Porto di coltello a serramanico: il Tribunale assolve
Avv. Francesco Pandolfi – Un interessante caso discusso davanti ai giudici di Bari in tema di armi proprie, coltello a serramanico a scatto e pugnale, porto abusivo di armi e rilevanza penale (o meno) della condotta.
Ultimata l'istruttoria della causa, dove il querelante mette in scena una performance processuale all'insegna della contraddizione, la pronuncia che ne segue è assai utile e anche in parte coinvolgente nei contenuti.
Il caso
Tizio è imputato perché detiene e porta indebitamente un pugnale ed un coltello a serramanico, con i quali minaccia e tenta di colpire il fratello.
Al fascicolo sono allegati, oltre alla querela presentata da Caio, persona offesa e fratello dell'imputato, i verbali di perquisizione locale e domiciliare e il verbale di sequestro di un coltello a serramanico con lama lunga 20 cm e di un pugnale con lama a punta lunga cm 22.
Caio, a questo punto, da inizio alla sua performance in udienza.
Nel contesto di una deposizione tesa a minimizzare i fatti contro il fratello, afferma che si è recato, unitamente ad altri fratelli presso l'abitazione della madre, per motivi che però non sa chiarire.
Durante la riunione familiare gli animi si scaldano perché l'imputato "pretende soldi" dall'anziana donna. Interrogato sul motivo di questa pretesa, ancora una volta Caio si trincera dietro risposte vaghe ed insoddisfacenti.
Tra i vari racconti dice che volano schiaffi tra lui e l'altro fratello e che si spintonano reciprocamente.
Nega comunque di esser stato minacciato dall'imputato con arma da taglio; anzi, contraddicendosi clamorosamente, dice che il coltello è "caduto a terra" durante la colluttazione.
Ribadisce in ogni caso che mai il fratello si è permesso di puntare il coltello verso di lui.
Uno scontro quantomeno strano: separatisi una prima volta, i due vengono nuovamente a contatto sulle scale del condominio: in questo preciso frangente pare che, avendo i protagonisti colluttato, il coltello fuoriesca dal giubbotto.
Il ragionamento dei giudici
Un querelante "pentito" di questo tipo non da la possibilità di valutare e dare rilievo alla deposizione della persona offesa dal reato.
Si sa che le dichiarazioni provenienti dalla vittima possono anche essere poste da sole a base della decisione, a patto però che vi sia un vaglio di attendibilità particolarmente attento.
In un quadro istruttorio come quello narrato e considerati gli altri spunti di prova presenti nel fascicolo, la prova della responsabilità penale del prevenuto può dirsi non raggiunta.
Il teste escusso, pur consapevole delle contraddizioni in cui è caduto durante la sua deposizione, ha ribadito di non esser stato mai minacciato con il coltello né fatto oggetto di tentativi di colpi con la predetta arma da taglio da parte del congiunto.
In pratica
L'imputato va assolto con formula dubitativa dagli addebiti di violazione degli artt. 612 cpv. e 56 - 582/5 c.p. (minaccia e lesioni) perché i fatti non sussistono.
E' invece raggiunta la prova della responsabilità del prevenuto per l'illecito contravvenzionale.
In effetti, sia il coltello a serramanico a scatto sia il pugnale rientrano nella categoria delle armi proprie per le quali non è ammessa licenza.
A questo punto la violazione dell'art. 699 c.p. (porto abusivo di armi) è provata dalle dichiarazioni della persona offesa, che, messa alle strette, pur nel contesto di una deposizione diretta ad alleviare la posizione di Tizio, non ha potuto negare che questi si è recato con un'arma da taglio occultata nel giubbotto ad una riunione familiare.
Tizio, in definitiva, va condannato solo per la violazione dell'art. 699 c.p. con concessione delle circostanze attenuanti generiche; la riappacificazione tra le parti è poi valutabile positivamente in termini di rischio di ricaduta nel reato, in modo tale che ci sono i requisiti utili per la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena.
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Data: 20/12/2016 15:30:00Autore: Avv. Francesco Pandolfi