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Abuso del diritto in materia tributaria

La disciplina contenuta nel decreto legislativo n. 128/2015


Avv. Giampaolo Morini - Il decreto n. 128/2015 introduce una norma specifica anti-abuso, ovvero, il nuovo articolo 10-bis della Legge n. 212/2000 (lo Statuto dei diritti del contribuente). L'art.5 della legge delega 11 marzo 2014 n. 23 vuol dare maggior certezza al sistema tributario introducendo una norma generale di definizione dell'abuso del diritto unificandola con l'elusione fiscale. Gia' il ddl del CNEL del 20.3.2013 si occupava di "atti, fatti, negozi produttivi di un vantaggio fiscale indebito che - pur non violando alcuna disposizione - aggirano obblighi e divieti previsti dall'ordinamento".

La norma anti-abuso nel decreto legislativo n. 128/2015

La ratio della norma è quella di contrastare le operazioni di pianificazione fiscale che non hanno adeguate finalita' economiche (c.d. "aggressiva") così come indicato nella Raccomandazione della Commissione europea del 6 dicembre 2012 che –nel settore dell'imposizione diretta-invita gli Stati membri ad inserire nella loro legislazione nazionale una clausola dal seguente contenuto: una costruzione di puro artificio o una serie artificiosa di costruzioni che sia stata posta in essere essenzialmente allo scopo di eludere l'imposizione e che comporti un vantaggio fiscale deve essere ignorata (principio di inopponibilita').

Le autorita' nazionali devono trattare tali costruzioni a fini fiscali facendo riferimento alla loro sostanza economica (substance over form). Di fatto l'art. 5 della delega – integra il disposto dell'art.37 bis del DPR 600/73 che statuisce la inopponibilita' all'AF solo di una serie di atti/fatti/negozi materializzati in una o più delle operazioni specificamente individuate nella norma stessa dalla lettera A sino alla lettera F quater.

La definizione dell'abuso del diritto è quindi una esigenza comunitaria per la quale, "la constatazione che si tratta di una pratica abusiva richiede, da una parte una serie di circostanze oggettive dalle quali risulti che, nonostante il rispetto formale delle condizioni previste dalla normativa comunitaria, l'obiettivo previsto dalla detta normativa non è stato raggiunto… Essa richiede, d'altra parte, un elemento soggettivo che consiste nella volontà di ottenere un vantaggio derivante dalla normativa comunitaria mediante la creazione artificiosa delle condizioni necessarie per il suo ottenimento"[1].

Ma non solo: la corte precisa anche che, "l'esistenza di una pratica abusiva può essere affermata anche qualora il perseguimento di un vantaggio fiscale costituisca lo scopo essenziale, ancorché non esclusivo, non essendo l'abuso impedito allorché nell'operazione concorrano, pur marginalmente, altre ragioni economiche". [2]

La corte di giustizia è impegnata in particolar modo nel contrastare le condotte elusive nel settore doganale[3] e dell'Iva. Quanto all'Iva, la Corte di Lussemburgo censura le operazioni abusive ovvero quelle che pur rispettando l'impostazione formale delle condizioni dettate dalla normativa comunitaria e dalla legislazione nazionale, generano un vantaggio fiscale contrario alle stesse disposizioni: "la VI Direttiva osta al diritto del soggetto passivo di detrarre l'IVA assolta a monte allorché le operazioni che fondano tale diritto integrano un comportamento abusivo. Perché possa configurarsi un comportamento abusivo occorre che, da un lato, le operazioni controverse, nonostante l'applicazione formale delle condizioni previste dalle pertinenti disposizioni della VI Direttiva e dalla legislazione nazionale che la traspone, portino ad ottenere un vantaggio fiscale la cui concessione sarebbe contraria all'obiettivo di tali disposizioni. D'altro lato, deve altresì risultare da un insieme di elementi obiettivi che le dette operazioni hanno essenzialmente lo scopo di ottenere un vantaggio fiscale"[4].

La Corte ha stabilito che, per parlare di abuso del diritto, bisogna verificare se in astratto l'operazione si pone in contrasto con la normativa comunitaria dopo di che verificare se lo scopo dell'operazione è o non è il perseguimento del risparmio d'imposta. Tuttavia la Corte precisa anche: "la scelta, da parte di un imprenditore, tra operazioni esenti ed operazioni soggette ad imposta può basarsi su un insieme di elementi, in particolare su considerazioni di natura fiscale attinenti al regime obiettivo dell'IVA. Quando un soggetto passivo ha la scelta tra due operazioni, la sesta direttiva non impone di scegliere quella che implica un maggiore pagamento di IVA. Al contrario, il soggetto passivo ha il diritto di scegliere la forma di conduzione degli affari che gli permette di limitare la sua contribuzione fiscale" [5].

La lotta contro ogni possibile frode, evasione ed abuso è riconosciuto e promosso dalla direttiva 77/388/CE del 17 maggio 1977 (cd. VI direttiva). La Corte di giustizia nel leading case Halifax[6]affermava che le operazioni realizzate al solo scopo di ottenere un vantaggio fiscale prive di un autonomo obbiettivo economico, ancorché eseguite in forma apparentemente corretta, sono sostanzialmente elusive poichè dirette a procurare benefici la cui concessione e' contraria all'obbiettivo perseguito dalla normativa comunitaria.

La disciplina dell'abuso del diritto

Venendo adesso ad esaminare la disciplina dell'abuso del diritto richiamata nell'art. 10 bis DECRETO LEGISLATIVO 5 agosto 2015, n. 128, essa è divisa in tre parti: la prima che definisce l'abuso del diritto – commi 1 e 2; la seconda i limiti dell'autonomia contrattuale: commi 3 e 4; la terza le garanzia endoprecessuali e processuali: commi 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13.

Definizione di abuso del diritto

Configurano abuso del diritto una o piu' operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti. Tali operazioni non sono opponibili all'amministrazione finanziaria, che ne disconosce i vantaggi determinando i tributi sulla base delle norme e dei principi elusi e tenuto conto di quanto versato dal contribuente per effetto di dette operazioni.

