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Diario di un fedifrago: i rischi del tradimento

Partner investigatori, social network e messaggistica, il ritratto del fedifrago del nuovo millennio


di Lucia Izzo - Quando il matrimonio naufraga le cause possono essere molteplici: posizioni inconciliabili, contrasti insormontabili o anche scoprire di essere stati traditi da colui (o colei) che aveva promesso di amarti e onorarti tutti i giorni della sua vita e/o aveva assunto l'obbligo reciproco di fedeltà. Non sempre, tuttavia, il traditore o la traditrice sono consapevoli dei rischi delle proprie mascalzonate e, soprattutto, delle conseguenze giuridiche oltre che familiari che i loro atteggiamenti possono procurargli.


Se da un lato si trovano partner sempre più "investigatori", anche i fedifraghi hanno iniziato ad "affinare la tecnica" per tentare di sfuggire agli esiti nefasti delle "corna" messe al compagno: la "mappa" dei traditori, infatti, è sempre più variegata, come riporta il Sole24Ore nella sua speciale "Guida per riconoscere i tuoi divorzi" a cura di Ester Viola.

Il "Fedifrago Semplice" tradisce solo in caso di occasione (autoprocurata) e rischia facilmente di farsi "sgamare", ad esempio dimenticando di disattivare le anteprime dei messaggi Whatsapp. Inutile tentare di cancellare le prove dopo che questi sono stati letti, ad esempio da soggetti terzi come figli oppure parenti e amici. Questi infatti, potrebbero testimoniare a favore del tradito.

Ad esempio, la Corte d'Appello di Trento, sentenza n. 249/15 ha ritenuto ammissibile la testimonianza del figlio maggiorenne che, appropriatosi del telefonino del genitore, aveva scoperto gli sms dell'amante.

La deposizione è stata ritenuta sufficiente a fondare una pronuncia di addebito a causa della grave violazione dei doveri derivanti dal matrimonio.

Inutile affermare che il tradimento è stato soltanto platonico, come spesso accade in caso di contatti "virtuali" che si siano limitati a contatti telefonici o via internet con persone talvolta residenti anche a grande distanza: la Corte di Cassazione, sentenza n. 8929/2013 ha affermato che la relazione di un coniuge con estranei rende addebitabile la separazione, non solo quando si sostanzi in un adulterio, ma anche quando, in considerazione degli aspetti esteriori con cui è coltivata e dell'ambiente in cui i coniugi vivono, dia luogo a plausibili sospetti di infedeltà e comporti offesa alla dignità e all'onore dell'altro coniuge (per approfondimenti: Tradimento: anche quello platonico può causare l'addebito della separazione).

Il "Fedifrago Esperto", invece, dovrebbe prestare attenzione all'impatto dei social: Facebook, ad esempio, è sempre più dirimente nelle vicende giudiziarie riguardanti separazione e divorzio (per approfondimenti: Separazione: addebito per il marito inchiodato dalla dichiarazione d'amore all'amante su Facebook). Lo dimostrano varie sentenze, come quella del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere a cui l'ex aveva chiesto la modifica delle condizioni della separazione consensuale nella quale entrambi coniugi rinunciavano all'assegno di mantenimento.

Se non fosse, eccepisce l'altro, che il richiedente ha intrapreso una relazione che, nonostante le difficoltà a cui è andato incontro (patologia che rende difficile lavorare), gli consente un tenore di vita anche superiore a quello in costanza di matrimonio.


Le prove? Lo status di "impegnato sentimentalmente" sul profilo Facebook del richiedere e le foto che ritraggono la nuova coppia, in diversi periodi dell'anno e in diverse località anche turistiche. Per i giudici, tali documenti devono ritenersi acquisibili e utilizzabili. Infatti, nonostante l'accesso limitato ai contenuti Facebook, deve ritenersi che le informazioni e le fotografie che vengono pubblicate sul proprio profilo non siano assistite dalla segretezza.

In altri termini, nel momento in cui si pubblicano informazioni e foto sulla pagina dedicata al proprio profilo personale, si accetta il rischio che le stesse possano essere portate a conoscenza anche di terze persone non rientranti nell'ambito delle c.d. "amicizie" accettate dall'utente, il che le rende, per il solo fatto della loro pubblicazione, conoscibili da terzi e utilizzabili anche in sede giudiziaria.

Quanto al "Fedifrago Perbene", che gestisce il tradimento con "rispetto" e professionalità, senza far trapelare alcun dettaglio circa la relazione extraconiugale, meglio che non sottovaluti l'ingegno del partner che ben potrebbe aver trovato i messaggi Whatsapp incriminati e aver fatto appositi screenshot, inoltrati alla mail personale, senza lasciare traccia (per approfondimenti: Separazioni e divorzi: il 40% è colpa di Whatsapp).

In effetti, potrebbe eccepirsi una certa "forzatura" dell'altrui privacy, tanto da attivare un vero e proprio reato, ossia quello di "Violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza" previsto dall'art. 616 del codice penale. Tuttavia, in alcune sentenze si legge che, nonostante l'illecita acquisizione, è ammissibile la produzione di messaggi telefonici, chat e posta elettronica nella causa civile, come quella di separazione.

Ciò avverrebbe, afferma il Tribunale di Torino in un'ordinanza del 17 novembre 2011, poiché nel nostro codice di procedura civile non vi sarebbe traccia di alcuna norma che preveda l'inutilizzabilità delle prove acquisite in violazione della legge. Per il giudice, infatti, l'art 160, comma 6, del d.gs. 196/2003 riserva alla disciplina processuale in materia civile e penale la questione della validità ed efficacia di tali atti.

Il contemperamento tra il diritto alla riservatezza e il diritto di difesa è rimesso, in assenza di una precisa norma processuale civile, alla valutazione del singolo giudice nel caso concreto. Salve le conseguenze del procedimento civile, resta, ovviamente, salva la possibilità di far valere l'illecito nell'opportuna sede penale.

Il "Fedifrago di Talento", invece, tanto abile con le parole da riuscire a farsi inviare addirittura delle foto (magari alquanto provocanti) dall'amante, potrebbe eccepire, se scoperto, di non aver concretamente tradito la partner.


Tuttavia, anche se nella sostanza "non ha fatto niente", la Cassazione, sentenza n. 7132/2015, ha affermato che la pronuncia di addebito non può fondarsi soltanto sulla violazione dei doveri coniugali. È sufficiente anche la sola violazione del dovere di lealtà, senza necessario riferimento alla sfera sessuale, che ha caratterizzato la condotta continuativa e le scelte unilaterali e non condivise del traditore, così da minare il nucleo imprescindibile di fiducia reciproca che deve caratterizzare il vincolo coniugale.

Infine, il "Fedifrago Massimo", che si limita a frasi tiepide, senza fotografie o incontri, in Tribunale potrebbe averla vinta, richiamando la Cassazione (ancora la sentenza n. 8929/2013), che giustifica l'addebito solo se la relazione platonica abbia dato luogo a plausibili sospetti di infedeltà e non, dunque, in qualunque circostanza, poiché l'addebito non può certo "derivare da una mera infatuazione non corrisposta di un altro soggetto". Nulla di fatto per il tradito se, dunque, questo non sia in grado di precisare in cosa consista la presunta relazione.
Data: 20/03/2017 09:00:00
Autore: Lucia Izzo