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Le chewing gum non fanno bene, lo dice il Tar

È pubblicità ingannevole imputare alle gomme da masticare effetti salutari per l'igiene orale. La sentenza del Tar Lazio


di Marina Crisafi – Cicles, cicche, gingomme, masticanti, o comunque vengano chiamate nel nostro Bel Paese, è da tempo ormai che le chewing gum sono passate dalla concezione più negativa, in grado di rovinare completamente la salute dentaria (e non solo) a prodotti benefici. Il merito (o la colpa) è della pubblicità che ha redento i masticatori abituali dal "peccato", valorizzando i benefici delle gomme da masticare, diventate senza zucchero e dolcificanti e in grado persino di sostituire lo spazzolino e il dentifricio quando non è possibile lavarsi i denti in maniera tradizionale.

Benefici salutistici che l'Antitrust ha decisamente smentito e che ora sono stati confermati dal Tar Lazio che, con la recentissima sentenza n. 62/2017 (qui sotto allegata) ha confermato il provvedimento con il quale l'Autorità garante per la concorrenza e il mercato ha inflitto alle aziende produttrici una sanzione per pratica commerciale scorretta.

In particolare, al centro dell'indagine dell'Authority è la Perfetti, "colpevole" di aver diffuso messaggi promozionali incentrati sui benefici salutistici derivanti dal consumo delle chewing gum, specificamente per l'igiene orale e dentale (antitartaro, anticarie e antiplacca) e tali da suggerire una "sostanziale assimilazione dell'uso delle gomme da masticare" pubblicizzate all'uso dello spazzolino e del dentifricio e all'intervento del dentista, oltre che ad accreditare effetti positivi per la salute di denti e cavo orale, superiore a prodotti anticarie, antiplacca e antitartaro, il tutto senza suffragare il messaggio attraverso prove scientifiche.

Per cui, l'Agcm, a seguito della pratica ingannevole rilevata, sanzionava le società del gruppo holding (con sanzioni rispettivamente di 30mila e 150mila euro) e vietava la diffusione ulteriore dei messaggi pubblicitari.

La holding non ci stava e impugnava il provvedimento innanzi al Tar Lazio, lamentando che andava esclusa l'applicabilità del codice del consumo (data l'esistenza di disposizioni specifiche in tema di etichettature e integratori alimentari, tese alla tutela del consumatore e provviste di un autonomo corredo sanzionatorio) e, dunque, la competenza in materia dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato.

Senza contare che, il garante non avrebbe tenuto conto del fatto che la società, appena ricevuto l'avviso di avvio del procedimento, aveva interrotto volontariamente la campagna pubblicitaria in corso.

Ma per il Tar la tesi non è condivisibile e il provvedimento dell'Authority è corretto.

Quanto alla competenza, la gurisprudenza amministrativa, si legge nella sentenza, "ha da tempo rilevato come la disciplina in materia di etichettature e di integratori alimentari e la disciplina in materia di tutela del consumatore sono tra di loro complementari e non alternative, così che sussiste la competenza dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato a valutare la scorrettezza di una pratica commerciale, anche alla luce dei criteri generali e delle specifiche prescrizioni di cui al regolamento claim (ex multis, Tar Lazio, Roma, sez. I, 4 luglio 2013, n. 6596, 3 luglio 2012, 6027)".

Quanto, invece, all'"attenuante" invocata dalla holding per essersi adoperata per eliminare o attenuare le conseguenze della pratica commerciale scorretta, tale comportamento, ha affermato il Tar, "incidendo sulla durata della violazione, ne attenua la gravità, ma non può essere assimilato al ravvedimento operoso, che invece deve consistere in una condotta attiva - nella specie non riscontrata - volta a rimuovere le conseguenze pregiudizievoli della violazione commessa". Per cui considerato che la determinazione della sanzione poteva variare tra 5mila e 500mila euro, in concreto quella irrogata appare "oltre che puntualmente motivata nel rispetto dei parametri normativi, oggettivamente congrua".

Data: 18/01/2017 15:00:00
Autore: Marina Crisafi