Diffamazione a mezzo internet
- Il reato di diffamazione
- Diffamazione aggravata via web e social network
- La giurisprudenza sulla diffamazione
Il reato di diffamazione
Il reato di diffamazione si consuma ogni qual volta un soggetto, comunicando con più persone, offende l'altrui reputazione. È un delitto contro l'onore che trova disciplina nel disposto dell'art. 595 c.p. il quale al comma 3 dispone "Se l'offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a cinquecentosedici euro". La norma impiega un'espressione tale da includere finanche il mezzo del web (ogni altro mezzo), dal momento che non può disconoscersi come la portata di detto mezzo sia particolarmente incisiva e tale da avere una portata molto ampia.
Diffamazione aggravata via web e social network
La crescente diffusione della comunicazione di massa ha imposto al legislatore nuovi orizzonti e, comunque, di fronte a nuove prospettive. L'accesso al web ha reso fruibili agli utenti una serie di informazioni che il più delle volte non sono diffuse da professionisti, ma da una serie indefinita di persone che possono divulgare in rete ogni genere di notizia. Il boom dei social network ha notevolmente amplificato la questione, dal momento che tutti gli utenti hanno la facoltà di poter postare in rete contenuti di vario tipo e che riguardino più persone.
La diffamazione è inequivocabilmente aggravata ogni qual volta i mezzi di diffusione di notizie consentano l'accesso alle stesse ad un numero indefinito di persone ed internet, stante la sua portata massiva, è idonea allo scopo. Non si dimentichi come tuttavia detta fattispecie delittuosa (ovvero l'offesa all'altrui reputazione nella comunicazione con più persone) debba essere contemperata con il dettato costituzionale, in species con l'art. 21 della Carta, il quale attribuisce a ciascuno il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero in assenza di censura.
Comunque, laddove i fatti si rivelino idonei ad offendere l'altrui reputazione o, addirittura, ci si spinga ad attribuire ad uno o più soggetti dei fatti determinati, si incorre nel reato di cui all'art. 595 c.p. e, laddove il mezzo di diffusione della notizia sia la rete (diffusione massiva) la pena è irrimediabilmente aumentata per l'aggravamento delle circostanze. Tanto premesso si può ora procedere ad una rassegna giurisprudenziale per esplorare nel dettaglio i contenuti del divieto de quo. Si rammenta infine che la legge contempla come ulteriore circostanza aggravante, idonea ad implementare ulteriormente la pena, l'attribuzione di un fatto determinato, come disposto dall'art. 595 comma 2. Parimenti le pene sono aumentate se l'offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad una Autorità costituita in collegio.
La giurisprudenza sulla diffamazione
Iniziamo con la disamina di una pronuncia della Corte di Cassazione la quale ha dovuto rilevare che nelle ipotesi di comunicazione a mezzo della stampa, non sussiste alcuna violazione del principio di continenza se l'articolo è contraddistinto da evidente obiettività e privo di giudizi denigratori, rivelandosi di conseguenza idoneo a mettere in luce le contrapposte tesi dell'accusa e della difesa, con conseguente astensione dal pronunciamento di certezze in ordine al comportamento dell'interessato (Cassazione civile sez. III 14 ottobre 2016 n. 20728).
La pronuncia de qua contiene un'esimente, consistente nel riportare i fatti con obiettività ma soprattutto astenendosi da giudizi denigratori, con una prosa che si riveli idonea ad evidenziare le contrapposte posizioni, ma soprattutto che si astenga dall'affermazione di certezze in ordine alle condotte del protagonista della vicenda. Ovviamente questo genere di pronunce affermano come le libertà costituzionalmente garantite non vadano limitate da una norma incriminatrice. Le parole impiegate dalla Suprema Corte nella citata sentenza sono dal contenuto inequivoco, avendo questa affermato che "Esclude comunque la violazione del principio di continenza che era stata rinvenuta, invece, dal giudice di prime cure, rilevando la verità della notizia, l'evidenziazione da parte del giornalista - con varie espressioni in tal senso inequivoche - della natura di "combinazione veramente sfortunata" dell'episodio, la trascrizione tra virgolette delle dichiarazioni degli inquirenti, il riferimento di quanto dichiarato dai legali ("un clamoroso errore di persona"), la sussistenza di un interesse pubblico all'informazione e, soprattutto - requisito cui logicamente viene dedicata maggiore attenzione, essendo stato quello ritenuto insussistente dal Tribunale -, "l'uso di una forma corretta, improntata ad obiettività e priva di qualsivoglia elemento denigratorio", in modo da "rendere chiare al lettore le contrapposte tesi dell'accusa e della difesa ed astenendosi, perciò, dall'enunciare certezze" (e, per di più, valutando quanto riportato sulle vicende del padre del ricorrente ed escludendone l'offensività)".
