Decreto ingiuntivo: guida e modello Marina Crisafi - 13/11/24  |  L'ipoteca a garanzia dell'assegno di mantenimento Matteo Santini - 10/11/24  |  La scienza smascherata United Lawyers for Freedom – ALI Avvocati Liberi - 21/06/23  |  Compiti a casa: i docenti devono usare il registro elettronico  Redazione - 12/04/23  |  Annullate multe over50: la prima sentenza United Lawyers for Freedom – ALI Avvocati Liberi - 26/03/23  |  

Fermo amministrativo: effetti e rimedi

Focus sul fermo di beni mobili registrati da parte dell'agente della riscossione


Avv. Giampaolo Morini - Decorso inutilmente il termine di cui all'articolo 50, comma 1, il concessionario può disporre il fermo dei beni mobili del debitore o dei coobbligati iscritti in pubblici registri, dandone notizia alla direzione regionale delle entrate ed alla regione di residenza[1] [2] [3].

La procedura di iscrizione del fermo di beni mobili registrati

La procedura di iscrizione del fermo di beni mobili registrati è avviata dall'agente della riscossione con la notifica al debitore o ai coobbligati iscritti nei pubblici registri di una comunicazione preventiva contenente l'avviso che, in mancanza del pagamento delle somme dovute entro il termine di trenta giorni, sarà eseguito il fermo, senza necessità di ulteriore comunicazione, mediante iscrizione del provvedimento che lo dispone nei registri mobiliari, salvo che il debitore o i coobbligati, nel predetto termine, dimostrino all'agente della riscossione che il bene mobile è strumentale all'attività di impresa o della professione[4]. Chiunque circola con veicoli, autoscafi o aeromobili sottoposti al fermo è soggetto alla sanzione prevista dall'articolo 214, comma 8, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285. Con decreto del Ministro delle finanze, di concerto con i Ministri dell'interno e dei lavori pubblici, sono stabiliti le modalità, i termini e le procedure per l'attuazione di quanto previsto nell'art. 86. Il preavviso del fermo auto è sempre impugnabile, anche quando si tratta di obbligazioni di natura extratributaria, come ad esempio le multe, i canoni o le iscrizioni agli ordini professionali. La questione che si pone è se il preavviso assume il valore di comunicazione di iscrizione di fermo amministrativo che, quale atto preordinato all'espropriazione forzata e, comunque, alla realizzazione di un credito è atto impugnabile. La società ricorrente sostiene la tesi della non impugnabilità di un atto considerato meramente preparatorio, in relazione al quale il destinatario non avrebbe alcun interesse ad impugnare. In realtà secondo la Cassazione l'atto impugnato contiene (oltre all'invito al pagamento da effettuarsi entro venti giorni dalla notifica) la comunicazione ultima che decorso inutilmente il termine per pagare si provvede alla iscrizione del "fermo presso il Pubblico Registro Automobilistico senza ulteriore comunicazione". Quindi, l'atto impugnato vale come comunicazione ultima della iscrizione del fermo entro i successivi venti giorni (salvo pagamento). Di qui l'interesse ad impugnare. Per le Sezioni Unite non si tratta di un atto meramente preparatorio, con obbligo del contribuente di attendere il decorso dei venti giorni per impugnare direttamente l'iscrizione del fermo, in sede di esecuzione con aggravio di spese e perdita di tempo. La Cassazione non ignora che talune decisioni hanno escluso la impugnabilità del provvedimento per carenza di interesse, ma tale indirizzo deve ritenersi superato dall'intervento delle Sezioni Unite, secondo il quale il preavviso di fermo amministrativo ex art. 86 d.P.R. 602/73 riguarda una pretesa creditoria dell'ente pubblico di natura tributaria impugnabile innanzi al giudice tributario, in quanto atto funzionale a portare a conoscenza del contribuente una determinata pretesa tributaria, rispetto alla quale sorge ex art. 100 c.p.c. l'interesse del contribuente alla tutela giurisdizionale per il controllo della legittimità sostanziale della pretesa impositiva, a nulla rilevando che detto preavviso non compaia esplicitamente nell'elenco degli atti impugnabili contenuto nell'art. 19 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in quanto tale elencazione va interpretata in senso estensivo, sia in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente e di buon andamento della P.A., che in conseguenza dell'allargamento della giurisdizione tributaria operato con la legge 28 dicembre 2001, n. 448. (Cass. 10672/2009). Analoghe considerazioni valgono, mutatis mutandis, allorquando il preavviso riguardi obbligazioni extratributarie[5].

Fermo amministrativo: gli effetti e i rimedi

Ricapitolando, il fermo amministrativo di beni mobili registrati è un istituto disciplinato dall'art. 86 del ripetuto D.P.R. n. 602/1973, in base al quale, una vola decorso inutilmente il termine di cui all'art. 50, comma 1, del medesimo decreto, ossia trascorsi 60 giorni dalla notificazione della cartella di pagamento, o, di norma, 90 giorni dalla notifica dell'accertamento esecutivo, l'agente della riscossione può, in via cautelare, disporre, attraverso un apposito provvedimento, l'apposizione di un vincolo sui beni mobili registrati (veicoli, natanti, aeromobili) del debitore e degli eventuali coobbligati, dandone comunicazione alla competente Direzione regionale delle entrate e alla Regione di residenza del debitore stesso. L'esecuzione del fermo amministrativo avviene mediante iscrizione del relativo provvedimento nel pubblico registro mobiliare ed ha, come principale conseguenza, il divieto di circolazione del veicolo, divieto che viene disposto, in particolare, dall'art. 5, comma 2, del D.M. n. 503/1998, oltre che dall'art. 214, comma 1, del D.Lgs. n. 285/1992 ("Codice della strada"), in base al quale "il proprietario, nominato custode, o, in sua assenza, il conducente o altro soggetto obbligato in solido, fa cessare la circolazione e provvede alla collocazione del veicolo in un luogo di cui abbia la disponibilità ovvero lo custodisce, a proprie spese, in un luogo non sottoposto a pubblico passaggio …". Inoltre, in caso di violazione del divieto di circolazione, il citato art. 86, al comma 3, stabilisce l'applicazione delle sanzioni disposte dal comma 8 del citato art. 214 (sanzione pecuniaria da euro 770 a euro 3.086 e confisca del veicolo)[6]. Con il "Decreto del Fare", è stata inserita una disposizione che va a modificare (con effetto dal 21 agosto 2013) la disciplina della misura cautelare:

