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Obbligare la moglie a fare sesso è reato

Per la Cassazione va accuratamente vagliata l'attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa


di Lucia Izzo - Il marito che costringe la moglie ad avere rapporti sessuali contro la sua volontà e usando la forza è punibile per il reato di violenza sessuale di cui all'art. 609-bis del codice penale. Poiché di norma il reato si consuma alla sola presenza del responsabile e della vittima, sono le dichiarazioni di quest'ultima a essere sufficienti, dopo che il giudice ne abbia vagliato attentamente l'attendibilità.


Lo ha rammentato la Corte di Cassazione, terza sezione penale, nella sentenza n. 16608/2017 (qui sotto allegata) nel rigettare il ricorso di un uomo condannato per maltrattamenti e violenza sessuale nei confronti della moglie.

Solo dopo anni di vessazione la moglie denuncia i maltrattamenti, le condotte umilianti che il marito le avrebbe imposto, anche con la minaccia di mali ingiusti; a queste si aggiungono le ingiurie con espressioni offensive e volgari, anche in pubblico, e le percosse in modo tale da infliggerle anche lesioni. Ancora, in più occasioni il marito violento l'avrebbe anche costretta ad avere rapporti sessuali con lui contro la sua volontà e usando la forza.

Inutile per l'imputato ricorrere alla Cassazione cercando di screditare le dichiarazioni della donna, frutto secondo la difesa di una "elevatissima conflittualità esistente fra i due coniugi". Gli Ermellini rigettano le sue doglianze e confermano la pena a 4 anni e tre mesi di reclusione, già rimodulata in secondo grado.


In particolare, quanto alla materia di reati sessuali, i giudici rammentato che la perpetrazione avviene spesso, se non di regola, alla sola presenza del soggetto cui è attribuita la condotta delittuosa e della parte offesa.

Pertanto, è sufficiente per affermare la penale responsabilità del prevenuto che siano valutate e ritenute attendibili le dichiarazioni rese dalla sola parte offesa: nonostante queste non necessitino di riscontri, il Collegio precisa che le dichiarazioni debbano essere sottoposte a un accurato vaglio da parte del giudice del merito, attinente sia alla attendibilità soggettiva del dichiarante sia alla credibilità oggettiva di quanto da questo riferito.

Nel caso di specie la donna, che neppure si è costituita parte civile in danno dell'imputato, ha riferito in sede dibattimentale che il marito la ha più volte costretta, anche con atti di violenza fisica di fronte al suo rifiuto, ad avere con lui rapporti sessuali.

Tali dichiarazioni, sono state valutare e ritenute idonee a fondare il giudizio di condanna a carico del marito orco; queste non sono neppure state contestate di fatto, se non genericamente, dalla difesa dell'imputato, attraverso un vago ed indeterminato riferimento alla sussistenza di una interesse della persona offesa all'esito del presente giudizio, potendo essere lo stesso successivamente "speso" nel corso di non meglio chiariti giudizi civili esistenti fra le parti.

Anzi, con riferimento all'attendibilità delle dichiarazioni accusatorie sui maltrattamenti in famiglia e sulle lesioni personali, va rilevato che la Corte territoriale ha indicato puntuali riscontri, costituiti da certificazioni mediche e dichiarazioni testimoniali di soggetti diversi dalla parte offesa.
Data: 07/04/2017 19:20:00
Autore: Lucia Izzo