L'avvocato pignorato lede il prestigio della categoria
Per il Consiglio Nazionale Forense commette illecito deontologico l'avvocato che non adempie le sue obbligazioni verso i terzi
di Lucia Izzo - Il comportamento dell'avvocato deve essere adeguato al prestigio della classe forense, che impone comportamenti individuali ispirati a valori positivi, immuni da ogni possibile giudizio di biasimo, etico, civile o morale.
Pertanto, commette e consuma illecito deontologico l'avvocato che non provveda al puntuale adempimento delle proprie obbligazioni nei confronti dei terzi e ciò indipendentemente dalla natura privata o meno del debito, atteso che tale onere di natura deontologica, oltre che di natura giuridica, è finalizzato a tutelare l'affidamento dei terzi nella capacità dell'avvocato al rispetto dei propri doveri professionali.
Inoltre, la negativa pubblicità che deriva dall'inadempimento si riflette sulla reputazione del professionista, ma ancor più sull'immagine della classe forense. E ancora più grave risulta essere l'illecito deontologico nel caso in cui l'avvocato, non adempiendo ad obbligazioni titolate giunga a subire sentenze, atti di precetto e richieste di pignoramento, considerato che l'immagine dell'avvocato risulta compromessa agli occhi dei creditori e degli operatori del diritto quali giudici ed ufficiali giudiziari.
Questo è quanto stabilito dal Consiglio Nazionale Forense nella sentenza n. 46/2016 (qui sotto allegata), pubblicata nei giorni scorsi sul sito istituzionale. La questione origina da una vicenda creditoria che aveva visto soccombente un avvocato, esposto a titolo personale. Questi, non avendo adempiuto al comando giudiziale, aveva subito la notifica di atto di precetto e successivamente era stato destinatario di un pignoramento mobiliare, caduto sui beni di studio.
Opponendosi all'esecuzione e allo scopo di evitare la vendita del compendio pignorato, il legale aveva offerto al collega di controparte e quindi all'esponente, una soluzione transattiva, proponendo di pagare il dovuto in due soluzioni, corrispondendone una immediatamente. Nonostante numerosi solleciti e promesse di pagamento, tuttavia, la seconda tranche non era stata onerata.
Da qui il procedimento disciplinare con cui il COA aveva contestato all'avvocato la violazione del dovere di probità, dignità e decoro, del dovere di lealtà e correttezza, nonchè degli obblighi di provvedere all'adempimento di obbligazioni assunte nei confronti di terzi. Per il COA, tale condotta doveva aveva rilievo, nonostante fosse stata realizzata dall'avvocato nella dimensione di privato cittadino, per cui ritenuta la colpevolezza irrogava la sanzione conservativa dell'avvertimento.
Inutile per il professionista ricorrere al CNF, che, nel rigettare il ricorso, evidenzia che il fatto che un avvocato pervenga a subire, sulla base di un titolo giudiziale, un'espropriazione mobiliare, tra l'altro caduta su beni di arredo dello studio, va certamente a incidere sulla dignità e decoro del professionista, per cui ben risulta integrata la fattispecie di cui all'art. 5 del Codice deontologico (formulazione del 2002) a nulla rilevando la natura privata del debito, dovendosi ritenere come i doveri di dignità e decoro fissati dal codice "siano cogenti in ogni aspetto della vita professionale e privata dell'avvocato".
Lo stesso vale per il disposto relativo al dovere di lealtà e correttezza in combinato con l'obbligo di provvedere all'adempimento delle obbligazioni assunte nei confronti del terzo. Non vi sono dubbi che l'avvocato avesse assunto l'impegno di regolare la pendenza con il pagamento di una somma, mediante la datio di un assegno da far pervenire al creditore entro e non oltre il una data specifica.
Tale impegno, tuttavia, era stato disatteso realizzando il mancato rispetto di obblighi assunti, adducendo a giustifica delle motivazioni (quali l'impedimento della collaboratrice e la volontà di attendere una decisione giudiziale) incompatibili con l'assolvimento dell' impegno assunto.
Per i giudici, "nella fattispecie non rileva la natura dell'obbligo in quanto, dal punto di vista deontologico, l'assunzione di una obbligazione, comporta sempre il regolare adempimento di essa, per cui non può negarsi che l'avvocato che si sottragga agli obblighi assunti ponga in essere un comportamento che va comunque ad incidere sulle aspettative dei terzi, ponendo in ogni caso a rischio l'irreprensibilità della condotta, situazione che deve essere connaturata a coloro che esercitano la professione forense".
Autore: Lucia Izzo