• in primis, stabilendo l'obbligo per l'agente della riscossione di inviare al debitore una specifica comunicazione preventiva contenente l'avviso dell'iscrizione nei pubblici registri del fermo amministrativo, in caso di mancato pagamento del debito entro 30 giorni dalla notifica della predetta comunicazione;

• in secondis, prevedendo la possibilità per il debitore di evitare l'applicazione del vincolo dimostrando all'agente della riscossione, entro il medesimo termine di 30 giorni, che il bene è "strumentale all'attività di impresa o della professione".

Il concessionario potrebbe anche agire mediante l'iscrizione dell'ipoteca sull'autovettura del debitore, che assolve le medesime funzioni cautelari del fermo (senza, tuttavia, produrre l'effetto del divieto di circolazione del veicolo), ma con il vantaggio che, non essendo questo strumento inserito nell'ambito della procedura della riscossione coattiva esattoriale di cui al D.P.R. n. 602/1973, può ben trovare applicazione dall'ente, a prescindere dalla figura del funzionario/ufficiale della riscossione, ex art. 7, c. 2, lett. gg-sexies, D.L. 13 maggio 2011, n. 70, come convertito dalla legge 12 luglio 2011, n. 106; un ulteriore vantaggio, questo rispetto al pignoramento, è l'esclusione della necessità del concreto rinvenimento dell'autoveicolo. Nel quadro generale delle procedure volte alla riscossione coattiva delle entrate locali, una valida alternativa al fermo amministrativo dei beni mobili registrati, e in particolare dell'auto, ancorché poco praticata, e percorribile anche in assenza, nell'ambito dell'organizzazione dell'ente, dell'ufficiale della riscossione, è rappresentata dall'ipoteca dell'autovettura del debitore, il cui presupposto particolare è costituito dall'"atto di interpellanza". L'ipoteca automobilistica, ovvero una particolare fattispecie di ipoteca mobiliare, si costituisce mediante iscrizione (pubblicità costitutiva) nel registro del P.R.A. - Pubblico registro automobilistico (3) e annotazione nel certificato di proprietà, e crea un vincolo sul bene, senza impedire al proprietario l'utilizzo e la disposizione del veicolo. Anche quella automobilistica è un diritto reale di garanzia con cui si costituisce un vincolo giuridico che è posto sui beni del debitore a garanzia del soddisfacimento di un credito; in altri termini, si tratta:

- di un diritto reale, perché è iscritta sul bene ("res", nel nostro caso, l'automobile);

- di un diritto di garanzia, perché garantisce la soddisfazione del credito.

Il fondamento normativo di detto istituto si rinviene nell'art. 25, R.D. 29 luglio 1927, n. 1814[7], secondo cui

25. Chi abbia titolo valido per l'iscrizione, a proprio favore, nel Pubblico registro, di un credito privilegiato o per l'annotazione del trasferimento di esso, può esigere dal titolare della licenza di circolazione la consegna del relativo foglio complementare, per il tempo strettamente necessario al compimento delle formalità inerenti all'iscrizione o all'annotazione sul Pubblico registro del privilegio o, rispettivamente, del trasferimento di esso.

Sulla produzione di atto di interpellanza, eseguito da notaio o da ufficiale giudiziario, dal quale risulti il rifiuto del titolare della licenza alla consegna del relativo foglio complementare, il competente ufficio dell'A.C.I., qualunque sia la causa del rifiuto, se concorrano le altre condizioni di legge, esegue, a domanda dell'interessato, l'iscrizione o l'annotazione richiesta. Eseguita l'iscrizione o l'annotazione, l'ufficio dell'A.C.I. informa la Prefettura competente del rifiuto opposto dal titolare della licenza alla consegna del relativo foglio complementare. La Prefettura ritira temporaneamene del foglio complementare presso il titolare e lo rimette all'ufficio dell'A.C.I., che, eseguiti su di esso gli annotamenti del caso, ne effettua la restituzione al titolare, previo pagamento, a favore dell'A.C.I., degli emolumenti che saranno determinati, in conformità delle disposizioni previste dall'art. 28 del R.D.L. 15 marzo 1927, n. 436». In definitiva, la legge dispone che:

- chi ha titolo valido per l'iscrizione nel P.R.A., a proprio favore, di un credito privilegiato, può esigere dal titolare della licenza di circolazione la consegna del relativo foglio complementare, per il tempo strettamente necessario al compimento delle formalità inerenti all'iscrizione o all'annotazione sul Pubblico registro del privilegio (cioè dell'ipoteca);

- a fronte di atto d'interpellanza, eseguito da notaio o da ufficiale giudiziario, da cui risulti il rifiuto del titolare della licenza alla consegna del relativo foglio complementare, il competente ufficio dell'A.C.I., quale che sia la causa del rifiuto, se concorrano le altre condizioni di legge, esegue, a domanda dell'interessato, l'iscrizione o l'annotazione richiesta;

- una volta eseguita, l'ufficio dell'A.C.I. informa la Prefettura competente del rifiuto opposto dal titolare della licenza alla consegna del relativo foglio complementare;

- la Prefettura provvede al temporaneo ritiro del foglio complementare presso il titolare e lo rimette all'ufficio dell'A.C.I., che, eseguiti su di esso gli annotamenti del caso, lo restituisce al titolare, previo pagamento, a suo favore, degli emolumenti previsti[8].

