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Il principio di offensività: nullum crimen sine iniuria

La controversa questione del fondamento giuridico del principio di offensività, la legittimità costituzionale dell'articolo 707 c.p.


Dott.ssa Patrizia Picciano - Riassunto nel brocardo latino del nullum crimen sine iniuria, il principio di offensività è espressione di un diritto penale fondato sull'oggettività, incentrante il valore del reato sulla sua potenziale offensività dei bene giuridici protetti. Doveroso fin da subito sottolineare che per offesa si intende non solo la lesione, ma la stessa messa in pericolo del bene-interesse.

Il rapporto tra i principi di offensività e di materialità

Nella sua chiave puramente oggettiva, il principio di offensività si contrappone a quei sistemi penalistici di matrice soggettiva, propria dei regimi totalitaristici, che intendono il reato come mera violazione del dovere di obbedienza, a prescindere dalla capacità offensiva della condotta posta in essere dall'agente.
L'offensività si affianca ad altro principio cardine degli ordinamenti penali moderni, qual è quello della materialità, nel quale conosce la sua compiuta determinazione; invero, mentre per il principio da ultimo menzionato possono assumere giuridica rilevanza le sole esternazioni umane (non anche meri stati personali, intenti criminali interiori, o dichiarazioni degli stessi non accompagnati da atti che possano integrare quantomeno la struttura del tentativo), il principio di offensività realizza un'ulteriore circoscrizione dei fatti penalmente rilevanti, vietando di incriminare quelle manifestazioni comportamentali oggettivamente inidonee ad arrecare offesa ad un bene-interesse.

Fondamento costituzionale e funzione del principio di offensività

Occorre evidenziare che è particolarmente discussa l'individuazione del fondamento giuridico del principio della necessaria offensività, posto che lo stesso non viene espressamente enunciato né da norme di legge ordinaria, né dalla Costituzione.
Data l'importanza che unanimemente si riconosce allo stesso, la dottrina si interroga in ordine all'opportunità di introdurre nell'Ordinamento un principio che espliciti espressamente la necessaria offensività delle fattispecie penali. La questione è controversa, ma meriterebbe soluzione positiva alla luce delle due fondamentali funzioni che si riconducono al principio di offensività, criterio vincolante non soltanto per l'attività di normazione del Legislatore, ma anche per quella di interpretazione dell'operatore del diritto. A ben vedere, infatti, se da un lato il principio in questione vieta l'introduzione di fattispecie inidonee ad offendere beni giuridici meritevoli di tutela penale, dall'altro lato è innegabile come lo stesso sia un criterio guida del giudice nel processo di riconduzione della fattispecie concreta a quella astratta.
In tal senso si è espressa la stessa Corte Costituzionale, che con sentenza n. 265/2005 ha statuito che «il principio di offensività opera su due piani, rispettivamente della previsione normativa, sotto forma di precetto rivolto al Legislatore di prevedere fattispecie che esprimano in astratto un contenuto lesivo, o comunque la messa in pericolo, di un bene o di un interesse oggetto della tutela penale, e dell'applicazione giurisprudenziale, quale criterio interpretativo-applicativo affidato al giudice, tenuto ad accertare che il fatto abbia effettivamente leso o messo in pericolo il bene o l'interesse tutelato».
Proseguendo l'analisi in discorso, si rammenta che, al di là di quegli orientamenti minoritari che disconoscono ogni tipo di fondamento giuridico al principio di offensività, ammettendo indiscriminatamente la legittimità costituzionale dei reati senza offesa, le tesi maggioritarie si interrogano in ordine all'attribuibilità al principio in esame di un fondamento costituzionale, oppure semplicemente di un supporto codicistico.
La migliore dottrina ritiene che il principio di offensività sia desumibile innanzitutto dalla lettera dell'articolo 25, comma 2, laddove si fa espresso riferimento al "fatto commesso", che deporrebbe in favore della necessaria offensività della condotta del reo. In secondo luogo, si ritiene giustificato il riferimento al carattere personale della responsabilità penale, che imporrebbe di « non strumentalizzare l'uomo al fine di incriminare la mera disobbedienza» (Mantovani F., Diritto Penale, Parte generale, Cedam, 2015).
Orbene, ritenuta condivisibile la tesi che riconduce al principio di offensività fondamento costituzionale, occorre interrogarsi sulla sua portata relativa, o eventualmente assoluta. Propendere per l'una piuttosto che per l'altra soluzione comporta risvolti completamente differenti, poiché se si attribuisse carattere relativo alla portata costituzionale del principio di offensività , allora risulterebbero compatibili con il dettato costituzionale ipotesi di reato senza offesa (sia pure entro precisi limiti di razionalità e ragionevolezza); diversamente, si dovrebbe negare l'ammissibilità di ogni tipo di reato denaturato dell'offensività.
La dottrina maggioritaria propende per la prima conclusione, motivando questa posizione in ragione della necessità di garantire a taluni beni giuridici una tutela penale, per così dire, rafforzata, come accade, ad esempio, nei reati di sospetto, ormai marginalizzati alla previsione dell'articolo 707 cp. Naturalmente, l'ammissibilità di siffatte fattispecie incontra il suo limite massimo nella loro tendenziale eccezionalità: la previsione normativa di reati senza offesa deve giustificarsi in ragione della necessità di garantire una tutela rafforzata a beni giuridici dal particolare rilievo sociale e giuridico, che si concretizza nella sua anticipazione ad una fase anteriore rispetto alla stessa messa in pericolo dell'interesse.

