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Diffamazione: anche il sito è complice nel reato

Per la Cassazione, se la pubblicazione offensiva è consapevolmente tollerata si risponde per concorso


di Valeria Zeppilli – Talvolta se un utente di un sito internet pubblica sullo stesso un testo diffamatorio, anche il gestore del sito può essere chiamato a risponderne penalmente (attenzione: non il provider, con riferimento al quale trova applicazione il d.lgs. n. 70/2003 e il conseguente principio dell'assenza di controllo sui contenuti).

Con la sentenza numero 54946/2016 (qui sotto allegata) la Corte di cassazione ha infatti chiarito quali sono le condizioni che fanno sì che anche tale soggetto risponda del comportamento di un suo utente per concorso in diffamazione.

Tra di esse c'è la mancata rimozione del contenuto consapevolmente diffamatorio, con evidente consenso allo sviluppo della sua efficacia offensiva.

Nel caso si specie, sul sito gestito dall'imputato era stato pubblicato il certificato penale di un noto soggetto, affiancato dalle affermazioni "emerito farabutto" e "pregiudicato doc".

La colpa del gestore, secondo i giudici, risiedeva nell'aver tollerato la presenza di offese sul suo sito dal momento in cui le stesse vi erano state pubblicate sino al momento in era stato eseguito il sequestro preventivo del sito.

Per il ricorrente, insomma, non c'è nulla da fare: la condanna penale inflittagli in secondo grado per concorso nel reato di diffamazione resta, così come quella a risarcire 60mila euro alla parte civile.

Ma non solo. Egli dovrà anche farsi carico delle spese processuali e di quelle di parte civile.

Data: 05/01/2017 20:10:00
Autore: Valeria Zeppilli