Assegno ai figli: niente scuse per il padre disoccupato
Per la Cassazione è irrilevante lo stato di disoccupazione dell'uomo quanto al mancato versamento dell'assegno
di Lucia Izzo - Va condannato per violazione degli obblighi di assistenza familiare il padre che versa l'assegno di mantenimento nei confronti dei figlio, il quale non è giustificato dallo stato di disoccupazione da lui lamentato, ritenuto all'uopo irrilevante.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, VI sezione penale, nella sentenza n. 39411/2017 (qui sotto allegata) con cui ha rigettato il ricorso avanzato da un uomo condannato ex art. 570 c.p. per mancato assolvimento degli obblighi di mantenimento nei confronti della figlia.
L'uomo, in sede di legittimità, evidenzia che non è stata considerata dai giudici di merito la mancanza dello stato di indigenza della minore, che avrebbe a detta sua dovuto caratterizzare il reato, nonché la sua impossibilità di adempiere in quanto disoccupato.
Mantenimento figli: la disoccupazione non scrimina dall'obbligo di contribuzione
Tuttavia, gli Ermellini condividono quanto stabilito dai giudici di merito e precisano che le eccezioni attinenti lo stato di disoccupazione appaiono infondate: queste, infatti, non scriminano dall'obbligo di contribuzione, a meno che non si provi l'assoluta impossibilità di fare fronte alle obbligazioni attraverso la dimostrazione di una fruttuosa attivazione in tal senso.
Altresì è irrilevante la verifica di uno stato di indigenza della minore, atteso che lo stato di bisogno è insito in tale condizione, per pacifica giurisprudenza. Ancora, neppure assume rilievo la "mancata considerazione della deposizione della figlia", contestata nel ricorso, a fondamento della pretesa cessazione dell'omissione alla data di raggiungimento della maggiore età della ragazza: tale condotta, infatti, non elide gli effetti di quanto già realizzato e continua a sussistere per effetto del mancato adempimento delle prestazioni scadute.
Il reato neppure può ritenersi estinto per prescrizione, come affermato dal ricorrente, in quanto successivamente la figlia è andata a vivere presso di lui e dunque il reato sarebbe stato consumato fino a quella data.
Per la Cassazione, infatti, è pacifico che il ricorrente non ha mai dedotto di aver fatto fronte alle obbligazioni scadute, cosicché rispetto a esse l'omissione è ancora in atto. Pertanto, correttamente si è ritenuta la permanenza del reato fino alla data della sentenza di primo grado.
Questa segna il limite della permanenza della condotta, esclusivamente per la necessità di ancorare l'accertamento di responsabilità all'oggetto del giudizio, non potendo la valutazione proiettarsi per il futuro. La permanenza delle omissioni maturate in precedenza impedisce quindi la maturazione della causa estintiva del reato.
Autore: Lucia Izzo