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Stalking ossessionare la ex con il falso pretesto dei figli

Per la Cassazione, l'ingerenza dell'uomo era in realtà un modo per sfogare il risentimento contro la ex che lo aveva lasciato per un altro


di Lucia Izzo - Va condannato per stalking l'uomo ossessiona l'ex con continue telefonate e appostamenti che non sono, come sostenuto dalla difesa, tentativi di convincere la donna a prendersi cura del figlio con problemi, bensì un modo per sfogare il risentimento dopo l'inizio della relazione di lei con un altro uomo.


Lo ha precisato la Corte di Cassazione, quinta sezione penale, nella sentenza n. 49216/2017 (qui sotto allegata), pronunciatasi sul ricorso di un uomo ritenuto responsabile, con doppia conforma, del reato di atti persecutori nei confronti della ex moglie.

Innanzi ai giudizi di legittimità, il ricorrente sostiene che la sua "ossessiva" ingerenza nella vita della ex moglie sarebbe stata determinata dalla necessità di sollecitare l'interesse della madre verso il figlio problematico, rimasto con lui dopo l'allontanamento della donna dall'abitazione coniugale, senza dunque aver dato luogo ad atti persecutori o alterazioni delle abitudini della persona offesa.

Stalking per chi ossessiona l'ex con il falso pretesto della cura dei figli

In realtà, per i giudici, la versione difensiva (ricerca della ex moglie affinché si prendesse cura del figlio) era da leggere in chiave persecutoria, come delineato dai giudici di merito, ovverosia come un pretesto dell'imputato per sfogare il risentimento nutrito verso la donna che lo aveva lasciato e si era rifatta una vita con un nuovo compagno.

Inoltre, la sentenza non ha limitato affatto la condotta dell'uomo al solo episodio richiamato nel suo ricorso, facendo riferimento a continui messaggi e telefonate, nonché pedinamenti e stazionamenti sotto casa, il tutto per la durata di circa un mese.

Ancora, a differenza di quanto sostenuto dal ricorrente, la Corte territoriale aveva dato conto del cambiamento delle abitudini di vita della donna, richiamando la sentenza di prima grado nella parte in cui aveva osservato che questa aveva dovuto limitare le uscite ed evitare la frequentazione di certi luoghi (quale una scuola di ballo dove l'imputato si era improvvisamente presentato).

Sul punto non rileva, dunque, la doglianza circa il mantenimento dell'abitazione e del luogo di lavoro della donna nelle vicinanze dell'abitazione del ricorrente.

Quanto alla sussistenza del dolo, questo appare dimostrato dalla strumentalità del richiamo alle esigenze del figlio problematico, mentre la condotta del prevenuto era finalizzata a vendicarsi per l'abbandono subito.
Data: 29/10/2017 17:00:00
Autore: Lucia Izzo