La Commissione tributaria regionale per la Lombardia, Sez. 44, sentenza n. 117/44/2012 del 27 settembre 2012, Presidente: D'Agostino, Relatore: Monaldocos, scrive: "Il principio generale di divieto dell'abuso del diritto, di derivazione costituzionale e comunitaria, comporta la sua applicazione d'ufficio da parte del giudice tributario a prescindere da qualsiasi allegazione ad opera delle parti. Ne consegue che l'eccezione relativa alla perpetrazione del suindicato abuso proposta dall'Agenzia delle Entrate per la prima volta in sede di appello, va in ogni caso valutata dai giudici di secondo grado e non può dunque ritenersi inammissibile".

Il legislatore ha fatto proprio quanto elaborato dalla giurisprudenza degli anni. In particolare. La Cass. civile, sez. un., 23 dicembre 2008 n. 30055 aveva già sancito il divieto di elusione dei tributi affermando che "non può non ritenersi insito nell'ordinamento, come diretta derivazione delle norme costituzionali, il principio secondo cui il contribuente non può trarre indebiti vantaggi fiscali dall'utilizzo distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio fiscale, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l'operazione, diverse dalla mera aspettativa di quel risparmio fiscale".

Giurisprudenza alla quale si è uniformata quella di merito: "Il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo che preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l'uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un'agevolazione o un risparmio d'imposta in difetto di ragioni economiche apprezzabili. Ne consegue che il carattere elusivo di un'operazione va escluso quando sia individuabile una compresenza non marginale di ragioni extrafiscali" [7].

La giurisprudenza, inoltre delimita il confine tra abuso del diritto e quello di antieconomicità chiarendo che mentre il secondo viene riferito al concetto di inerenza, ovvero collegamento tra un componente economico e l'attività esercitata dall'imprenditore, I'abuso del diritto è una prospettazione più estesa del concetto di elusione. Qualora I'Ufficio rilevi una ipotesi di abuso del diritto per giungere ad affermare l'indeducibilità di un costo e l'indetraibilità dell'lVA, opera un giudizio ex post e non ex ante, delle vicende imprenditoriali giungendo, sempre ex post a una conclusione fuorviante rispetto alla volontà delle parti coinvolte e della logica imprenditoriale che governa le azioni dell'imprenditore. L'autonomia negoziale delle parti è, infatti, oggetto di tutela nella legislazione ordinaria e nella Costituzione che protegge la libertà di iniziativa economica privata e pone una precisa riserva di legge in materia di imposizione tributaria[8].

In coerenza con la clausola generale di buona fede oggettiva, che preclude l'abuso del diritto finalizzato al conseguimento di indebiti vantaggi fiscali, l'art. 20 del d.P.R. 131/1986 impone, ai fini della qualificazione giuridica del negozio da tassare, un'indagine sulla causa reale e sulla comune e concreta regolamentazione degli interessi perseguiti dalle parti, anche se realizzati attraverso una pluralità di pattuizioni non contestuali attraverso il loro preordinato collegamento negoziale. Nel caso di cessione di farmacia attraverso la correlata neocostituzione di società esercente la farmacia conferita, è legittimo individuare la causa del trasferimento nel comune interesse delle parti a conseguire una cessione d'azienda, con effetto elusivo dell'imposta di registro. Sull'intera operazione, pertanto, è applicabile l'imposta proporzionale di registro di trasferimento e non la tassa fissa prevista per i conferimenti di azienda[9].

Vero è inoltre, che la giurisprudenza ha sempre equiparato l'abuso del diritto all'elusione, o meglio, ha ritenuto l'elusione una forma di abuso del diritto, e quindi in esso assorbito, essendo quest'ultimo un principio generale che consente all'interprete di ricondurre all'abuso le più svariate condotte, si legge infatti, "L'elusione, o l'abuso del diritto, sussistono nell'ipotesi in cui il contribuente aggiri le norme tributarie senza violarne nessuna, ottenendo in tal modo un risparmio fiscale ingiusto. Per contro il risparmio si qualifica come legittimo qualora vengano poste in essere operazioni straordinarie tra parti indipendenti per ragioni economiche e aziendali e il vantaggio fiscale non rappresenta l'elemento predominante delle operazioni" [10].

Se da un lato è vero che il titolare di una posizione giuridica soggettiva è libera sul se attivare o meno la propria pretesa, libertà tutelata dall'ordinamento, è pur vero che tale libertà ha subito lo scorso secolo una rilettura in chiave di rilevanza sociale. Non vale più , dunque, il principio qui suo jure utitur neminem laedit[11], di stampo liberale la valorizzazione degli obblighi di solidarietà sociale e di civile convivenza, da cui sorge il c.d. abuso del diritto. Formulazione quest'ultima che ha suscitato non pochi dibattiti, definita da parte di autorevole dottrina un vero e proprio ossimoro[12]. È stato quindi necessario trovare il modo di rendere possibile la convivenza tra libertà ed abuso[13] [14]. La teorica dell'abuso della libertà contrattuale nasce e si sviluppa dunque a fronte dell'abbandono della visione liberale classica dei rapporti economici e per l'ormai inadeguatezza del principio di eguaglianza formale a garantire la giustizia del contratto[15] L'abuso è senza dubbio un limite esterno alla libertà ed è uno strumento proprio della giurisprudenza utilizzato per dare "coerenza esterna al sistema nel suo complesso considerato"[16].

L'abuso del diritto, quindi, si presenta strettamente correlato ai principi di buona fede e di correttezza, quasi riportando il sistema alla definizione di Celso per cui il diritto era "ars boni et equi" ed il suo oggetto avrebbe necessariamente dovuto tendere all'aequitas, ossia al raggiungimento della migliore soluzione possibile in concreto (e, aggiungiamo non contrastante, nemmeno indirettamente, con l'ordinamento ed i suoi principi)[17].

