Mutuo: nullità dell'ammortamento alla francese con tasso variabile
Avv. Giampaolo Morini - È indeterminato l'oggetto del contratto, e dunque nullo ex art. 1418 c.c., che prevede l'ammortamento a rate costanti, predeterminate e composte da una quota progressivamente crescente di capitale ad un tasso di interesse variabile: la rata costante è infatti incompatibile con il tasso variabile. Il finanziamento dovrà, dunque essere ricalcolato al tasso legale vigente all'atto della stipula del contratto.
La decisione del tribunale di Lucca (sentenza n. 1938/2016 est. dott. M. Niro) coglie quella che è la problematica più diffusa e meno rinvenuta nelle aule di giustizia: la contraddittorietà tra definizione di ammortamento c.d. alla francese o a quota capitale crescente e tasso variabile.
Non sembra potersi smentire il fatto che se nel metodo alla francese la quota capitale deve essere crescente, la variazione del tasso non può in alcun modo garantire la costanza della rata, che subirà aumenti e diminuzione in finzione della fluttuazione del tasso di interesse. Un contratto (oggi la maggio parte di quelli pendenti) che preveda ammortamento alla francese con tasso variabile è colpito da nullità non parziale, ma dello stesso negozio in quanto ad essere colpito è un elemento essenziale stabilito dall'art. 1325 c.c. ovvero l'oggetto: diversamente il tribunale ha ritenuto di dihiarare la nullità parziale.
Nullità della commissione di massimo scoperto (Cms)
La nullità della clausola sulla commissione di massimo scoperto (Cms) ex artt. 1346, 1418 c.c. è determinata dalla mancanza di una pattuizione che contenga le modalità di calcolo nonché la specifica indicazione di tutti gli elementi che concorrono a determinarla.
La mancata determinazione delle prestazioni a carico ed a vantaggio del correntista fa emergere anche la mancanza di una causa giustificativa della attribuzione e della quantificazione degli oneri a carico del cliente come meglio precisato di seguito. In conclusione, la mancanza di qualsivoglia elemento al quale parametrare l'entità della commissione fa si che la stessa si sostanzi in un mero onere a carico del correntista, con conseguente nullità dell'addebito della commissione stessa in virtù del combinato disposto degli artt. 1418, 1419 e 1346 c.c.
Difetto di giustificazione causale
Come già detto, "nella tecnica bancaria la commissione sul massimo scoperto viene definita come la remunerazione accordata alla banca per la messa a disposizione dei fondi a favore del cliente. Quando la banca concede un fido deve, di riflesso, predisporre disponibilità finanziarie, indipendentemente dall'effettivo prelevamento", "nella pratica operativa tuttavia, gli intermediari bancari usano commisurare la CMS, non all'importo affidato, ma allo scoperto massimo di conto verificatosi nel periodo di riferimento: con tale metodologia di calcolo è indubbio che la CMS viene ad assumere appieno la configurazione di una componente aggiuntiva del costo del finanziamento"[1]. Infatti, se vogliamo dare un minimo di spazio alla logica, la CMS dovrebbe essere calcolata sulla somma non utilizzata, che comunque la banca deve tenere a disposizione del cliente, e non certamente al massimo scoperto, senza peraltro rapportarlo al fattore tempo, in quanto una tale metodologia di calcolo non potrà che portare a palesi effetti di iniquità, vessazione e usura. Per tali ragioni la Commissione sul massimo scoperto si configura nullo per mancanza di causa. Infatti è stato affermato che il servizio reso dalla Banca con l'apertura di credito trova già sufficiente ed adeguata remunerazione nella pattuizione degli interessi, che peraltro costituisce per volontà del legislatore la tipica remunerazione per le prestazioni consistenti nel prestito di denaro, ne consegue che la richiesta di ulteriori somme per tale prestazione si configura come priva di causa (cfr. Cass. 6.8.2002 n. 11772; Trib. Milano 4.7.2002; Corte D'Appello Lecce 27.6.2000).