Oggetto del privilegio automobilistico sono tutti gli autoveicoli elencati nell'art. 1, R.D.L. 15 marzo 1927, n. 436, ovvero quelli iscritti al P.R.A.: autovetture, autocarri, trattrici coi relativi veicoli rimorchiati e ogni altro veicolo assimilabile ai predetti, e motocicli (con esclusione nei riguardi di quest'ultimo termine, dei velocipedi muniti di piccoli motori ausiliari, ordinariamente chiamati biciclette a motore o motoleggere). L'istituto dell'atto d'interpellanza, nonostante la sua oggettiva macchinosità e l'evidente vetustà, continua a trovare applicazione ai giorni nostri; in proposito, infatti, giova ricordare che il D.Lgs. 1° dicembre 2009, n. 179, sulla delegificazione, ha ritenuto indispensabile la permanenza in vigore di entrambi i decreti che ne stanno a fondamento, almeno limitatamente ad alcune norme, tra cui quelle in commento, ancorché risalenti a più di 85 anni fa.

Avv. Giampaolo Morini

Corso Garibaldi, 7

55049 Viareggio (LU)

giampaolo@studiolegalemorinigiampaolo.it

0584361554

[1] Art. 85 comma 1 sostituito dall'art. 1, comma 1, lett. q), D.Lgs. 27 aprile 2001, n. 193.

