Conto cointestato: la perdita della capacità del cointestatario
Avv. Giampaolo Morini - La perdita della capacità del cointestatario va ricordato che essa non è causa di scioglimento del rapporto e il diritto di disporre separatamente sul conto resta inalterato. Così come il cointestatario può utilizzare il conto, a tanto può provvedere anche il legale rappresentante dell'incapace.
La dizione dell'art. 14 delle norme uniformi bancarie è stato oggetto di puntuali critiche da parte della dottrina (cfr. Renda) che ha osservato la peculiare situazione dell'inabilitato che non viene sostituito nell'amministrazione del proprio patrimonio dal curatore, ma solo assistito dallo stesso. In questa tematica è facile evidenziare che i prelevamenti effettuati dal tutore dell'interdetto, sono liberatori solo se il legale rappresentante risulta autorizzato dal G.T. al prelievo (art. 374, n. 2, c.c.) e che il pagamento all'inabilitato non è liberatorio, senza l'assistenza del curatore.
L'utilizzazione del conto da parte del cointestatario diverso dall'inabilitato o dall'interdetto è valida e continua ad essere valida, in forza del patto di solidarietà, questa è forse l'unica affermazione di principio che si voleva esprimere nel citato articolo delle norme uniformi bancarie. Questi concetti, peraltro, debbono calarsi nella struttura del conto corrente, ove è collegata la convenzione di assegno.
Vi è la convinzione che il legale rappresentante dell'incapace non possa utilizzare la convenzione di assegno, come anche l'inabilitato, proprio perché la loro manifestazione di volontà è complessa e richiede integrazioni di altri soggetti. È da verificare se l'art. 14 delle n.b.u. disciplini o meno anche altre fattispecie che colpiscono il singolo cointestatario ossia l'ipotesi che questi venga dichiarato fallito ovvero a suo carico si apra una procedura concorsuale.
Il fallimento di uno dei cointestatari del conto
Il fallimento comporta, infatti, lo scioglimento del contratto di conto corrente ed anche di quello bancario[1]. Il curatore apprende il saldo del conto, ma se questo è cointestato la problematica si aggrava a dismisura.
Si potrebbe ritenere che le somme depositate vanno apprese alla massa e che gli altri cointestatari devono far valere nei confronti della procedura i loro diritti alla restituzione della quota di spettanza. Se questa ricostruzione è esatta, il fallimento del cointestatario scioglierebbe l'intero rapporto di conto con l'ovvia conseguenza che gli altri contitolari non potrebbero continuare ad utilizzarlo anche se il conto era retto dal principio della solidarietà.
È stato osservato che il diritto di questi ultimi resta compresso dalle esigenze pubblicistiche della procedura fallimentare e dal diritto del curatore di apprendere i beni del fallito. Solo successivamente verrà accertata quale parte del deposito è di pertinenza del fallito e quale quota va restituita agli altri aventi diritto[2]. Nei confronti della banca non sarebbe liberatorio né il prelievo effettuato dal fallito né quello effettuato dagli altri cointestatari.
Questa tesi non è condivisa da altra dottrina[3] che pone in dubbio la premessa di base e ritiene che il rapporto nei confronti degli altri cointestatari non falliti non può essere interrotto per una vicenda agli stessi del tutto estranea. La curatela è autorizzata ad apprendere la quota di pertinenza del fallito da determinarsi in via presuntiva ex art. 1298 c.c. e gli altri cointestatari possono continuare ad utilizzare il conto, ovviamente per quanto riguarda la rimanente giacenza. Va tenuto a tal proposito presente che la sentenza di fallimento ha effetto dal suo deposito per cui la banca, di norma, non ha notizia tempestiva dell'incapacità del cointestatario fallito e gli altri cointestatari, per non dire il fallito, sono spesso pronti a far valere i loro diritti sul deposito ancor prima che la banca venga a conoscenza delle vicende che hanno interessato il contitolare del conto.