In realtà, l'esigenza di definire i contorni del diritto, perché il suo utilizzo non divenisse contrario ai principi dell'ordinamento, era presente già in Platone (Politico) e Aristotele (Etica Nicomachea) che individuarono nell'equità il correttivo del giusto legale, esperienza che nel diritto romano troveremo nel concetto di bona fides. Il concetto di abuso del diritto non è entrato in modo evidente e marcato nel nostro codice civile, anzi, l'epoca illuministica ne ha compromesso, direi definitivamente la sua positivizzazione. Infatti nell'esperienza illuministica il giudice era bouche de la loi, ovvero strumento della volontà legislativa non lasciano dunque alcun spazio a strumenti correttivi extra ordinem. Nel codice del 1865 non troveremo quindi alcuna traccia dell'abuso del diritto; anzi vi fu chi definì l'abuso del diritto fenomeno sociale , non un concetto giuridico, anzi uno di quei fenomeni che il diritto non potrà mai disciplinare in tutte le sue applicazioni che sono imprevedibili: è uno stato d'animo, è la valutazione etica di un periodo di transizione, è quel che si vuole, ma non una categoria giuridica, e ciò per la contraddizion che nol consente[18].

Anche nel codice civile del 1942 è rimasto assente l'espressione di un principio generale di abuso del diritto. Pur essendoci stata discussione sul punto, i codificatori, al fine di non indebolire il principio della certezza del diritto con una clausola generale come quella dell'abuso del diritto, hanno deciso di non inserire, nella stesura definitiva del Codice civile del 1942, l'art. 7 del progetto preliminare secondo il quale nessuno può esercitare il proprio diritto in contrasto con lo scopo per il quale il diritto medesimo gli è stato riconosciuto.

La questione non fu però ignorata, il legislatore ha preferito inserire nel codice vigente disposizioni specifiche con cui sanzionare l'abuso in relazione a determinate categorie di diritti: l'abuso della potestà genitoriale - art. 330; abuso dell'usufruttuario - art. 1015; abuso della cosa data in pegno da parte del creditore pignoratizio - art. 2793. Ci sono poi disposizioni di maggior portata applicativa quali l'art. 833, concernente il divieto di atti emulativi, impiegato come norma di repressione dell'abuso dei diritti reali in genere e gli artt. 1175 e 1375 che hanno consentito di disciplinare l'abuso di diritti relativi o di credito.

Già la Cass. 15.2.2007 n. 3462 aveva rilevato che l'obbligo di buona fede oggettiva o correttezza è, "un autonomo dovere giuridico, espressione di un generale principio di solidarietà sociale, la cui costituzionalizzazione è ormai pacifica. Una volta trasfigurato il principio della buona fede sul piano cosituzionale diviene una specificazione degli "inderogabili doveri di solidarietà sociale" imposti dall'art. 2 Cost., e la sua rilevanza si esplica nell'imporre, a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio, il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell'altra, a prescindere dall'esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge".

Il criterio della buona fede costituisce quindi strumento, per il giudice, per controllare, sia in senso modificativo che integrativo, lo statuto negoziale, in funzione di garanzia del giusto equilibrio degli opposti interessi. Daltrone il criterio della reciprocità lo si desume già dalla Relazione ministeriale al codice civile: il principio di correttezza e buona fede, richiama nella sfera del creditore la considerazione dell'interesse del debitore e nella sfera del debitore il giusto riguardo all'interesse del creditore.

In sintesi, dice la Corte, disporre di un potere non è condizione sufficiente di un suo legittimo esercizio se, nella situazione data, la patologia del rapporto può essere superata facendo ricorso a rimedi che incidono sugli interessi contrapposti in modo più proporzionato.

La buona fede, in sostanza, serve a mantenere il rapporto giuridico nei binari dell'equilibrio e della proporzione.

Gli elementi costitutivi dell'abuso del diritto

Pregio della sentenza in commento è di aver individuato che: criterio rivelatore della violazione dell'obbligo di buona fede oggettiva è quello dell'abuso del diritto.

A tal fine individua gli elementi costitutivi dell'abuso del diritto che sono:

1) la titolarità di un diritto soggettivo in capo ad un soggetto;

2) la possibilità che il concreto esercizio di quel diritto possa essere effettuato secondo una pluralità di modalità non rigidamente predeterminate;

3) la circostanza che tale esercizio concreto, anche se formalmente rispettoso della cornice attributiva di quel diritto, sia svolto secondo modalità censurabili rispetto ad un criterio di valutazione, giuridico od extragiuridico;

4) la circostanza che, a causa di una tale modalità di esercizio, si verifichi una sproporzione ingiustificata tra il beneficio del titolare del diritto ed il sacrifico cui è soggetta la controparte.

L'abuso del diritto, non è una violazione in senso formale, ma delinea una utilizzazione alterata dello schema formale del diritto, finalizzata al conseguimento di obiettivi ulteriori e diversi rispetto a quelli indicati dal Legislatore.

E' ravvisabile, in sostanza, quando, nel collegamento tra il potere di autonomia conferito al soggetto ed il suo atto di esercizio, risulti alterata la funzione obiettiva dell'atto rispetto al potere che lo prevede. Come conseguenze di tale, eventuale abuso, l'ordinamento pone una regola generale, nel senso di rifiutare la tutela ai poteri, diritti e interessi, esercitati in violazione delle corrette regole di esercizio, posti in essere con comportamenti contrari alla buona fede oggettiva. E nella formula della mancanza di tutela, sta la finalità di impedire che possano essere conseguiti o conservati i vantaggi ottenuti - ed i diritti connessi - attraverso atti di per sè strutturalmente idonei, ma esercitati in modo da alterarne la funzione, violando la normativa di correttezza, che è regola cui l'ordinamento fa espresso richiamo nella disciplina dei rapporti di autonomia privata.

