Autore: Giuseppe Carpino