La soluzione che potrebbe apparire più cautelativa è, a nostro parere, quella di ritenere i cointestatari abilitati ad utilizzare ancora il conto, in quanto la consegna al P.U. degli assegni da questi emessi, potrebbe risultare, in ultima analisi, l'iniziativa più pericolosa per la banca e va condivisa quindi con tutte le perplessità chiaramente manifestate dal Salanitro, la tesi secondo cui il fallimento del cointestatario determina lo scioglimento del rapporto strumentale, ma lascia inalterati i rapporti sostanziali che sono regolati in conto corrente. Il contitolare non fallito se titolare del rapporto sottostante non può essere pregiudicato nell'esercizio dei suoi diritti dal fallimento dell'altro intestatario del conto. Riteniamo preferibile questa soluzione, anche alla luce della recente pronunzia della Cassazione[4], che ha ridimensionato in una fattispecie contigua l'orientamento, fortemente penalizzante per le banche, secondo il quale tutti i pagamenti effettuati dopo il fallimento erano inefficaci rispetto alla curatela.
Altra soluzione va accolta quando il correntista è ammesso al beneficio del concordato preventivo o dell'amministrazione controllata. I detti soggetti non sono privati dalla loro capacità ed il richiamo all'art. 14 delle norme non ha alcun significato in quanto le vicende personali del contitolare non hanno ripercussione sull'esecuzione del contratto. Tutto ciò sempre che non si tratti di concordato con cessione di beni[5]ovvero che in virtù della l. fall. il debitore in amministrazione controllata non sia stato privato della gestione dei propri beni con decreto del Tribunale che provvede ad affidare al commissario giudiziale in tutto o in parte l'amministrazione dei beni del debitore. In questa ipotesi è ovvio che il potere di disporre sul conto si trasferisce al commissario giudiziale. Sul piano operativo, è opportuno interpellare, quando è possibile, il Commissario giudiziale non tanto per integrare la volontà del soggetto ammesso alla procedura, quanto per essere certi che lo stesso non è stato esautorato dall'amministrazione dei suoi beni. Tutto quanto sopra è valido sempre che si accolga la tesi che fa rientrare negli atti di ordinaria amministrazione l'utilizzo del conto corrente. Se la tesi da noi privilegiata non fosse ritenuta valida, sarebbe necessario richiedere l'autorizzazione del G.D.
Avv. Giampaolo Morini
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[1] MAFFEI ALBERTI, Commentario breve alla legge fallimentare, Padova, 1992, sub art. 78, p. 262; ID., Gli effetti del fallimento sui contratti bancari, in Dir. fall., 1989, I, p. 255; CAVALLI, op. cit., p. 9; PELLEGRINO, Gli effetti del fallimento sui contratti bancari, in Dir. fall., 1992, I, p. 97.
[2] RENDA, La contitolarità, cit., p. 153.
[3] SALANITRO, Le banche, cit., p. 185.
[4] Cass., 10 dicembre 1993, n. 12159, inedita che riprende l'indirizzo già in precedenza manifestato dalla s.C. con la sentenza 21 marzo 1989, n. 1417, in Foro it., 1989, I, p. 1063 con nota adesiva di SILVESTRI; in Fallimento, 1989, p. 711 con nota adesiva di DANOVI; in Giust. civ., 1989, I, p. 1602, con nota critica di LO CASCIO.
[5] RENDA, op. cit., p. 153. Trib. Milano, 29 ottobre 1989, in Bancaria, 1990, n. 5, p. 53; nel caso di specie l'assegno era stato protestato perché emesso dal debitore in concordato senza il « visto » del commissario giudiziario o l'autorizzazione del giudice delegato. Il Tribunale ha ritenuto, invece, che il titolo andava estinto perché il traente aveva piena capacità e che il protesto era quindi illegittimo. Il comportamento della banca era censurabile, ma la parte attrice non aveva provato il danno subito dal protesto illegittimo. DI SABATO, Il conto corrente nel concordato preventivo e nell'amministrazione controllata, Milano, 1982, p. 47.
Data: 28/08/2017 20:50:00Autore: Giampaolo Morini