La Corte ribadisce che nel nostro codice non esiste una norma che sanzioni, in via generale, l'abuso del diritto per le ragioni storiche già trattate, tuttavia rileva che: in un mutato contesto storico, culturale e giuridico, un problema di così pregnante rilevanza è stato oggetto di rimeditata attenzione da parte della Corte di legittimità (principio ribadito in Cass. 8.4.2009 n. 8481; Cass. 20.3.2009 n. 6800; Cass. 17.10.2008 n. 29776; Cass. 4.6.2008 n. 14759; Cass. 11.5.2007 n. 10838).

La Cassazione civile sez. III 18 settembre 2009 n. 20106 lascia un insegnamento essenziale per un nuovo approccio al mondo del diritto: "Oggi, i principii della buona fede oggettiva, e dell'abuso del diritto, debbono essere selezionati e rivisitati alla luce dei principi costituzionali - funzione sociale ex art. 42 Cost. - e della stessa qualificazione dei diritti soggettivi assoluti. In questa prospettiva i due principii si integrano a vicenda, costituendo la buona fede un canone generale cui ancorare la condotta delle parti, anche di un rapporto privatistico e l'interpretazione dell'atto giuridico di autonomia privata e, prospettando l'abuso, la necessità di una correlazione tra i poteri conferiti e lo scopo per i quali essi sono conferiti".

Qualora la finalità perseguita non sia quella consentita dall'ordinamento, si avrà abuso.

Il criterio della buona fede assume rilevanza non solo come strumento di controllo per il giudice, sia in senso modificativo o integrativo dello statuto negoziale, per garantire, e nel caso, ripristinare un equilibrio degli opposti interessi (Cass. civ. 18 settembre 2009, n. 20106), ma anche come limite interno di ogni situazione giuridica soggettiva, attiva o passiva, contrattualmente attribuita, limite idoneo a concorrere alla conformazione, in senso ampliativo o restrittivo, rispetto alla fisionomia apparente del patto negoziale, dei diritti, e degli obblighi da esso derivanti, affinchè l'ossequio alla legalità formale non si traduca in sacrificio della giustizia sostanziale e non risulti, quindi, disatteso l'inderogabile dovere di solidarietà presidiato dall'art. 2 Cost. repubblicana (Cass. civ. 20 aprile 1994, n. 3775).

Del principio dell'abuso del diritto è stato, ne è stato fatto frequente uso in materia tributaria, fondandolo sul riconoscimento dell'esistenza di un generale principio antielusivo (v. per tutte S.U. 23.10.2008 nn. 30055, 30056, 30057). il seguente passaggio della Cassazione civile sez. trib. 21 gennaio 2015 n. 961 ne è un esempio tangibile: inoltre, quanto alle controversie in materia di IVA, quale è in parte quella odierna, va ricordato che esse sono soggette a norme imperative dell'UE, la cui applicazione non può essere ostacolata dal carattere vincolante del giudicato nazionale, previsto dall'art. 2909 c.c., e dalla eventuale sua proiezione anche oltre il periodo di imposta che ne costituisce specifico oggetto, ove gli stessi impediscano - secondo quanto stabilito dalla Corte di giustizia sul caso Olimpiclub - la realizzazione del principio di contrasto dell'abuso del diritto, individuato dalla giurisprudenza Eurounitaria come strumento teso a garantire la piena applicazione del sistema armonizzato di imposta (Cass. 16996/2012; conf. tra le tante 16481- 16480-16479-5972-4631-653/2014, 10781/2013, 12249/2010). Ciò comporta che, a parte le considerazioni sopra svolte sul giudicato tributario in generale, soltanto il giudicato pienamente rispondente alle norme imperative Eurounitarie in tema di IVA può produrre efficacia espansiva (Cassazione civile sez. trib. 21 gennaio 2015 n. 961).

L' abuso del diritto nell'ordinamento tributario non si traduce nella imposizione di ulteriori obblighi patrimoniali non derivanti dalla legge, bensì nel disconoscimento degli effetti abusivi di negozi posti in essere al solo scopo di eludere l'applicazione di norme fiscali (Cassazione civile sez. un. 23 dicembre 2008 n. 30055; sentenza n. 25374/08).

Limiti dell'autonomia contrattuale

2. Ai fini del comma 1 si considerano:

a) operazioni prive di sostanza economica i fatti, gli atti e i contratti, anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali. Sono indici di mancanza di sostanza economica, in particolare, la non coerenza della qualificazione delle singole operazioni con il fondamento giuridico del loro insieme e la non conformita' dell'utilizzo degli strumenti giuridici a normali logiche di mercato;

b) vantaggi fiscali indebiti i benefici, anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalita' delle norme fiscali o con i principi dell'ordinamento tributario.

Il diritto soggettivo seppur riconosce in capo al suo titolare un potere, questo non può essere esercitato in dissonanza con l'utilità sociale intesa sotto il profilo della solidarietà (art. 2 Cost.).

Proprio con lo scopo di sanzionare l'esercizio di un diritto dissonante con il principio di solidarietà sociale è stato elaborato nei secoli il c.d., ed oramai ritenuto, istituto dell'abuso del diritto al fine di intervenire sul relativo abuso.

Il divieto di abuso del diritto si pone dunque quale correttivo all'esercizio del diritto stesso quando esso si pone in contrasto con parte dei principi che lo hanno ispirato.

3. Non si considerano abusive, in ogni caso, le operazioni giustificate da valide ragioni extrafiscali, non marginali, anche di ordine organizzativo o gestionale, che rispondono a finalita' di miglioramento strutturale o funzionale dell'impresa ovvero dell'attivita' professionale del contribuente.

4. Resta ferma la liberta' di scelta del contribuente tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale.

Il 3° e 4° comma esprimo i limiti esterni all'auotonomia contrattale sancendo i limiti entro i quali le operazioni poste in essere non rientrano nella fattispecie di abuso del diritto. Anche sotto tale profilo il legislatore a positivizzato il tradizionale pensiero maturato in dottrina e giurisprudenza.