Non condivisibile la motivazione addotta da altri giudici di merito per sostenere l'esistenza di causa idonea a supportare la pattuizione in discussione e consistente nel ravvisare la commissione di massimo scoperto quale corrispettivo destinato a remunerare la specifica prestazione della banca consistente nell'immediata ed integrale messa a disposizione dei fondi di cui all'apertura di credito, con il conseguente obbligo per la banca di erogare il credito a semplice richiesta del cliente (cfr. Tribunale Torino, 23 luglio 2003).
Infatti l'immediata ed integrale messa a disposizione dei fondi promessi con l'apertura di credito non può considerarsi prestazione autonoma od accessoria di quella principale consistente nell'erogazione delle somme, ma è ad essa intrinseca.
In proposito, le rare sentenze di merito che hanno approfondito il tema della validità delle clausole di massimo scoperto (cfr. Trib. Milano 4.7.2002 in Banca Borsa e titoli di credito 2003; Trib. Trapani 7.7.2004; Corte D'Appello Lecce 27.6.2000) evidenziano che nella prassi la commissione è applicata soltanto nel caso in cui il cliente utilizzi il fido con conseguente addebito al cliente e degli interessi e della commissione.
Di contro se realmente si volesse attribuire alla stessa la funzione di remunerare la messa a disposizione della somma tout court, la commissione dovrebbe essere applicata soltanto nel caso di non utilizzo del fido e dovrebbe, conseguentemente essere denominata commissione di massimo affidamento.
Come è stato efficacemente sostenuto da autorevole dottrina è vero che siffatta commissione di massimo scoperto non risulta adeguatamente determinata nel suo contenuto. In particolare la mancata determinazione delle prestazioni a carico ed a vantaggio del correntista fa emergere la mancanza di una causa giustificativa della attribuzione e della quantificazione degli oneri a carico del cliente.
Il profilo di nullità rappresentato dalla mancanza di causa è altresì avvalorato dalla considerazione della estrema imprecisione nella determinazione del contenuto di tale clausola nel testo del contratto. L'analisi dei moduli e formulari utilizzati dalla banche spesso omette le ragioni causative e gli elementi a cui parametrare (indice che la stessa scienza economica come osservato non è in grado di determinare con precisione) l'entità della commissione, finendo per attribuire un mero onere alla controparte.
Nel caso di specie, comunque, la clausola che prevede l'applicazione della commissione citata presenta un ulteriore profilo di nullità.
Infatti nel contratto di conto corrente sottoscritto dalla società attrice e nelle relative richieste di concessione di credito non risulta in alcun modo indicata il criterio di calcolo.
Ne consegue che la pattuizione è nulla per indeterminatezza dell'oggetto ex art. 1418, secondo comma, c.c. (cfr. Trib. Torino 23.7.2003; Corte d'Appello Lecce 27.6.2000).
Acclarata la nullità di tale clausola ne consegue che le somme corrisposte dall'attrice sono prive di causa e quindi costituiscono indebito oggettivo ex art. 2033 c.c., nella specifica ipotesi di "conditio ob causam finitam" (cfr. Cass. 1.7.2005 n. 14084).
Nullità della clausola sui giorni valuta
Nullità della clausola sui giorni valuta, in quanto le operazioni bancarie devono essere contabilizzate con riferimento alla data dell'operazione (c.d. valuta effettiva) anziché alla valuta fittizia (anticipata per gli addebiti e posticipata per gli accrediti) applicata dalla banca (Trib. Di Pescara 22.01.2008).