Ancora, a maggior suffragio di quanto sin qui esposto, si riporta ulteriore precedente di matrice giurisprudenziale, dal quale si apprende che la pubblicazione via Facebook di una recensione dal contenuto ironico di un locale non integra gli estremi della diffamazione perché il gestore di un esercizio, operando sul mercato, accetta anche il rischio che i propri servizi non siano graditi e vengano, di conseguenza, criticati (Tribunale Pistoia 16 dicembre 2015 n. 5665). La disamina della predetta sentenza resa dalla giurisprudenza di merito si rivela di particolare interesse laddove contempera il diritto alla manifestazione del proprio pensiero con l'altrui reputazione. In particolare gli operatori del mercato acconsentono esplicitamente ad esporsi ai giudizi altrui, specie laddove questi provengano da clienti insoddisfatti.
Per completezza espositiva, si riporta il contenuto di una sentenza della Corte Europea dei diritti dell'Uomo da cui si apprende che l'affermazione della responsabilità oggettiva di portali che pubblicano commenti senza filtro è incompatibile con la Convenzione europea dei diritti dell'Uomo. A tutti i portali che pubblicano notizie che possono essere commentate dagli utenti in assenza di filtri si applicano necessariamente tutti i parametri che detta Strasburgo in materia di libertà di stampa. Pertanto, prima di procedere all'affermazione della responsabilità del portale si rivela preliminarmente necessaria una valutazione dell'interesse pubblico all'apprensione della notizia e soprattutto il diritto di scegliere liberamente lo stile con il quale esprimersi (Corte europea diritti dell'uomo sez. VI 02 febbraio 2016 n. 22947).
In materia di comunicazione via web la giurisprudenza di merito ha rilevato che l'invio di un messaggio di posta elettronica che si riveli idoneo ad offendere l'altrui onore non integra l'aggravante di cui all'art. 595 c.p. comma 3 dal momento che una email è indirizzata ad un soggetto specifico o a soggetti specifici (se i destinatari siano diversi) e si differenzia per questo dalla pubblicazione di una notizia su di un sito internet che può potenzialmente raggiungere un infinito numero di destinatari (Tribunale Milano sez. X 11 febbraio 2016). Si legge nella citata sentenza che "Non vi è dubbio, in particolare, che il messaggio inviato attraverso la posta elettronica sia diretto a singoli, specifici destinatari (per quanto il loro numero possa essere elevato) e non "in ìncertam personam", come invece avviene nel caso di un sito o di una pagina "web": come ha osservato la Suprema Corte, infatti, "mentre nel caso, di diffamazione commesso, ad esempio, a mezzo posta, telegramma o, appunto, e-mail, è necessario che l'agente compili e spedisca una serie di messaggi a più destinatari, nel caso in cui egli crei a utilizzi uno spazio web, la comunicazione deve intendersi effettuata potenzialmente 'erga omnes' (sia pure nel ristretto - ma non troppo -ambito di tutti coloro che abbiano gli strumenti, la capacità tecnica e, nel caso di siti a pagamento, la legittimazione, a connettersi"). Partendo da tale - ovvia - premessa, si giunge agevolmente alla conclusione che, anzi, l'utilizzo di internet integra una delle ipotesi aggravate di cui dell'art. 595 c.p. (comma terzo: "offesa recata... con qualsiasi altro mezzo di pubblicità")" (v. anche Cass., sez. V, 17.11.2000 n. 4741).
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Data: 06/01/2020 12:00:00Autore: Daniele Paolanti