Avvocatura: professione prestigiosa ma ferita dalla crisi
Dal rapporto Censis per Cassa Forense emerge sfiducia nel sistema giudiziario da parte dei cittadini e pessimismo tra gli avvocati
di Lucia Izzo - L'avvocatura è una "professione ancora prestigiosa, ma ferita dalla crisi": il 44,9% dei professionisti ha subito un ridimensionamento nelle entrate nel 2016. Probabilmente poiché il 71,6% degli italiani non ha fiducia nel sistema giudiziario e il 30,7% ha deciso di non avviare un'azione legale a propria tutela.
Sono alcuni dei dati che emergono dal secondo rapporto annuale CENSIS sull'avvocatura, presentato alla Convention di Cassa Forense del 9-10 giugno 2017 e la cui versione integrale verrà resa pubblica nelle prossime settimane.
L'indagine, da un lato, ha riguardato l'immagine e la reputazione dell'avvocatura nell'opinione di un campione rappresentativo per genere, età e area geografica di mille italiani, dall'altro, i percorsi e gli scenari possibili della professione ed è stata condotta su un campione di 10.425 avvocati.
Per gli italiani: ruolo attivo dell'avvocatura, ma sfiducia nella giustizia
Le professioni ritenute dagli italiani più prestigiose sono il medico (59,9%) e l'ingegnere (34,7%), mentre gli avvocati si collocano a metà classifica (16%), preceduti dai consulenti del lavoro (21,4%) e seguiti da giornalisti (15,8%), commercialisti (11,2%) e architetti (8,4%). Chiudono la classifica i notai con il 2,9%.
Il 37,3% degli italiani ritiene che l'avvocatura potrà svolgere un ruolo attivo e dare un contributo positivo nella stabilizzazione dei rapporti di lavoro e un maggiore inserimento dei giovani nell'occupazione.
Ancora, secondo i risultati, il 42,3% degli italiani attribuisce agli avvocati un ruolo attivo nel risolvere il tema della durata eccessiva dei procedimenti giudiziari, tuttavia, a poter garantire un miglior funzionamento della giustizia sono in primis la magistratura e le forze dell'ordine.
I motivi per cui gli italiani si rivolgono agli avvocati vedono, sul podio, le questione legate alla proprietà, seguite dalle questione lavorative e da infortuni, risarcimenti e sinistri.
Quanto al ricorso alla consulenza legale, questa cresce al crescere del libello d'istruzione: il 34,7% nel caso dei laureati, il 25,3% fra i diplomati e il 19,9% per chi è in possesso di un titolo di studio inferiore. La situazione si ribalta se si guarda all'area di rinuncia a far valere un proprio diritto, che risulta crescente al crescere del titolo di studio posseduto.
I motivi della rinuncia? In particolare il costo eccessivo per avviare la procedura (29,4%) e i tempi lunghi per arrivare a un giudizio definitivo (26,5%). Seguono a distanza la sfiducia nei confronti del funzionamento della giustizia (16,2%) e l'incertezza dell'esito finale (15,9%).
Avvocati: aumenta il pessimismo per il futuro
L'indagine opera anche un confronto della condizione degli avvocati come rilevate negli anni precedenti e analizza l'autopercezione della professione avuta da circa 10mila avvocati. Rispetto al 2015 Aumenta la percentuale di pessimisti quanto al futuro della propria condizione professionale nei prossimi due anni rispetto a chi ritiene che migliorerà.
Tra i problemi che dovrebbero essere affrontati nell'immediato dall'avvocatura e dai suoi soggetti di rappresentanza emergono una maggiore attenzione al rapporto tra magistrati e avvocati (22,9%) e il tema del dumping (22,5%).
Nel 2016 il 44,9% degli avvocati aveva dichiarato di aver subito un ridimensionamento delle proprie entrate, mentre negli ultimi due anni si è registrata una riduzione anche della quota di chi ha incrementato il fatturato, passata dal 25,1% nel 2015 al 23,8% del 2017.
In particolare, la fetta maggiore del fatturato dei legali è rappresentata dell'assistenza giudiziale (66%) mentre tra consulenza e mediazione/arbitrato, quest'ultimo ha subito un aumento (+0,5%), così come la quota di fatturato maturato in ambito locale a discapito di quella regionale e nazionale.
In una simile situazione il 34,1% degli avvocati dichiara di "sopravvivere", mentre il 33% definisce molto critica e incerta la propria condizione professionale. In effetti, tra le situazioni maggiormente critiche al primo posto si posiziona ancora la difficoltà a risparmiare (78,8%), seguita dalla diminuzione del reddito familiare (50,4%), dalle difficoltà economiche dovute alla riduzione o all'interruzione dell'attività professionale (45,2%) e le difficoltà economiche dovute a spese impreviste (41,6%).
Di fronte alle spese critiche, tuttavia, la maggior parte degli avvocati, in particolare quelli più anziani, agisce in autonomia, accingendo ai propri risparmi, oppure con l'aiuto di amici e parenti e, assai più raramente, con il contributo della Cassa Previdenziale, nonostante il 42% degli avvocati dichiari di essere a conoscenza del Regolamento sull'Assistenza della Cassa Forense in vigore dal 1° gennaio 2016.
Come ha commentato il presidente di Cassa Forense, Nunzio Luciano, "I dati rilevati dalla ricerca del Censis, la seconda volta per Cassa Forense, dimostrano che siamo sulla strada giusta" aggiungendo che la Cassa, per affrontare le difficoltà in cui versano molti avvocati, ha "varato una serie di misure di welfare, sia assistenziale che strategico, muovendosi in diversi ambiti: salute, famiglia, bisogno e necessità individuali, professione."
Tra questi proprio il Regolamento dell'Assistenza, che "consente di poter accompagnare il professionista in tutto il percorso, dal momento in cui inizia la sua attività professionale fino a quando decide di smettere"; per il presidente sono gli avvocati italiani che dovrebbero "conoscere di più e meglio quello che Cassa Forense sta facendo e può fare per loro".
Autore: Lucia Izzo