[2] La Corte costituzionale, con ordinanza 21-24 giugno 2004, n. 189 (Gazz. Uff. 30 giugno 2004, n. 25, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 86, commi 1 e 2, e 91-bis sollevate in riferimento agli artt. 3, 53 e 97 della Costituzione. La stessa Corte, con ordinanza 1° - 17 dicembre 2015, n. 269 (Gazz. Uff. 23 dicembre 2015, n. 51, 1ª Serie speciale), dichiarato manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 19 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in combinato disposto con gli artt. 86 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 − come sostituito dall'art. 16, comma 1, del D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46 − e 91-bis del medesimo D.P.R. n. 602 del 1973 e con l'art. l, comma l, lettera q), del D.Lgs. 27 aprile 2001, n. 193; in riferimento agli artt. 11, 24, 111 e 117 della Costituzione, agli artt. 6 e 13 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la L. 4 agosto 1955, n. 848, nonché agli artt. 47, 52 e 53 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea. Ritenuto che il Giudice di pace di Bianco, con due ordinanze in data 5 maggio 2003 aventi identica motivazione, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 53 e 97 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 86, commi 1 e 2, e 91-bis, in relazione all'art. 77 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), nella parte in cui non prevedono che, in caso di fermo amministrativo di un veicolo, questo possa avvenire sui beni di proprietà del debitore fino alla concorrenza del doppio dell'importo del credito complessivo per cui si procede, così come previsto dall'art. 77 del D.P.R. n. 602 del 1973 stesso nel caso di iscrizione di ipoteca sui beni immobili del debitore, e nella parte in cui non prevedono che l'esperimento di un tentativo di pignoramento con esito negativo costituisca presupposto necessario del fermo amministrativo del veicolo; che il rimettente riferisce di essere investito di non meglio precisati "tempestivi ricorsi" presentati da due proprietari di veicoli assoggettati a fermo amministrativo da parte di concessionari della riscossione dei tributi e che nei giudizi a quibus le parti hanno sollevato eccezione di legittimità costituzionale dell'art. 86 del D.P.R. n. 602 del 1973; che, in ordine alla non manifesta infondatezza, il Giudice di pace rimettente osserva che i provvedimenti di fermo amministrativo appaiono "ingiusti, illegittimi, iniqui" e che "l'attività posta in essere dal concessionario risulta essere emanata in assoluta carenza di potere, oltre che lesiva dei diritti soggettivi" dei ricorrenti; che, dopo aver ricostruito il quadro normativo applicabile alla fattispecie, il rimettente osserva che, in assenza del decreto di attuazione previsto dall'ultimo comma dell'art. 86 del D.P.R. n. 602 del 1973, il concessionario "non ha alcun potere per disporlo [il fermo] per il semplice ed insuperabile motivo che un precetto privo della normativa di attuazione è un precetto inapplicabile"; che, dopo aver escluso l'attuale vigenza del D.M. 7 settembre 1998, n. 503, in quanto allora il fermo aveva una funzione diversa ed era in ogni caso subordinato alla richiesta di un pignoramento negativo o del verbale di irreperibilità, il Giudice a quo osserva come il fermo sia "sovradimensionato" e rimesso alla discrezionalità del privato concessionario; che, secondo il rimettente, il D.M. 7 settembre 1998, n. 503, prevedeva la necessità di un previo pignoramento negativo e poneva un limite di lire cinquecentomila al di sotto del quale non poteva disporsi il provvedimento di fermo, e ancora che era vietato il pignoramento di beni mobili per un valore presunto superiore al doppio del debito; che il Giudice di pace di Bianco ricorda poi che l'art. 517 c.p.c. prescrive che l'esecuzione vada eseguita sulle cose indicate dal debitore, norma questa completamente ignorata dal concessionario procedente nei due casi che hanno dato origine ai giudizi a quibus; che, dopo aver ricordato la modifica del comma 1 della disposizione impugnata ad opera del D.Lgs. 27 aprile 2001, n. 193, che ha attribuito al concessionario un indiscriminato potere discrezionale, eliminando il filtro rappresentato dall'art. 79 del D.P.R. 28 gennaio 1988, n. 43, il rimettente rileva che si riscontra una grave ed irragionevole disparità di trattamento se si compara l'art. 86 con l'art. 77 del D.P.R. n. 602 del 1973, dal momento che, mentre in caso di fermo amministrativo di veicolo non è previsto alcun limite di valore, l'iscrizione ipotecaria avviene solo per un importo pari al doppio dell'importo del credito per cui si procede; che secondo il Giudice a quo si può configurare un serio dubbio di legittimità costituzionale anche dell'art. 91-bis del citato D.P.R. n. 602 del 1973, per violazione dell'art. 3 Cost., "proprio a causa della ingiustificata ed irragionevole disparità di trattamento della norma in esame nei confronti dei soggetti a concordato preventivo e/o ad amministrazione controllata rispetto a chi versa in questo stato per il medesimo provvedimento di espropriazione forzata, cioè il fermo amministrativo dei beni mobili registrati"; che, quanto alla rilevanza delle questioni, il rimettente afferma che ai fini della decisione sui ricorsi "è assolutamente necessario valutare la corretta applicazione da parte del concessionario del potere di disporre il fermo amministrativo di un bene mobile iscritto nei pubblici registri ai sensi dell'art. 86 del D.P.R. n. 602 del 1973, disposizione della cui legittimità costituzionale questo Giudice dubita fortemente"; che è intervenuto nei giudizi di legittimità costituzionale il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo alla Corte di dichiarare inammissibili o infondate le questioni sollevate; che, secondo la difesa erariale, le ordinanze di rimessione risultano prive di una idonea descrizione degli elementi essenziali dei giudizi pendenti, nonché della dovuta motivazione in ordine alla rilevanza delle questioni ed