La Corte Costituzionale ha in più occasioni affermato che il carattere particolare o limitato della categoria economica considerata dalla legge non è, in linea di principio, sufficiente ad escludere che venga perseguita una finalità sociale (cfr. sentenza n. 54 del 1962); ed ecco ancora una volta che la Corte delle leggi ribadisce il principio per cui rientra nei poteri conferiti al legislatore dall'art. 41 della Costituzione la riduzione ad equità di rapporti che appaiano sperequati a danno della parte più debole (sentenza n. 7 del 1962).(Corte Cost., 23 aprile 1965, n. 30).

La Corte Costituzionale esprime un parere di non sufficienza dei principi di correttezza e buona fede nelle trattative e nella formazione ed esecuzione del contratto (artt. 1175, 1337, 1366, 1375 cod. civ.), delle regole della correttezza professionale (art. 2598, n. 3, cod. civ.) e dei doveri correlati alla responsabilità extracontrattuale (art. 2043 cod. civ.) ad arginare la libertà di scelta del contraente nonché la determinazione del contenuto del contratto che caratterizzano l'autonomia contrattuale, e non sono perciò idonei a sopperire alterazione dell'equilibrio tra le parti che consegue all'essere una di esse in posizione di supremazia. (Corte cost., 15 maggio 1990, n. 241).

Nel diritto tributario la questione è stata affronta in modo più deciso e chiaro, "in materia tributaria il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, che preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l'uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un'agevolazione o un risparmio di imposte, in difetto di ragioni economiche apprezzabili che giustifichino l'operazione, diversa dalla mera aspettativa di quei benefici. Ne consegue che il carattere abusivo di un'operazione va escluso quando sia individuabile una copresenza, non marginale, di ragioni extrafiscali, che non si identifichino necessariamente in una redditività immediata dell'operazione medesima ma possono rispondere ad esigenze di natura organizzativa volte a consentire un miglioramento strutturale e funzionale dell'azienda per far fronte alla concorrenza. Il venir meno dell'elusività rende inapplicabile il raddoppio dei termini per l'accertamento[19]".

È quindi prevalente l'interesse sulla natura intrinseca degli atti compiuti e dei loro effetti giuridici sul loro titolo e sulla loro forma apparente, il dato giuridico reale conseguente alla natura intrinseca degli atti e i loro effetti giuridici rispetto ai dati formalmente enunciati anche frazionatamente in uno o più atti.

Ad esempio, la pluralità degli atti che vengono compiuti per realizzare uno di degli effetti che la legge sull'imposta del registro considera rilevante non priva di rilevanza quell'unitas multiplex che è data dall'insieme dei negozi collegati strutturalmente, per identità dei soggetti e dell'oggetto, e funzionalmente per il contributo parziale e strumentale che ciascuno dei negozi, che si succedono nel tempo, dà alla formazione progressiva di un'unica fattispecie identificabile attraverso un determinato effetto giuridico finale.

L'art. 20 del d.P.R. 131/1986 costituisce una norma di natura anti-elusiva finalizzata, laddove dispone che il tributo sia applicato secondo "l'intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti", al disconoscimento dei vantaggi tributari conseguiti per mezzo dell'abuso del diritto, principio che trova la sua fonte, in tema di tributi non armonizzati, nei principi costituzionali che informano l'ordinamento tributario italiano. La mancanza di una concreta dimostrazione circa la sussistenza di ragioni economiche apprezzabili diverse dalla mera aspettativa dei benefici fiscali e la conclusione dell'intera operazione, costituzione di società ad hoc, conferimento di azienda, cessione della partecipazione, in un brevissimo arco temporale, legittimano la riqualificazione degli atti.

Non sono mancati tentativi di ricondurre all'art. 2 della Costituzione, che « riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo », una garanzia implicita, tuttavia invani per ragioni storico e ideologiche.

Tuttavia non si può ignorare il principio di solidarietà espresso nell'art. 2 della Cost.. se è vero che parte in dottrina, taluni hanno rilevato che, il principio generale del sistema è la liceità e la libertà, e non anche la doverosità e l'obbligo[20], la connotazione dell'uomo uti socius ha reso necessario l'intervento del legislatore, ma anche dell'interprete, di porre, da un lato, limiti all'esercizio dei propri diritti al fine di costituire uno sbarramento al'individualismo esasperato[21], dall'altro dei doveri ed obblighi finalizzati alla vita e allo sviluppo della società.

Esso è, in altre parole, la più diretta realizzazione del principio di solidarietà sociale, per il quale la persona è chiamata ad agire non per calcolo utilitaristico o per imposizione di un'autorità, ma per libera e spontanea espressione della profonda socialità che caratterizza la persona stessa. Si tratta di un principio che, comportando l'originaria connotazione dell'uomo uti socius, è posto dalla Costituzione tra i valori fondanti dell'ordinamento giuridico, tanto da essere solennemente riconosciuto e garantito, insieme ai diritti inviolabili dell'uomo, dall'art. 2 della Carta costituzionale come base della convivenza sociale normativamente prefigurata dal Costituente.

Della natura di tali diritti fondamentali il volontariato partecipa: e vi partecipa come istanza dialettica volta al superamento del limite atomistico della libertà individuale, nel senso che di tale libertà è una manifestazione che conduce il singolo sulla via della costruzione dei rapporti sociali e dei legami tra gli uomini, al di là di vincoli derivanti da doveri pubblici o da comandi dell'autorità[22].