In giurisprudenza si è delineato il principio, già affermato in dottrina, secondo il quale le valute delle singole operazioni sul conto corrente devono essere, salvo diverso accordo delle parti, determinate con decorrenza alle date in cui la banca ha rispettivamente perso o acquistato la disponibilità del denaro, con conseguente illegittimità ed inefficacia degli interessi ultralegali calcolati dalla banca sulla differenza in giorni - banca, in quanto non autorizzata dal correntista, tra la data di effettuazione delle singole operazioni e la data delle rispettive valute. La valuta di una operazione registrata in conto corrente è il giorno a partire dal quale la somma corrispondente diviene fruttifera e determina interessi. Detta valuta coincide, normalmente, con la scadenza dell'operazione. La valuta effettiva, giorno a partire dal quale la somma corrispondente diventa fruttifera, coincidente con quello in cui la banca acquista o perde la disponibilità giuridica delle somme versate e prelevate, si distingue dalla valuta fittizia ossia quella adottata dalla banca, e che risulta dall'aggiunta o dalla sottrazione di un certo numero di c.d. giorni banca alla valuta effettiva. Questo meccanismo è utilizzato dalle banche per lucrare ulteriori competenze che e crea maggior sfavore a coloro che lavorano con affidamenti su conti correnti. Deve inoltre osservarsi che attraverso lo strumento delle valute la banca realizza la formazione di poste contabili del tutto virtuali che incidono direttamente non solo nell'addebito di interessi ultralegali ma anche e soprattutto nella formazione dei singoli saldi contabili giornalieri e conseguentemente nella determinazione del massimo scoperto trimestrale su cui la banca applica la rispettiva commissione, e nella determinazione del saldo alle singole chiusure trimestrali su cui viene applicato il meccanismo anatocistico. È dunque indispensabile, che a mezzo CTU contabile, siano ricalcolate le competenze anche in virtù delle reali disposizioni derivanti dall'applicazione dei giorni valuta eliminandone l'effetto negativo. Come già sopra richiamata, la Cass. 26 luglio 1989 n. 3507 ha evidenziato come la banca non è libera di effettuare la registrazione degli accrediti senza limiti di tempo, ma deve a ciò provvedere con la massima rapidità consentita dagli strumenti tecnici disponibili. Considerando che le operazioni bancarie avvengono tutte per via telematica, e lo spostamento di denaro è oramai una formalità solo virtuale e quasi mai materiale, è legittimo porsi dubbi sulla liceità della causa della clausola riguardante i giorni valuta . Si dovrà, pertanto, ritenere inapplicabile la clausola sui giorni valuta, e conteggiare i giorni per data contabile , se si considera che la banca acquisisce immediatamente la disponibilità del denaro di cui alle operazioni annotate in conto corrente.Per ilTribunale Lecce 11 febbraio 2005 "La mancata previsione nel contratto di conto corrente della determinazione della valuta comporta che nel rapporto dare/avere operante tra le parti si debba tenere conto solo della valuta effettiva (che fa riferimento alla data del giorno in cui la banca acquista o perde la disponibilità giuridica delle somme versate o prelevate) e non di quella bancaria (che risulta dall'aggiunta o dalla sottrazione di un certo numero di giorni banca alla valuta effettiva). "
Nullità della modifica unilaterale delle condizioni contrattuali per genericità delle motivazioni
Ius variandi: nullità per l'assoluta genericità e ripetitività delle motivazioni riportate nelle comunicazioni prodotte dalla banca convenuta, nessuna rilevanza potendo attribuirsi alla mancata contestazione da parte del correntista degli estratti conto periodicamente inviati dalla banca sui rapporti obbligatori inter partes, avendo tale difetto di contestazione un'efficacia meramente contabile (Cass. N. 6514/2007; Cass. 11749/2006).
Come già detto, la modifica deve avvenire solamente in presenza di un giustificato motivo. Una volta verificata l'esistenza della clausola che prevede la modifica unilaterale delle condizioni contrattuali, la specifica approvazione, e l'avvenuta ricezione della comunicazione di modifica unilaterale dovrà tuttavia procedersi al giudizio di meritevolezza sulle ragioni che avrebbero giustificato le modifiche in peius[2].