ai parametri costituzionali che sono solo apoditticamente invocati; che, secondo quanto osserva ancora l'Avvocatura, nelle ordinanze vengono citate alla rinfusa norme non pertinenti o abrogate (come l'art. 91-bis del D.P.R. n. 602 del 1973), e vengono richiamati istituti del tutto estranei alla fattispecie, come il concordato preventivo e l'amministrazione controllata; che nel merito la difesa della Presidenza del Consiglio osserva che l'importo minimo del debito che consente l'attivazione del fermo amministrativo del veicolo, di cui all'art. 79 del D.P.R. n. 43 del 1988, era previsto solo per la trasmissione alla amministrazione finanziaria del verbale di pignoramento negativo, per consentire alla stessa di indicare i beni (compresi i veicoli iscritti al PRA) sui quali effettuare ulteriori tentativi di esecuzione, atteso che all'epoca i concessionari non potevano accedere direttamente all'anagrafe tributaria; che ad avviso della difesa erariale tale limite non incideva quindi sulla possibilità di procedere alla esecuzione su detti beni, il cui presupposto è sempre stato la morosità del debitore, e che in ogni caso a seguito della entrata in vigore del D.Lgs. 13 aprile 1999, n. 112, l'intero D.P.R. n. 43 del 1988 è stato abrogato; che, quanto alla proporzionalità tra il debito vantato dagli enti creditori e l'iscrizione del fermo amministrativo, l'Avvocatura osserva che la stessa era prevista in una disposizione abrogata (art. 64 del D.P.R. n. 602 del 1973, nel testo antecedente al D.Lgs. n. 46 del 1999), e che, quanto alla scelta delle cose da pignorare di cui all'art. 517 c.p.c., si tratta di disposizione che presuppone una collaborazione del debitore che generalmente non viene prestata; che l'Avvocatura osserva infine che nessun raffronto può essere fatto, ai fini del giudizio di eguaglianza, tra il fermo previsto dalla disposizione impugnata e l'iscrizione di ipoteca di cui all'art. 77 del D.P.R. n. 602 del 1973, sia perché si tratta di istituti fra loro diversi, sia perché, come ha più volte osservato la Corte, il legislatore gode di ampia discrezionalità in ordine alle misure da adottare a garanzia dei diversi crediti. Considerato che il Giudice di pace di Bianco dubita della legittimità costituzionale degli artt. 86, commi 1 e 2, e 91-bis, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), nella parte in cui non prevedono che, in caso di applicazione della sanzione del fermo amministrativo del veicolo, sia stabilito che questo possa avvenire sui beni di proprietà del debitore fino alla concorrenza del doppio dell'importo del credito complessivo per cui si procede, così come previsto dall'art. 77 del D.P.R. n. 602 del 1973 stesso per l'iscrizione di ipoteca sui beni immobili del debitore, e nella parte in cui non prevedono che, anche nel caso di applicazione della sanzione del fermo amministrativo del mezzo, venga previsto, quale presupposto necessario, l'esperimento di un tentativo di pignoramento con esito negativo; che secondo il rimettente le disposizioni impugnate violano gli artt. 3, 53 e 97 della Costituzione; che le due ordinanze sollevano, con identica motivazione, la stessa questione di legittimità costituzionale e i giudizi vanno quindi riuniti per essere decisi con unico provvedimento; che l'art. 91-bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, già introdotto dall'art. 5, comma 4, lettera e), del D.L. 31 dicembre 1996, n. 669 (Disposizioni urgenti in materia tributaria, finanziaria e contabile a completamento della manovra di finanza pubblica per l'anno 1997), convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1997, n. 30, non è stato riprodotto dall'art. 16 del D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46 (Riordino della disciplina della riscossione mediante ruolo, a norma dell'art. 1 della legge 28 settembre 1998, n. 337), che ha sostituito l'intero Titolo II del D.P.R. n. 602 del 1973, e deve ritenersi perciò abrogato; che le ordinanze di rimessione contengono una descrizione del tutto carente delle fattispecie sottoposte al Giudice a quo, non essendo dato sapere quale sia la natura dei crediti per la riscossione dei quali sta procedendo l'esattoria nei confronti dei debitori i cui veicoli sono stati assoggettati a fermo amministrativo; che le ordinanze non contengono alcuna specifica motivazione in ordine all'asserita violazione degli artt. 53 e 97 della Costituzione; che gli atti che hanno promosso il giudizio della Corte risultano motivati in modo contraddittorio, dal momento che il Giudice a quo, se da un lato solleva la questione di legittimità costituzionale dell'art. 86 del D.P.R. n. 602 del 1973, dall'altro afferma che, in mancanza del decreto ministeriale previsto dall'ultimo comma della disposizione, i provvedimenti di fermo amministrativo appaiono "ingiusti, illegittimi, iniqui" e che "l'attività posta in essere dal concessionario risulta essere emanata in assoluta carenza di potere, oltre che lesiva dei diritti soggettivi" dei ricorrenti, ciò che renderebbe irrilevante, nella stessa prospettazione del rimettente, la decisione della Corte; che nessuna attinenza ai giudizi in corso hanno gli istituti del concordato preventivo e dell'amministrazione controllata; che, come questa Corte ha più volte affermato, le ordinanze contenenti una insufficiente descrizione della fattispecie concreta, tale da non consentire un'adeguata valutazione della rilevanza, così come quelle motivate in modo contraddittorio, sono manifestamente inammissibili (cfr., fra le ultime, ordinanze n. 61 e n. 119 del 2002). Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte Costituzionale. P.Q.M. La Corte Costituzionale riuniti i giudizi, dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 86, commi 1 e 2, e 91-bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 53 e 97 della Costituzione, dal Giudice di pace di Bianco con le ordinanze in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte Costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 giugno 2004.

