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Consulta: fallimenti, imposta di registro in misura fissa

L'imposta di registro in relazione alle pronunce del tribunale che definiscono i giudizi di opposizione allo stato passivo del fallimento deve essere corrisposta in misura fissa e non proporzionale


Avv. Luisa Foti - L'imposta di registro in relazione alle pronunce del tribunale che definiscono i giudizi di opposizione allo stato passivo del fallimento con l'accertamento di crediti derivanti da operazioni soggette a Iva, deve essere corrisposta in misura fissa e non proporzionale. Ad affermarlo è la Corte costituzionale, con la sentenza n. 177 del 2017, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 8, comma 1, lettera c), della Tariffa, Parte prima, allegata al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131 (Approvazione del Testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro), nella parte in cui assoggetta all'imposta di registro proporzionale - anziché in misura fissa - anche le pronunce che definiscono i giudizi di opposizione allo stato passivo del fallimento con l'accertamento di crediti derivanti da operazioni soggette all'imposta sul valore aggiunto: per la Consulta è irragionevole trattare situazioni uguali – sentenza di accertamento e sentenza di condanna – in modo diverso.

La vicenda

La questione è sorta nel corso di un giudizio promosso dal curatore di un fallimento nei confronti dell'Agenzia delle entrate - direzione provinciale II di Napoli. La controversia aveva ad oggetto un avviso di liquidazione che ha applicato l'imposta di registro proporzionale a un decreto con il quale il Tribunale ordinario di Napoli, definendo un giudizio di opposizione allo stato passivo del fallimento, ha ammesso al concorso un credito in precedenza escluso, ai sensi dell'art. 99 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 della legge fallimentare.

Il ricorrente nel processo principale lamentava l'applicazione dell'imposta di registro nella misura proporzionale dell'uno per cento ai sensi dell'art. 8, comma 1, lettera c), della Tariffa, anziché nella misura fissa, nonostante si trattasse della registrazione di un provvedimento relativo a un credito derivante da operazioni soggette a IVA.

Sulla rilevanza della questione, il rimettente osservava che ai sensi della nota II all'art. 8 della Tariffa, gli atti giudiziari di cui al comma 1, lettera b) e al comma 1-bis dello stesso art. 8, non sono sottoposti all'imposta proporzionale di registro per la parte in cui dispongono il pagamento di corrispettivi o prestazioni soggetti a IVA.

Tale norma costituisce una particolare attuazione del principio di alternatività fra l'imposta di registro e l'IVA stabilito dall'art. 40 del d.P.R. n. 131 del 1986 e, dunque, agli atti in essa indicati si applicherebbe l'imposta in misura fissa.

Tuttavia la norma si applica ai soli provvedimenti di condanna e, in quanto di stretta interpretazione, non si può estendere agli atti giudiziari che si limitano ad accertare crediti derivanti da operazioni soggette a IVA, come le sentenze pronunciate in esito ai giudizi di opposizione allo stato passivo del fallimento.

La decisione della Corte

Accogliendo la questione e ritenendola fondata per irragionevolezza, la Consulta ha spiegato che, tenuto conto della ratio del principio di alternatività, di cui all'art. 40 del dpr 1986 che mira a evitare la doppia imposizione dello stesso atto, "il trattamento differenziato – tra la pronuncia di accertamento e la pronuncia di condanna - non risponde a ragionevolezza qualora l'accertamento del credito soggetto a IVA sia, come nel caso dell'accoglimento dell'opposizione allo stato passivo, il presupposto necessario e sufficiente della partecipazione del creditore all'esecuzione collettiva, che è strumentale al pagamento del credito stesso, sia pure in "moneta fallimentare". Sotto tale profilo, la differenza tra le pronunce di accertamento e le pronunce di condanna, da cui la richiamata giurisprudenza trae la conclusione dell'inapplicabilità del regime fiscale agevolato alle prime, tende a sfumare sino a dissolversi. Per la soddisfazione del credito ammesso al passivo, infatti, non è richiesta una successiva pronuncia di condanna suscettibile di esecuzione forzata, preclusa dal divieto ex art. 51 della legge fallimentare. Da questo angolo visuale – ha concluso la Corte - la ratio sottesa all'alternatività fra l'imposta di registro e l'IVA risulta comune a entrambe le situazioni messe a confronto ed esige pertanto che l'ambito di applicazione del beneficio fiscale sia esteso alle pronunce in questione, non essendo rilevante che il pagamento del corrispettivo soggetto a IVA, in sede di riparto dell'attivo fallimentare, sia un evento futuro e incerto nell'an e nel quantum, ben potendo valere questa stessa affermazione anche per il pagamento coattivo in seguito a condanna, che dipende comunque dalla capienza del patrimonio del debitore".

Data: 19/07/2017 12:00:00
Autore: Luisa Foti