Dal momento che funzione dello ius variandi è di mantenere inalterato, ovvero in equilibrio, il rapporto sinallagmatico tra le prestazioni, alcuni autori hanno ritenuto che si ha giustificato motivo quando è potenzialmente idoneo a modificare l'originario sinallagma contrattuale[3].
Il giustificato motivo può essere soggettivo o oggettivo, ovvero ad personam o generalizzate[4], distinzione già rilevabile dalla Delibera CICR 4 marzo 2003 art. 11e dalle Istruzioni di Vigilanza della Banca d'Italia e, come dopo chiarito dalla Circolare del Ministero dello Sviluppo Economicodel 21 febbraio 2007, dove si legge: "In relazione al contenuto minimo della nozione di "giustificato motivo", questa deve intendersi nel senso di ricomprendere gli eventi di comprovabile effetto sul rapporto bancario. Tali eventi possono essere sia quelli che afferiscono alla sfera del cliente (ad esempio, il mutamento del grado di affidabilità dello stesso in termini di rischio di credito) sia quelli che consistono in variazioni di condizioni economiche generali che possono riflettersi in un aumento dei costi operativi degli intermediari (ad esempio, tassi di interesse, inflazione ecc.)". Nella relativa comunicazione, dunque, il cliente deve essere informato circa il giustificato motivo alla base della modifica unilaterale, in maniera sufficientemente precisa e tale da consentire una valutazione circa la congruità della variazione rispetto alla motivazione che ne è alla base[5].
Inoltre le modifiche nel quantum delle condizioni contrattuali devono comunque essere ragionevoli e sufficientemente motivate: "La modifica introdotta a mezzo dello ius variandi deve essere congrua rispetto alla motivazione addotta nell'atto di esercizio. Non risulta modifica congrua quella di una forte variazione commissionale rispetto ad una motivazione rappresentata dalla mutata situazione di mercato (ABF MILANO 20.04.2010 n. 249)";
Inoltre, poiché la ragione per cui è consentito il ius variandi è quella di adeguare il contratto ai mutamenti che ne abbiano alterato la convenienza originaria e poiché il potere deve esercitarsi in modo coerente alla sua funzione, la modifica del contratto non può introdurre condizioni peggiori di quelle alle quali si sarebbe concluso il contratto se la situazione originaria fosse stata quella di poi sopravvenuta. (ABF MILANO 24.02.2011 n. 1099)
Avv. Giampaolo Morini
Corso Garibaldi, 7
55049 Viareggio (LU)
giampaolo@studiolegalemorinigiampaolo.it
0584361554
[1] S. Ambrosiani – P.D. Demarchi Banche, consumatori e tutela del risparmio, 2009 – pag. 461.
[2]Per un approfondimento della questione, si veda De Poli, Art. 126sexies Modifica Unilaterale delle condizioni, in Capriglione (nt. 3), 1998; sempre nella prospettiva del rapporto tra ius variandi e diritto di recesso si veda Gimigliano, La trasparenza dei servizi di pagamento: profili ricostruttivi della disciplina comunitaria, in Quaderni di Ricerca Giuridica, Il nuovo quadro normativo comunitario dei servizi di pagamento. Prime riflessioni, Banca d'Italia, dicembre 2008, 88 ss.
[3]MORERA, Commento, in Testo Unico Bancario. Commentario, a cura di Porzio, Belli, Losappio, Rispoli Farina, Santoro, Milano, 2010 p. 990.
[4] Morera e Brescia Morra, L'impresa bancaria, in Trattato di diritto Civile del CNN, Napoli, 2006, pag. 369: che rileva due tipi di variazione: modifiche concernenti un dato rapporto; modifiche generalizzate concernenti una molteplicità di rapporti.
[5]Decisione N. 5376 del 23 ottobre 2013 Collegio di Milano
Data: 16/09/2017 16:00:00Autore: Giampaolo Morini