[3] La Corte costituzionale, con ordinanza 7-22 luglio 2005, n. 318 (Gazz. Uff. 27 luglio 2005, n. 30, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 86, comma 1, come sostituito dall'art. 1, comma 1, lettera q), del decreto legislativo 27 aprile 2001, n. 193 sollevata in riferimento agli artt. 76, 3 e 53 della Costituzione. Successivamente la stessa Corte con ordinanza 3-7 novembre 2008, n. 364 (Gazz. Uff. 12 novembre 2008, n. 47, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 86, nel testo risultante dalla sostituzione del primo comma ad opera dell'art. 1, comma 1, lettera q), del decreto legislativo 27 aprile 2001, n. 193, e quale interpretato autenticamente dall'art. 3, comma 41, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 2 dicembre 2005, n. 248, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 4, 24, 41, 97 e 111 della Costituzione. Ritenuto che, nel corso di un giudizio promosso ai sensi dell'art. 22 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), il Giudice di pace di Sorgono, con ordinanza del 23 giugno 2004, ha sollevato, in riferimento all'"art. 77 Cost. (recte: 76), artt. 3 e 53 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 86, comma 1, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), come sostituito dall'art. 1, comma 1, lettera q), del D.Lgs. 27 aprile 2001, n. 193 (Disposizioni integrative e correttive dei D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, e D.Lgs. 13 aprile 1999, n. 112, in materia di riordino della disciplina relativa alla riscossione); che il rimettente premette che il giudizio ha ad oggetto l'opposizione avverso l'atto con il quale la società concessionaria per la riscossione dei tributi aveva comunicato al ricorrente, ai sensi del comma 2 del citato art. 86, l'iscrizione nel pubblico registro automobilistico del fermo di un autoveicolo di sua proprietà per il mancato pagamento di una cartella esattoriale; che il Giudice a quo premette altresì che il ricorrente ha dedotto che la cartella esattoriale riguardava una sanzione amministrativa iscritta a ruolo, ma ormai caduta in prescrizione per il decorso di cinque anni, ai sensi dell'art. 28 della legge n. 689 del 1981; che, quanto alla rilevanza della questione sollevata, il Giudice rimettente afferma che questa, riguardando la norma che prevede il fermo, incide sul provvedimento oggetto di opposizione, "a prescindere da ulteriori accertamenti in ordine al potere/dovere del Concessionario di procedere a riscossione"; che, quanto alla non manifesta infondatezza della questione stessa, il rimettente afferma, tra l'altro, che: a) "la nuova legittimazione ad applicare il fermo amministrativo - trasferita da un'Autorità pubblica [.....] ad un soggetto privato - appare realizzata con qualche disinvoltura legislativa: la delega al Governo, infatti, [.....] non ne contiene alcun cenno, mentre è molto analitica e precisa nell'individuare altri temi oggetto di delega, di indubbia minor rilevanza sociale"; b) "l'istituto del fermo [.....] sembra introdurre una differenza di trattamento fra gli utenti, dividendoli in due grandi classi: quelli titolari di beni mobili iscritti in pubblici registri (ordinariamente autoveicoli, spesso indispensabile mezzo di lavoro) e quelli titolari di altri beni (non necessariamente, per questo, meno abbienti o contributivamente meno capaci, rispetto ai primi)"; che, inoltre, il Giudice a quo osserva che il regolamento interministeriale previsto dall'art. 86, comma 4, del D.P.R. n. 602 del 1973 - che "avrebbe dovuto definire le modalità di attuazione del fermo" - "non risulta essere stato mai adottato", mentre il regolamento adottato con il D.M. 7 settembre 1998, n. 503 (Regolamento recante norme in materia di fermo amministrativo di veicoli a motore ed autoscafi, ai sensi dell'art. 91-bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, introdotto con l'art. 5, comma 4, del D.L. 31 dicembre 1996, n. 669, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1997, n. 30), cui il concessionario fa riferimento in via di analogia nell'atto impugnato, non presenterebbe in realtà molte analogie con la normativa sul fermo introdotta nel 2001, sia perché "anteriore alla nuova disciplina", sia perché «subordinato alla condizione del "mancato reperimento del bene" da pignorare, oggi non più richiesta»; che, sulla base di tali considerazioni, il rimettente ritiene che la disposizione censurata contrasti con l'art. 76 Cost. ("per aver ecceduto la delega del Parlamento"), artt. 3 e 53 della Costituzione («per aver introdotto una disciplina che diversifica i cittadini, con criterio diverso da quello della "capacità contributiva"»); che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto che la questione sia dichiarata non fondata, osservando, tra l'altro: a) che il denunziato eccesso di delega sarebbe insussistente, in quanto il legislatore delegato avrebbe attuato la delega nell'ambito della discrezionalità concessagli dalla legge di delegazione, volta al riordino del sistema di riscossione e del rapporto con i concessionari e con i commissari governativi, "al fine di conseguire un miglioramento dei risultati della riscossione mediante ruolo e rendere più efficace ed efficiente l'attività dei concessionari e dei commissari stessi" (art. 1, comma 1, della legge 28 settembre 1998, n. 337, legge di delegazione, recante "Delega al Governo per il riordino delle disciplina relativa alla riscossione"); b) che la mancata emanazione di un nuovo regolamento ai sensi dell'art. 86, comma 4, del D.P.R. n. 602 del 1973 non impedirebbe al concessionario di disporre il fermo, dovendosi ancora applicare le disposizioni di cui al citato D.M. n. 503 del 1998 (attuative del previgente art. 91-bis dello stesso D.P.R. n. 602 del 1973), in forza del principio secondo cui il regolamento di attuazione di una disposizione abrogata resterebbe in vigore fino all'approvazione del nuovo regolamento, limitatamente alle parti non incompatibili con la disciplina sopravvenuta; c) che il richiamo all'art. 53 Cost. sarebbe inconferente, perché, nel caso in esame, non verrebbe in rilievo il principio della capacità contributiva, vertendosi in materia di disciplina processuale dell'imposizione, ovvero in materia sanzionatoria; d) che la dedotta violazione dell'art. 3 Cost. sarebbe insussistente, in quanto fondata sul confronto tra soggetti e situazioni non comparabili. Considerato che il Giudice di pace di Sorgono dubita, in riferimento agli artt. 76, 3 e 53 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell'art. 86, comma 1, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), nel testo sostituito dall'art. 1, comma 1, lettera q), del D.Lgs. 27 aprile 2001, n. 193 (Disposizioni integrative e correttive dei D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, e D.Lgs. 13 aprile 1999, n. 112, in materia di riordino della disciplina relativa alla riscossione); che tale disposizione prevede che, decorso inutilmente il termine di sessanta giorni dalla notificazione della cartella di pagamento, "il concessionario può disporre il fermo dei beni mobili del debitore o dei coobbligati iscritti in pubblici registri, dandone notizia alla direzione regionale delle entrate ed alla regione di residenza"; che il Giudice di pace premette che il giudizio principale ha ad oggetto l'opposizione avverso il fermo di un autoveicolo di proprietà del destinatario di una cartella esattoriale emessa per il mancato pagamento di una sanzione amministrativa e che tale opposizione si fonda sulla eccepita prescrizione del diritto dell'erario alla riscossione della somma iscritta a ruolo per il decorso di cinque anni dal giorno della commessa violazione, ai sensi dell'art. 28, primo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689; che, secondo il rimettente, la norma censurata avrebbe ecceduto la delega, di cui alla legge 28 settembre 1998, n. 337 (Delega al Governo per il riordino della disciplina relativa alla riscossione), ed avrebbe «introdotto una disciplina che diversifica i cittadini, con criterio diverso da quello della "capacità contributiva"», a seconda che gli stessi siano titolari, o no, di beni mobili iscritti in pubblici registri; che, inoltre, il Giudice a quo osserva che il regolamento interministeriale previsto dall'art. 86, comma 4, del D.P.R. n. 602 del 1973 - che "avrebbe dovuto definire le modalità di attuazione del fermo" - "non risulta essere stato mai adottato", mentre il regolamento adottato con il D.M. 7 settembre 1998 n. 503 (Regolamento recante norme in materia di fermo amministrativo di veicoli a motore ed autoscafi, ai sensi dell'art. 91-bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, introdotto con l'art. 5, comma 4, del D.L. 31 dicembre 1996, n. 669, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1997, n. 30), cui il concessionario fa riferimento in via di analogia nell'atto impugnato, non presenterebbe in realtà molte analogie con la normativa sul fermo introdotta nel 2001, sia perché "anteriore alla nuova disciplina", sia perché «subordinato alla condizione del "mancato reperimento del bene" da pignorare, oggi non più richiesta»; che lo stesso rimettente afferma la rilevanza della questione di legittimità costituzionale, in quanto questa incide sul provvedimento di fermo oggetto di opposizione, "a prescindere da ulteriori accertamenti in ordine al potere/dovere del Concessionario di procedere a riscossione"; che sia la suddetta eccezione di prescrizione, sia i prospettati dubbi sull'applicabilità della norma censurata per la mancanza di uno specifico regolamento di attuazione pongono questioni preliminari di merito, la cui decisione può definire il giudizio principale indipendentemente dalla risoluzione della questione di costituzionalità sollevata; che, tuttavia, il Giudice a quo non ha in alcun modo motivato né sulla fondatezza dell'eccezione di prescrizione, subordinando ad "ulteriori accertamenti" ogni determinazione al riguardo, né sull'applicabilità della norma censurata in difetto di uno specifico regolamento di attuazione, limitandosi alla mera esposizione delle ragioni che osterebbero all'applicazione "analogica" del regolamento di cui al D.M. n. 503 del 1998; che, pertanto, la sollevata questione di legittimità costituzionale è priva di motivazione sulla rilevanza e, quindi, manifestamente inammissibile. Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte Costituzionale. P.Q.M. La Corte Costituzionale dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 86, comma 1, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), come sostituito dall'art. 1, comma 1, lettera q), del D.Lgs. 27 aprile 2001, n. 193 (Disposizioni integrative e correttive dei D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, e D.Lgs. 13 aprile 1999, n. 112, in materia di riordino della disciplina relativa alla riscossione), sollevata, in riferimento agli artt. 76, 3 e 53 della Costituzione, dal Giudice di pace di Sorgono con l'ordinanza in epigrafe. Così deciso, in Roma, nella sede della Corte Costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 luglio 2005.