Le commissioni tributarie, hanno in più occasioni descritto i caratteri della condotta abusiva: "La fattispecie di abuso del diritto prescinde da qualsiasi riferimento alla natura fittizia o fraudolenta di un'operazione, nel senso di una prefigurazione di comportamenti diretti a trarre in errore o a rendere difficile all'Ufficio di cogliere la vera natura dell'operazione. Il proprium del comportamento abusivo consiste proprio nel fatto che il soggetto pone in essere operazioni reali assolutamente conformi ai modelli legali, senza immutazioni del vero e rappresentazioni incomplete della realtà. È quindi necessario analizzare la natura e la specie delle operazioni, nelle loro reciproche connessioni e nelle finalità perseguite, per verificare se le stesse sono rivolte essenzialmente a conseguire un risparmio di imposta senza giustifi- cazioni economiche"[23].

Garanzie endoprocessuali e processuali

5. Il contribuente puo' proporre interpello secondo la procedura e con gli effetti dell'articolo 11 della presente legge per conoscere se le operazioni che intende realizzare, o che siano state realizzate, costituiscano fattispecie di abuso del diritto. L'istanza e' presentata prima della scadenza dei termini per la presentazione della dichiarazione o per l'assolvimento di altri obblighi tributari connessi alla fattispecie cui si riferisce l'istanza medesima.

Tale norma riscrive il comma 8 dell'art. 37 bis dpr 600/1973 che stabili-sce (iva) che le norme tributarie che, allo scopo di contrastare comportamenti elusivi, limitano deduzioni, detrazioni, crediti d'imposta o altre posizioni soggettive altrimenti ammesse dall'ordinamento tributario, possono essere disapplicate qualora il contribuente dimostri che nella particolare fattispecie tali effetti elusivi non potevano verificarsi.

A tal fine il contribuente dove (doveva) presentare istanza al direttore regionale delle entrate competente per territorio, descrivendo compiutamente l'operazione e indicando le disposizioni normative di cui chiede la disapplicazione; procedura disciplinata dal D.M. 19 giugno 1998, n. 259.

6. Senza pregiudizio dell'ulteriore azione accertatrice nei termini stabiliti per i singoli tributi, l'abuso del diritto e' accertato con apposito atto, preceduto, a pena di nullita', dalla notifica al contribuente di una richiesta di chiarimenti da fornire entro il termine di sessanta giorni, in cui sono indicati i motivi per i quali si ritiene configurabile un abuso del diritto.

7. La richiesta di chiarimenti e' notificata dall'amministrazione finanziaria ai sensi dell'articolo 60 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni, entro il termine di decadenza previsto per la notificazione dell'atto impositivo. Tra la data di ricevimento dei chiarimenti ovvero di inutile decorso del termine assegnato al contribuente per rispondere alla richiesta e quella di decadenza dell'amministrazione dal potere di notificazione dell'atto impositivo intercorrono non meno di sessanta giorni. In difetto, il termine di decadenza per la notificazione dell'atto impositivo e' automaticamente prorogato, in deroga a quello ordinario, fino a concorrenza dei sessanta giorni.

8. Fermo quanto disposto per i singoli tributi, l'atto impositivo e' specificamente motivato, a pena di nullita', in relazione alla condotta abusiva, alle norme o ai principi elusi, agli indebiti vantaggi fiscali realizzati, nonche' ai chiarimenti forniti dal contribuente nel termine di cui al comma 6.

I commi 6, 7, 8 rispondono ad una esigenza di chiarezza cui aveva posto rimedio la giurisprudenza: ovvero se la previa richiesta di chiarimenti al contribuente qualora non effettuata determinasse la nullità dell'avviso di accertamento emesso ex art. 37 bis anche in relazione agli accertamenti emessi in violazione della (allora) clausola generale del divieto di abuso del diritto: estensione riconosciuta da attenta dottrina[24] e dalla giurisprudenza[25].

Viene confermato il meccanismo partecipativo dell'interpello c.d endoprocedimentale già previsto dall'art.37 bis ed espressione del piu' generale diritto al contradditorio consacrato nell'art.12 dello Statuto dei diritti del contribuente - legge 212/2000[26] - e nell'ordinamento europeo .

9. L'amministrazione finanziaria ha l'onere di dimostrare la sussistenza della condotta abusiva, non rilevabile d'ufficio, in relazione agli elementi di cui ai commi 1 e 2. Il contribuente ha l'onere di dimostrare l'esistenza delle ragioni extrafiscali di cui al comma 3.

Anche tale aspetto non presenta profili di novità. Infatti, "un'operazione economica integra un comportamento abusivo qualora e nella misura in cui lo scopo di ottenere un vantaggio fiscale si ponga come elemento predominante ed assorbente della transazione. Spetta all'Amministrazione finanziaria prospettare il disegno elusivo e le modalità di manipolazione e alterazione degli schemi classici, mentre spetta al contribuente dimostrare l'esistenza di valide ragioni economiche, alternative o concorrenti al mero risparmio di imposta, che giustifichino il particolare atteggiarsi dell'operazione indagata"[27].

L'Ufficio deve procedere all'accertamento di finalità abusive sottese alla stipula di un negozio giuridico, deve quindi valutare il contratto intercorso in relazione al suo contenuto effettivo e non al suo nomen iuris, al fine di verificare che la causa reale dell'atto contrasti o meno con i principi dell'ordinamento giuridico e del sistema tributario[28].

È stato ritenuto che, "non configura comportamento abusivo l'apporto di immobili prevalentemente locati ad un fondo immobiliare, effettuato in regime di esclusione dall'IVA ai sensi dell'art. 8, comma 1-bis, d.l. 351/2001, seguito dalla cessione a terzi delle quote ricevute, in quanto, nell'ipotesi alternativa in cui l'apportante avesse ceduto gli immobili al fondo o ai cessionari delle quote in regime di imponibilità per opzione ex art. 10, comma 1, n. 8-ter) lett. d), d.P.R. n. 633/1972, questi ultimi avrebbero avuto titolo per l'integrale detrazione dell'IVA addebitata. Inoltre, l'operazione non è stata posta in essere al fine esclusivo di ottenere un beneficio fiscale in capo all'apportante".

