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Niente reato se la moglie deruba il marito… e viceversa

Si applica la causa di non punibilità prevista dall'art. art. 649 c.p. per i delitti contro il patrimonio


di Lucia Izzo - Accusare la moglie di furto o appropriazione indebita per il marito (o viceversa) non è una strada percorribile. Il nostro codice penale, infatti, prevede un trattamento "di favore" laddove il soggetto attivo dei delitti contro il patrimonio (rientranti nel titolo XIII del II libro del codice) sia legato al soggetto passivo da determinati vincoli di parentela, affinità o matrimonio. Per cui, all'interno di una coppia, l'uno dei due non può denunciare l'altro di essersi appropriato dei propri beni, se prima non interrompe la convivenza.

L'esimente è prevista dall'art. 649 c.p., rubricato "Non punibilità e querela della persona offesa, per fatti commessi a danno di congiunti": la norma precisa che "Non è punibile chi ha commesso alcuno dei fatti preveduti da questo titolo in danno: 1) del coniuge non legalmente separato; 2) di un ascendente o discendente o di un affine in linea retta, ovvero dell'adottante o dell'adottato; 3) di un fratello o di una sorella che con lui convivano".
Tradizionalmente, la ratio dell'art. 649 c.p. si è rivenuta nella necessità di evitare di turbare le relazioni familiari in considerazione del fatto che nell'ambito dello stesso nucleo familiare sussiste una comunanza di interessi economici, e che, stante "l'affectio familiaris" che cementa, ad esempio, il matrimonio, tutto possa risolversi pacificamente e ogni altra questione possa essere al più definita in sede civile.
Tutto ciò, si badi bene, con l'eccezione dei reati contro il patrimonio a base violenta: è lo stesso art. 649 c.p., terzo comma, infatti, a precisare che quanto previsto dalla stessa norma non si applica ai delitti preveduti dagli articoli 628 (rapina), 629 (estorsione) e 630 (sequestro di persona a scopo di estorsione) nonché ad ogni altro delitto contro il patrimonio che sia commesso con violenza alle persone.

Quando opera l'esimente
Con riferimento al coniuge, l'esimente per operare richiede che la separazione non sia ancora perfezionata legalmente: secondo l'art. 649 c.p., i fatti previsti dal titolo XIII sono punibili a querela della persona offesa, se commessi a danno del coniuge legalmente separato, ovvero del fratello o della sorella che non convivano coll'autore del fatto, ovvero dello zio o del nipote o dell'affine in secondo grado con lui conviventi.


Il furto del convivente
Nonostante la norma non prenda espressamente in considerazione la figura del convivente more uxorio, una recente pronuncia della Corte di Cassazione (sent. 39480/2015) ha stabilito che in caso di furto, alle coppie di fatto va applicata la medesima ipotesi di non punibilità che l'ordinamento penale prevede all'articolo 649 c.p. se tale reato è commesso in danno del coniuge.
Tuttavia, la non punibilità cessa di operare nel momento in cui cessa la convivenza (per approfondimenti: Cassazione: non commette furto chi ruba al convivente. Vale la stessa regola che c'è tra i familiari).

I presupposti per la non punibilità
I presupposti per la declaratoria della causa di non punibilità prevista per il coniuge dall'art. 649, comma 1, n. 1, c.p., secondo la Cassazione (sent. n. 1381/2014) devono sussistere al momento della commissione del fatto e, pertanto, non assume rilevanza il matrimonio contratto tra l'imputato e la persona offesa dopo la consumazione del reato.


Sulla base di tali presupposti, la stessa Corte di Cassazione, sent. n. 46153/2013, ha ritenuto non punibile ex art. 649 c.p., il marito che aveva asportato il mobilio dalla casa familiare prima della separazione: il fatto è stato, infatti, commesso in danno della moglie non legalmente separata, essendo pacifico che fra i coniugi non fosse ancora intervenuta la separazione legale (per approfondimenti: Cassazione: Non commette reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni il marito che prima della separazione fa sparire i mobili dalla casa coniugale.)

Una norma "obsoleta"
Si deve tener conto, tuttavia, del fatto che l'art. 649 c.p. sia stato da più parti tacciato di obsolescenza e illegittimità costituzionale, come dimostrano le numerose ordinanze rimettenti alla Corte Costituzionale: una delle più recenti, che ha sollecitato la Consulta, è quella del Tribunale di Parma (ord. n. 229/2014), il quale ha evidenziato che "nell'odierno contesto sociale, tale norma appare del tutto anacronistica, ancorata ad un sistema di rapporti socio-familiari profondamente differenti da quelli attuali, la cui applicabilità apre la strada all'ingiustificata impunità dei soggetti che pongono in essere tali fatti di reato conseguentemente all'ingiustificata disparità di trattamento rispetto ai soggetti terzi che non sono legati dai rapporti di parentela previsti dalla disposizione in esame"

Nella sentenza n. 223/2015, la Consulta evidenzia che "Non vi è dubbio che una disposizione come quella censurata – ispirata ad un criterio di rigida tutela della istituzione familiare e della sua coesione, attuato a discapito dei diritti individuali dei componenti del nucleo e dello stesso interesse pubblico alla repressione dei reati debba essere valutata, in punto di ragionevolezza, alla stregua dell'attuale realtà sociale".


Ciò in quanto, prosegue la Corte Costituzionale, alla tradizionale comunanza di interessi, si affianca oggi (e in molti casi si sostituisce) la reciproca autonomia economica dei componenti il nucleo familiare, in un maturo contesto di uguaglianza tra i coniugi, e dunque di loro autonomia nel concorso alle scelte di gestione delle esigenze riferibili al nucleo comune.

Nonostante tale preambolo, la Corte si è pronunciata sulla legittimità costituzionale della norma, non potendosi spingere al punto da intervenire a contrario lasciando aperto il problema della creazione di un nuovo assetto della disciplina in materia di reati patrimoniali all'interno della famiglia.

Il provvedimento auspica, invece, il "ponderato intervento del legislatore, non sostituibile attraverso la radicale ablazione proposta con l'odierna questione di legittimità, l'indispensabile aggiornamento della disciplina dei reati contro il patrimonio commessi in ambito familiare, che realizzi, pur nella perdurante valorizzazione dell'istituzione familiare e della relativa norma costituzionale di presidio (art. 29 Cost.), un nuovo bilanciamento, in questo settore, tra diritti dei singoli ed esigenze di tutela del nucleo familiare".
Data: 14/11/2016 06:00:00
Autore: Lucia Izzo