[4] Art. 86 comma 2 così sostituito dall'art. 52, comma 1, lett. m-bis), D.L. 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla L. 9 agosto 2013, n. 98.

[5] Negli stessi sensi si è già espressa la Corte in relazione all'ammissibilità delle opposizioni contro il preavviso in tema di debiti tributari: Cass., sez. un., 11 maggio 2009, n. 10672, in Foro it., 2009, I, 2060 In senso contrario Cass., sez. II, 14 aprile 2009, n. 8890, in Arch. circolaz., 2009, 511…. Motivi della Decisione: Al quesito posto dal ricorrente - a quale giudice spetti la giurisdizione in una controversia che concerna l'impugnazione di un preavviso di fermo amministrativo D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 86, - queste Sezioni Unite hanno già dato una risposta (indiretta) con l'ordinanza n. 14831 del 2008, pronunciata in una fattispecie nella quale oggetto di impugnazione era, come nel caso in esame, un preavviso di fermo amministrativo. Nella richiamata ordinanza, nella quale, tuttavia, il tema della impugnabilità del preavviso di fermo non è stato affrontato direttamente, è stato affermato il seguente principio di diritto: "Il giudice tributario innanzi al quale sia stato impugnato un provvedimento di fermo di beni mobili registrati ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 86, deve accertare quale sia la natura - tributaria o non tributaria - dei crediti posti a fondamento del provvedimento in questione, trattenendo, nel primo caso, la causa presso di sè, interamente o parzialmente (se il provvedimento faccia riferimento a crediti in parte di natura tributaria e in parte di natura non tributaria), per la decisione del merito e rimettendo, nel secondo caso, interamente o parzialmente, la causa innanzi al giudice ordinario, in applicazione del principio della translatio iudicii. Allo stesso modo deve comportarsi il giudice ordinario eventualmente adito. Il debitore, in caso di provvedimento di fermo che trovi riferimento in una pluralità di crediti di natura diversa, può comunque proporre originariamente separati ricorsi innanzi ai giudici diversamente competenti". Nel caso di specie si tratta sicuramente di materia tributaria essendo l'atto impugnato relativo ad una pretesa di contributi consortili e sul punto queste Sezioni Unite hanno stabilito che: "I contributi spettanti ai consorzi di bonifica ed imposti ai proprietari per le spese di esecuzione, manutenzione ed esercizio delle opere di bonifica e di miglioramento fondiario, rientrano nella categoria generale dei tributi, con la conseguenza che la domanda di restituzione delle somme versate a tale titolo, proposta dopo il primo gennaio 2002, è devoluta alla giurisdizione delle commissioni tributarie, in applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 2 nel testo modificato dalla L. 28 dicembre 2001, art. 12, n. 448, il quale ha esteso la giurisdizione tributaria a tutte le controversie aventi ad oggetto tributi di ogni genere e specie" (Cass. S.U. n. 10703 del 2005). Vi è altro, tuttavia, su cui occorre ragionare, sia in relazione alla circostanza che nel caso di specie l'azione sia stata introdotta anteriormente all'entrata in vigore della modifica apportata al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, dal D.L. n. 223 del 2006, art. 35, comma 25 quinquies, che ha collocato tra gli atti impugnabili innanzi al giudice tributario anche il fermo D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 86, sia in relazione al fatto che nel caso di specie l'atto impugnato sia costituito dal preavviso e non da un già eseguito fermo amministrativo. Orbene nella richiamata ordinanza n. 14831 del 2008, queste Sezioni Unite avevano ritenuto che, alla luce della modifica introdotta al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, dal D.L. n. 223 del 2006, art. art. 35, comma 26 quinquies, (convertito con modificazioni con L. n. 248 del 2006), non potesse essere mantenuta l'esegesi anteriormente proposta dalle medesime Sezioni Unite (ord. nn. 2053 e 14701 del 2006), secondo cui la giurisdizione sul fermo amministrativo spettava al giudice ordinario essendo tale atto "preordinato all'espropriazione forzata, atteso che il rimedio, regolato da norme collocate nel titolo 2^ sulla riscossione coattiva delle imposte, si inserisce nel processo di espropriazione forzata esattoriale quale mezzo di realizzazione del credito". Questa esegesi, hanno affermato le Sezioni Unite nell'ordinanza n. 14831 del 2008, "non può oggi essere mantenuta di fronte alla chiara volontà del legislatore di escludere il fermo di beni mobili registrati dalla sfera tipica dell'espropriazione forzata, rafforzando l'idea, da alcuni sostenuta, che l'adozione dell'atto in questione si riferisca ad una procedura alternativa all'esecuzione forzata vera e propria, che nel D.P.R. n. 602 del 1973, trova la propria tipizzante disciplina nel capo 2^ del titolo 2^ (mentre la disciplina del fermo di beni mobili registrati, non a caso, sarebbe dettata nel capo 3^, del medesimo titolo)". Queste conclusioni, che danno corpo ad una valenza non solo innovativa, ma anche (e prima ancora) interpretativa delle modifiche normative disposte con il D.L. n. 223 del 2006, art. 35, comma 25 quinquies, potrebbero ritenersi risolutive nel caso di specie a superare il dubbio che, essendo stata la causa introdotta anteriormente alla richiamata modifica del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19 debba essere confermata la giurisdizione del giudice ordinario effettivamente adito: se il fermo amministrativo non è, come sembra invero più giusto ritenere anche in relazione alla collocazione "topografica" di tale atto nel sistema normativo, un atto dell'espropriazione forzata, ma un atto riferito ad una procedura alternativa all'esecuzione forzata vera e propria, allora deve escludersi la giurisdizione del giudice ordinario che, in materia tributaria, ha giurisdizione relativamente alle sole controversie attinenti alla fase dell'esecuzione forzata. Ma vi è un ulteriore elemento da considerare: la circostanza che nel caso di specie oggetto dell'impugnazione sia un preavviso di fermo amministrativo, la cui impugnabilità è, peraltro, il nucleo centrale della controversia. Il preavviso di fermo è stato istituito dall'Agenzia delle Entrate con nota n. 57413 del 9 aprile 2003, disponendo che i concessionari, una volta emesso il provvedimento di fermo amministrativo dell'auto, ma prima di procedere alla iscrizione del medesimo, comunichino al contribuente moroso - che non abbia cioè provveduto a pagare il dovuto entro i sessanta giorni dalla notifica della cartella - un avviso ad adempiere al debito entro venti giorni, decorsi i quali si provvedere a rendere operativo il fermo. La richiamata nota dell'Agenzia delle Entrate dispone, inoltre, che nell'ipotesi di persistente inadempimento, il preavviso "vale, ai sensi del D.M. 7 settembre 1998, n. 503, art. 4, comma 1, secondo periodo, (il quale resta applicabile, giusta la disposizione di cui al D.L. n. 203 del 2005, art. 3, comma 41, convertito con modificazioni con L. n. 248 del 2005, fino all'emanazione del decreto ministeriale previsto dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 86, comma 4 in ordine alle procedure per l'esecuzione del fermo amministrativo), come comunicazione di iscrizione del fermo a decorrere dal ventesimo giorno successivo". Sicchè il preavviso è sostanzialmente l'unico atto mediante il quale il contribuente viene a conoscenza della esistenza nei suoi confronti di una procedura di fermo amministrativo dell'autoveicolo. Come è evidente il preavviso si colloca all'interno di una sequela procedimentale - emanazione del provvedimento di fermo, preavviso, iscrizione del provvedimento emanato - finalizzata ad assicurare, mediante una pronta conoscibilità del provvedimento di fermo, una ampia tutela del contribuente che di quel provvedimento è il destinatario: in questa prospettiva il preavviso di fermo svolge una funzione assolutamente analoga a quella dell'avviso di mora nel quadro della comune procedura esecutiva esattoriale, e come tale avviso esso non può non essere un atto impugnabile. In specie qualora si pensi che, come tante volte accade con l'avviso di mora, l'atto in questione potrebbe essere il primo atto (e, peraltro, valendo anche come comunicazione dell'automatica iscrizione del fermo, il solo atto) con il quale il contribuente viene a conoscenza dell'esistenza nei suoi confronti di una pretesa tributaria che egli ha interesse a contrastare. Il fatto che il preavviso di fermo amministrativo non compaia esplicitamente nell'elenco degli atti impugnabili contenuto nel D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, non costituisce un ostacolo, in quanto, secondo un principio già affermato da questa Corte, e che il Collegio condivide, l'elencazione degli atti impugnabili, contenuta nel D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19 va interpretata in senso estensivo, sia in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente (artt. 24 e 53 Cost.) e di buon andamento della p.a. (art. 97 Cost.), che in conseguenza dell'allargamento della giurisdizione tributaria operato con la L. n. 448 del 2001. Con la conseguenza che deve ritenersi impugnabile ogni atto che porti, comunque, a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, in quanto sorge in capo al contribuente destinatario, già al momento della ricezione della notizia, l'interesse, ex art. 100 cod. proc. civ., a chiarire, con pronuncia idonea ad acquisire effetti non più modificabili, la sua posizione in ordine alla stessa e, quindi, ad invocare una tutela giurisdizionale, comunque, di controllo della legittimità sostanziale della pretesa impositiva e/o dei connessi accessori vantati dall'ente pubblico (v. Cass. nn. 21045 del 2007, 27385 del 2008). Pertanto deve essere affermato il seguente principio di diritto: "Il preavviso di fermo amministrativo D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 86, che riguardi una pretesa creditoria dell'ente pubblico di natura tributaria è impugnabile innanzi al giudice tributario in quanto atto funzionale, in una prospettiva di tutela del diritto di difesa del contribuente e del principio di buon andamento della pubblica amministrazione, a portare a conoscenza del medesimo contribuente, destinatario del provvedimento di fermo, una determinata pretesa tributaria rispetto alla quale sorge ex art. 100 c.p.c. l'interesse del contribuente alla tutela giurisdizionale per il controllo della legittimità sostanziale della pretesa impositiva". Nel caso di specie deve, quindi, essere dichiarata la giurisdizione del giudice tributario e le parti devono essere rimesse innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Pisa. La novità della questione giustifica la compensazione delle spese. LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Pronunciando sul ricorso dichiara la giurisdizione del giudice tributario e rimette le parti innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Pisa. Compensa le spese. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 7 aprile 2009. Depositato in Cancelleria il 11 maggio 2009

