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Liberazione condizionale: come funziona

La liberazione condizionale è un istituto disciplinato dall'art. 176 c.p. Essa prevede la liberazione dell’imputato al ricorrere di determinate condizioni


Cos'è la liberazione condizionale

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Nel regolamentare la liberazione condizionale, l'articolo 176 del codice penale prevede che il detenuto il quale abbia scontato almeno trenta mesi di pena (comunque almeno la metà della pena inflittagli) e a condizione che rimangano meno di cinque anni all'espiazione definitiva, può essere ammesso alla liberazione condizionale laddove dimostri il suo ravvedimento.

Se il condannato è recidivo, può comunque essere ammesso al beneficio della liberazione condizionale a patto che abbia scontato almeno quattro anni di pena e comunque almeno tre quarti della pena inflittagli.

Può beneficiare della liberazione condizionale anche il condannato all'ergastolo laddove questi abbia scontato almeno ventisei anni di pena.

È d'obbligo precisare che per poter accedere alla liberazione condizionale è necessario il preventivo adempimento delle obbligazioni civili salvo che ovviamente il condannato dimostri di trovarsi nell'impossibilità di adempierle.

La revoca della liberazione condizionale

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Ai sensi dell'art. 177 c.p. "La liberazione condizionale è revocata, se la persona liberata commette un delitto o una contravvenzione della stessa indole, ovvero trasgredisce agli obblighi inerenti alla libertà vigilata, disposta a termini dell'articolo 230, n. 2. In tal caso, il tempo trascorso in libertà condizionale non è computato nella durata della e il condannato non può essere riammesso alla liberazione condizionale".

In virtù della disposizione normativa, dunque, condizione che determina la revoca della liberazione condizionale è la trasgressione degli obblighi imposti dalla libertà vigilata di cui all'art. 230 n. 2 c.p.

La giurisprudenza della Cassazione sulla liberazione condizionale

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Meritano di essere passate in rassegna precedenti giurisprudenziali, alcuni non recenti ma significativi, della Corte di Cassazione che hanno ad oggetto la liberazione condizionale.

In passato i giudici hanno in particolare ritenuto che "La persona sottoposta a regime di liberazione condizionale può ottenere il beneficio della liberazione anticipata. La soluzione contraria, infatti, sarebbe illogicamente discriminatorio, in considerazione sia del fatto che il periodo trascorso in libertà vigilata è considerata, ai fini della revoca della stessa, esecuzione della pena, sia del fatto che la liberazione anticipata è oggi concedibile, per espressa previsione del comma 12 bis dell'art. 47 ord. penit., inserito dall'art. 3 l. 19 dicembre 2002 n. 277, all'affidato in prova al servizio sociale che abbia dato prova, nel periodo di affidamento, di un concreto recupero sociale" (cfr., tra le altre, Cass. n. 17343/2009).

Dal precedente citato emerge la natura della liberazione condizionale che è, a tutti gli effetti, periodo di esecuzione della pena. I giudici di Piazza Cavour ritengono infatti illogico escludere dal beneficio della liberazione anticipata coloro i quali abbiano beneficiato della liberazione condizionale.

In senso conforme si è espressa sempre la Suprema Corte, ritenendo che "Il periodo trascorso in libertà vigilata dal soggetto che fruisce della liberazione condizionale deve ascriversi all'espiazione della pena a tutti gli effetti, sicché ad esso può essere applicato il beneficio della liberazione anticipata, che va revocato nell'ipotesi di sopravvenienza di condanna per delitto non colposo prevista dall'art. 54, comma 3, della legge 26 luglio 1975 n. 354" (Cass. n. 39854/2012).

Più di recente la Cassazione ha affermato che "Il 'sicuro ravvedimento', richiesto dall'art. 176, comma primo, cod. pen. per la concessione della liberazione condizionale, non coincide con l'ordinaria buona condotta carceraria implicando «comportamenti positivi da cui poter desumere l'abbandono delle scelte criminali, tra i quali assume particolare significato la fattiva volontà del reo di eliminare o di attenuare le conseguenze dannose del reato» (Sez. 1, n. 486 del 25/09/2015, dep. 2016, Caruso, Rv..265471-01). Esso, postula un riscatto morale nel reo, colto da una valutazione globale della personalità del condannato che consideri tutti gli atti o le manifestazioni di condotta, di contenuto materiale e morale, tali da assumere un valore sintomatico. In quest'ottica assumono rilevanza l'adesione alle regole, il consapevole rispetto verso gli operatori penitenziari, una reale sollecitudine verso la sorte delle persone offese (ex plurimis Sez. 1, n. 37330 del 26/09/2007, Crisafulli, Rv. 237504; Sez. 1, n. del 19/02/2009, Antonuccio, Rv. 242900) (cfr. Cass. n. 41361/2021).

Per approfondimenti vai alle guide di diritto penale

Data: 07/10/2022 12:00:00
Autore: Daniele Paolanti