Pubblicità decettiva
- Pubblicità decettiva: cosa si intende
- Nullità delle clausole che prevedono condizioni sfavorevoli rispetto a quanto pubblicizzato
- La soluzione della dottrina
Pubblicità decettiva: cosa si intende
E' necessario svolgere talune considerazioni in ordine ai casi in cui il professionista non si astenga, puramente e semplicemente, dall'informare la controparte, ma al contrario, induca quest'ultima a ritenere che il contenuto del contratto da concludere sia diverso (e più favorevole) rispetto a quanto in realtà predisposto.
La questione sembra debba essere tenuta distinta rispetto a quella relativa alla vessatorietà, posto che, anche nei casi in cui la clausola risulti al contempo vessatoria (poiché fonte del «significativo squilibrio») e difforme da quanto rappresentato al consumatore, l'ineffìcacia della stessa potrebbe rappresentare misura inidonea di per sé, ad eliminare ogni pregiudizio: nell'ipotesi in cui la clausola venga sostituita attraverso l'impiego di norme dispositive, l'assetto complessivo potrebbe infatti risultare in ogni caso deteriore rispetto a quello atteso dal consumatore in virtù delle informazioni decettive ricevute dalla controparte.
Nel caso, poi, in cui l'eventuale inefficacia della singola clausola ? per essere la stessa (non trasparente e) attinente all'«oggetto» o al rapporto sinallagmatico ? dovesse estendersi all'intero contratto, il risarcimento del danno secondo i canoni previsti dall'art. 1338 non costituirebbe misura sufficiente a compensare il consumatore del mancato conseguimento del bene o del servizio alle condizioni contrattuali attese, anche quì, in relazione alle informazioni decettive provenienti dalla controparte.
Nullità delle clausole che prevedono condizioni sfavorevoli rispetto a quanto pubblicizzato
In risposta a simili esigenze il legislatore ha dettato con riguardo ad una specifica fattispecie ? la regola per cui le clausole che « prevedono tassi, prezzi e condizioni più sfavorevoli per i clìenti di quelli pubblicizzati», da un lato, sono «nulle e si considerano non apposte» e, dall'altro, vengono sostituite, quanto ai tassi, secondo criteri legalmente predeterminati e, quanto agli altri «prezzi e condizioni », con le clausole pubblicizzate nel corso del rapporto (Il riferimento è all'art. 117, 6° e 7° co., D. Lg. 385/93. Un "divieto" di fornire al consumatore "informazioni ingannevoli" è previsto, con riferimento alle modalità del servizio offerto, al prezzo e agli altri elementi del contratto, dall'art. 8, C co., D.Lg. 111/95. A tale divieto non è connessa una specifica sanzione: al riguardo può immaginarsi o la sostituzione delle clausole diffomi con quelle oggetto di informazione decettiva, estendendo all'ipotesi in questione quanto previsto dal medesimo D.Lg. 111/95, all'art. 9, 2° co., là dove si afferma, in relazione all"opuscolo informativo", che le informazioni contenute al suo interno «vincolano l'organizzatore e il venditore in relazione alle rispettive responsabilità» - salvo che le modifiche non siano cornunicate o concordate secondo determinate modalità; ovvero ? argomentando, magari, dal dato della mera facoltatività dell'opuscolo informativo ? un risarcimento del danno che, tuttavia, dovrebbe tendenzialmente essere commisurato, all'interesse «positivo». Analogamente è a dirsi in relazione all'art. 2, 3° co., d.lgs. 427/98, là dove si fa divieto al venditore di apportare modifiche agli elementi dei documento informativo, salvo che esse non siano dovute a circostanze indipendenti dalla sua volontà - fermo restando, in questo caso, l'obbligo di comunicare alla controparte le modifiche - o siano concordate tra le parti: anche nella fattispecie non sono infatti indicate le sanzioni connesse alla mancata osservanza del divieto).
La soluzione della dottrina
Autore: Giampaolo Morini