[6] Attraverso una modifica dell'art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992, l'art. 35, comma 26-quinquies, del D.L. n. 223/2006, ha inserito il provvedimento che dispone il fermo amministrativo fra gli atti impugnabili dinnanzi alle commissione tributarie e che, come precisato dalla Corte di Cassazione nella sentenza 7 maggio 2010, n. 11087, la competenza del giudice tributario a giudicare della legittimità del fermo si ha soltanto nell'ipotesi in cui esso sia disposto a tutela di crediti di natura tributaria.

[7] Recante "Disposizioni di attuazione e transitorie del R.D.L. 15 marzo 1927, n. 436, concernente la disciplina dei contratti di compravendita degli autoveicoli e l'istituzione del Pubblico registro automobilistico presso le sedi dell'Automobile club d'Italia".

[8] La Direzione centrale servizi delegati dell'Aci ha emanato la circolare n. 1200/2009 del 29 gennaio 2009, avente ad oggetto "Legge n. 2 del 28 gennaio 2009: nuova disciplina per l'iscrizione e la cancellazione di ipoteche al P.R.A."; la circolare fornisce chiarimenti in merito all'art. 3, c. 13bis, D.L. 29 novembre 2008, n. 185, convertito con modificazioni dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, che si riporta di seguito: "Per agevolare il credito automobilistico, l'imposta provinciale di trascrizione per l'iscrizione nel pubblico registro automobilistico di ipoteche per residuo prezzo o convenzionali sui veicoli è stabilita in 50 euro. La cancellazione di tali ipoteche è esente dell'imposta provinciale di trascrizione".

Data: 07/09/2017 12:00:00
Autore: Giampaolo Morini