Il contribuente, da parte sua, dovrà opporre ragioni economiche di natura extrafiscale che giustifichino l'operazione contestata, ovvero, l'esistenza di motivi di miglior efficienza da apportare agli assetti dell'impresa che giustifichino l'impiego di quella forma organizzativa e quant'altro risulti convincente e risolutivo per sostenere la legittimità della scelta operata.

10. In caso di ricorso, i tributi o i maggiori tributi accertati, unitamente ai relativi interessi, sono posti in riscossione, ai sensi dell'articolo 68 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, e, successive modificazioni, e dell'articolo 19, comma 1, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472.

11. I soggetti diversi da quelli cui sono applicate le disposizioni del presente articolo possono chiedere il rimborso delle imposte pagate a seguito delle operazioni abusive i cui vantaggi fiscali sono stati disconosciuti dall'amministrazione finanziaria, inoltrando a tal fine, entro un anno dal giorno in cui l'accertamento e' divenuto definitivo ovvero e' stato definito mediante adesione o conciliazione giudiziale, istanza all'Agenzia delle entrate, che provvede nei limiti dell'imposta e degli interessi effettivamente riscossi a seguito di tali procedure.

L'art. 37 bis c. 7 dpr 600/1973, superato dal citato comma 11, stabiliva che i soggetti diversi da quelli previsti dai commi precedenti) potevano chiedere il rimborso delle imposte pagate a seguito dei comportamenti disconosciuti dall'amministrazione finanziaria; a tal fine detti soggetti potevano proporre, entro un anno dal giorno in cui l'accertamento diveniva definitivo anche mediante adesione o conciliazione giudiziale.

12. In sede di accertamento l'abuso del diritto puo' essere configurato solo se i vantaggi fiscali non possono essere disconosciuti contestando la violazione di specifiche disposizioni tributarie.

13. Le operazioni abusive non danno luogo a fatti punibili ai sensi delle leggi penali tributarie. Resta ferma l'applicazione delle sanzioni amministrative tributarie.».

Sino all'entrata in vigore della norma on commento, se l'elusione è avvenuta ex art. 37 bis si applicano le sanzioni amministrative cass. 30.11.2011 n. 25537 e quella penale Cass. Pen. 28.02.2012 n. 7739. Nel caso in cui invece l'ufficio accertatore abbia provveduto in virtù della clausola generale del divieto di abuso del diritto non sono dovute né sanzioni amministrative né penali nel rispetto del principio di legalità e certezza del diritto. Già l'art. 37 bis c. 2 dpr 600/1973 stabiliva che .

L'art.37 bis c. 6 fa riferimento alle sanzioni pecuniarie "per relationem" richiamandole nel sistema di riscossione in pendenza di giudizio(art.68 Dlgs 546/92), la giurisprudenza di legittimità, tuttavia, dopo aver puntualizzato che la ripresa del maggior imponibile in conseguenza del disconoscimento degli effetti del negozio in quanto abusivo, non comporta automatica esclusione delle sanzioni[29] , secondo la tesi sostanzialista data l'indifferenza sul piano della illiceita' tra coloro i quali violano la norma impositiva e chi la infrange, le sanzioni costituiscono un effetto naturale dell'esito del'accertamento degli atti elusivi seppur nelle sole ipotesi di cui all'art.37 bis DPR 600/73 e nel rispetto del principio del fondamento normativo richiamato nella sentenza Halifax[30], bastando che la dichiarazione del contribuente risulti difforme rispetto all'accertato per farne scattare l'operativita' per infedele dichiarazione (art.1 comma 2 Dlgs 471/97)[31].

In definitiva il sistema appare oggi più coerente e vincolante, anche se, il nostro paese ha impiegato oltre trent'anni a codificare un principio in grado di colmare la poca chiarezza e completezza che le norme oggi ci offre.

Avv. Giampaolo Morini (foro di Lucca)
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[1] Corte di Giustizia, sentenza 14 dicembre 2000, causa C 110/99, Emsland-Stärke GmbH c. Haumptzollamt Hamburg-Jonas.

[2] Corte di Giustizia UE, sentenza 21 febbario 2008, causa C-425/06, Part Service.

[3] Corte di Giustizia ,sent.14 dicembre 2000 C-110/99 - caso Emsland-Starke

[4] Corte di Giustizia, sentenza 21 febbraio 2006, causa C 255/02 Halifax plc, Leeds Permanent Development Services Ltd e County Wide Property Investments Ltd c. Commissioners of Customs & Excise.

[5] Corte di Giustizia, sentenza del 22 dicembre 2010, causa C-103/09, The Commissioners for Her Majesty's Revenue and Customs contro Weald Leasing Ltd.

[6] Corte di giustizia , sent.21 febbraio 2006, C-255/02

[7] Commissione tributaria provinciale di Milano, Sez. 24, sentenza n. 388/24/2012 del 18 dicembre 2012, Presidente: Centurelli, Relatore: Salvo

[8] Commissione tributaria regionale per la Lombardia, Sez. 7, sentenza n. 92/07/2013 del 27 giugno 2013, Presidente: Arbasino, Relatore: Crespi

[9] Commissione tributaria provinciale di Milano, Sez. 22, sentenza n. 106/22/ 2013 del 24 maggio 2013, Presidente e Relatore: Maniàci

[10] Commissione tributaria provinciale di Cremona, Sez. 3, sentenza n. 128/03/2012 del 26 settembre 2012, Presidente: Nocerino, Relatore: Nicolini. In tal senso Commissione tributaria regionale per la Lombardia, Sez. 26, sentenza n. 89/26/2012 del 16 luglio 2012, Presidente: Di Blasi, Relatore: Gesualdi: Il principio di abuso del diritto costituisce la chiave di lettura dell'art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986 e ne rafforza la portata antielusiva consentendo all'amministrazione finanziaria di considerare un "abuso del diritto" il comportamento del contribuente che utilizzi negozi giuridici astrattamente leciti non al fine di addivenire ad una "riorganizzazione aziendale", ma al precipuo obiettivo di ottenere un rilevante risparmio fiscale nell'ambito dell'imposizione indiretta su una vera a propria operazione di cessione d'azienda, eludendo lo schema della tassazione ordinaria. Idem, Commissione tributaria regionale per la Lombardia, Sez. 26, sentenza n. 108/26/2012 del 7 settembre 2012, Presidente: Di Blasi, Relatore: Noschese Nel caso di accertamento mediante il quale sono stati ripresi a tassazione gli interessi passivi su un prestito obbligazionario, originatosi all'esito di una complessa operazione di riorganizzazione societaria che ha coinvolto molteplici società nel quadro di un Leveraged Buyout (LBO), incombe sul contribuente l'onere di giustificare l'esistenza delle valide ragioni economiche poste alla base delle operazioni effettuate. Qualora il contribuente non giustifichi le ragioni economiche poste a base delle operazioni societarie effettuate, l'Ufficio legittimamente può ritenere che le anzidette operazioni societarie risultano estranee alla finalità propria dell'esercizio d'impresa in quanto poste in essere per soddisfare unicamente gli interessi rientranti nella sfera giuridica dei soci/persone fisiche coinvolti. Commissione tributaria regionale per la Lombardia, Sez. 42, sentenza n. 118/42/2012 del 20 settembre 2012, Presidente: De Ruggiero, Relatore: Ceruti: Deve ritenersi sussistere ipotesi di abuso del diritto qualora più atti negoziali posti in essere da una società, riguardati nella simultanea e concatenata loro stipulazione, prospettino una dolosa preordinazione finalizzata all'illegittimo risparmio di imposta, sintomatica di un intento simulatorio dell'operazione globalmente considerata e dei suoi singoli passaggi. Pertanto, sussiste ipotesi di abuso del diritto qualora una società attraverso il collegamento di più atti (costituzione di società, conferimento del ramo d'azienda e, in pari data, cessione della intera partecipazione azionaria) manifesti una precisa scelta necessariamente preordinata e studiata al fine di produrre un unica operazione economica di trasferimento del ramo d'azienda con un unico effetto "Indiretto" (sotteso agli atti stessi) di evitare la tassazione del passaggio diretto del trasferimento del ramo d'azienda, con abbattimento dell'imposta di registro.

[11] P. RESCIGNO, L'abuso del diritto, pag, 13ss.; U. BRECCIA, L'abuso del diritto, in AA.VV., L'abuso del diritto, pag. 71

[12] Rescigno, abuso del diritto pag. 13.

[13] U. NATOLI, Note preliminari ad una teoria dell'abuso del diritto nell'ordinamento giuridico italiano, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1958, 37 ss.; P. RESCIGNO, L'abuso del diritto, Bologna, 1998, 13 ss.; S. ROMANO, Abuso del diritto, in Enc. del diritto, I, Milano, 1958, 168 ss.; S. PATTI, Abuso del diritto, in Dig. Disc. Priv., Torino, 1987, 2 ss.; D. MESSINETTI, Abuso del diritto, in Enc. del diritto, Aggiorn. II, Milano,1998, 1 ss.; C. SALVI, Abuso del diritto. I) Diritto civile, in Enc. giur., I, Roma, 1988.

[14] F. GALGANO, Diritto civile e commerciale, II, Le obbligazioni e i contratti, I, Obbligazioni in generale. Contratti in generale, Padova, 1999, 143 ss..

[15] F. DI MARZIO, Deroga al diritto dispositivo, nullità e sostituzione di clausole del consumatore, in Contr. e impr., 2006, 704 ss.

[16] Commentario del Codice Civile e codici collegati, Scialoja – Branca – Galgano a cura di Giorgio De Nova, carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea a cura di pasquale Gianniti I diritti fondamentali nell'Unione Europea, la carta di Nizza dopo il Trattato di Lisbona, Zanichelli Roma 2013 pag. 1515.

[17] Scialoja – Branca – Galgano, op. cit. pag. 1515

[18] M. ROTONDI, L'abuso del diritto, in Riv. dir. civ., 1923, 105 ss.

[19] Commissione tributaria provinciale di Milano, Sez. 22, sentenza n. 189/22/2012 del 18 luglio 2012, Presidente: Piscitello, Relatore: Salvo

[20] Cerri, Doveri Pubblici, in Enc. Giur., XII, Torino, 1989

[21] Alpa, Solidarietà, Nuova Giur. Comm., 1994, pag. 365.

[22] Corte Cost. 75/1992.

[23] Commissione tributaria regionale per la Lombardia, Sez. 31, sentenza n. 91/31/2013 del 5 luglio 2013, Presidente: Marra, Relatore: Falaguerra

[24] Tundo, Tesauro, Nussi, Pierre, Ragucci.

[25] Comm. Trib. Reg. Lombardia n. 2 del 16.01.2012; Comm. Trib. Porv. Genova n. 2 del 24.01.2011; Comm. Trib. Prov. Brescia n. 14 del 18.02.2011; Comm. Trib. Prov. Milano n. 54 del 21.02.2011

[26] Solo sopo decorso il termine di 60 gg può essere emesso l'avviso di accertamento, ovvero dopo che è stato concesso al contribuente il termine per il rilascio del pvc per far pervenire le sue osservazioni. Le Sezioni Unite della Cassazione(.18184/2013)hanno stabilito che il termine di legge e' posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contradditorio procedimentale.

[27] Commissione tributaria provinciale di Milano, Sez. 18, sentenza n. 235/18/ 2012 del 24 settembre 2012, Presidente: Pinto, Relatore: Gesualdi

[28] Commissione tributaria provinciale di Milano, Sez. 41, sentenza n. 243/41/ 2012 del 27 settembre 2012, Presidente: Deodato, Relatore: Martinelli.

[29] Cass. n. 12249/2010

[30] Corte di giustizia , sent.21 febbraio 2006, C-255/02.

[31] Cass. 25537/2011

Data: 08/07/2017 15:30:00
Autore: Giampaolo Morini