I reati di mero sospetto, l'articolo 707 c.p.

Ai sensi dell'articolo 707 cp " Chiunque essendo stato condannato per delitti determinati da motivi di lucro, o per contravvenzioni concernenti la prevenzione di delitti contro il patrimonio [o per mendicità, o essendo ammonito o sottoposto a una misura di sicurezza personale o a cauzione di buona condotta], è colto in possesso di chiavi alterate o contraffatte, ovvero di chiavi genuine o di strumenti atti ad aprire o a forzare serrature, dei quali non si giustifichi l'attuale destinazione, è punito con l'arresto da sei mesi a due anni".
La previsione normativa suddetta costituisce l'esempio tipico dei reati di mero sospetto, categoria elaborata da Manzini, rispetto ai quali assumerebbe rilevanza una mera situazione di fatto, per l'appunto, uno stato di sospetto.
Sulla scorta di una simile premessa, appare pressoché scontato sottolineare come la disposizione in questione sia stata oggetto di plurime pronunce della Corte Costituzionale, che con sentenza 14/1971 ne ha dichiarato l'illegittimità nella parte cui fa richiamo alle condizioni personali del condannato per mendicità, di ammonito, di sottoposto a misura di sicurezza personale o a cauzione di buona condotta.
Nonostante la natura di mero sospetto, e le sollevate questioni di contrarietà ai princìpi di legalità e di offensività, la fattispecie in questione è rimasta vigente per la restante parte.
Orbene, la Corte si è pronunciata negativamente in merito alla questione dell'incompatibilità della fattispecie ex 707 cp con il principio di offensività, evidenziando che la condotta in esame verrebbe punita in ragione del valore altamente sintomatico degli strumenti indicati nel dettato (chiavi contraffatte, grimaldelli etc), che presentano una intrinseca potenzialità offensiva del patrimonio. In sostanza, la norma si configurerebbe come reato di pericolo presunto, sebbene sia innegabile che la soglia di punibilità venga anticipata ancor prima della messa in pericolo del bene-interesse.
Per questioni di completezza argomentativa, si evidenzia altresì che l'articolo 707 cp è stato oggetto di censure di legittimità costituzionale anche con riguardo ai principi di determinatezza e di materialità, corollari del sopra menzionato principio di legalità.
Con riguardo alla violazione del principio di materialità, la Corte Costituzionale si è espressa accogliendo l'eccezione sollevata e dichiarando costituzionalmente illegittima la disposizione nella parte in cui si richiamavano meri status personali dell'agente.
Quanto al principio di determinatezza, si è dubitato che il riferimento generico a "strumenti atti ad aprire o sforzare serrature" potesse ritenersi rispettoso di questa fondamentale specificazione del principio di legalità, domandandosi, di fatto, al giudice di merito una valutazione la cui discrezionalità correrebbe il rischio di sfociare in arbitrarietà. Malgrado ciò, la Corte Costituzionale ha rigettato la censura di incostituzionalità, motivando sulla base della considerazione per cui la determinatezza risiederebbe nell'indicazione dell'attitudine funzionale degli strumenti in questione ad aprire o sforzare serrature, rientrando legittimamente nel compito del giudice l'individuazione di detta attitudine negli strumenti che, di volta in volta, si prestano ad essere utilizzati.

Il fondamento codicistico del principio di offensività: il reato impossibile

L'orientamento prevalente della dottrina ritiene che il principio di offensività abbia, oltre che rilievo costituzionale, anche fondamento codicistico, rinvenibile nel disposto dell'articolo 49, comma 2 del Codice Penale.
La norma prevede che "la punibilità è altresì esclusa quando per l'inidoneità dell'azione o per l'inesistenza dell'oggetto di essa, è impossibile l'evento dannoso o pericoloso"; sostanzialmente si esclude la punibilità del fatto quando lo stesso è insuscettibile di arrecare un'offesa, nella forma della lesione o della messa in pericolo, del bene giuridico.
In realtà, il punto è tutt'altro che pacifico: parte della dottrina nega valenza autonoma alla figura del reato impossibile, ravvisandovi un'ipotesi di tentativo negativo, o inidoneo.
In realtà simile orientamento non merita accoglimento, posto che, se così fosse, allora la figura del secondo comma dell'articolo 49 cp sarebbe del tutto inutile. In secondo luogo, se si valutasse positivamente la teoria suddetta, la naturale collocazione del reato impossibile dovrebbe incontrarsi nell'articolo 56 cp.
Si osserva ancora che mentre la norma da ultima menzionata fa riferimento specifico ai delitti, l'articolo 49.2 ricorre all'espressione generica di "reati", comprendendovi, pertanto, le stesse contravvenzioni.
A ciò ci aggiunga (e si badi bene che è questo è l'argomento decisivo a disfavore della tesi negazionista) che mentre nel tentativo si presuppone un'azione non compiuta, o realizzata senza successiva verifica dell'evento, nel reato impossibile l'azione è stata completamente posta in essere, ma si rende semplicemente impossibile la realizzazione dell'offesa, per inidoneità della condotta o inesistenza dell'oggetto.
In sostanza, dunque, con il reato impossibile ci si troverebbe dinanzi ad un fatto tipico (essendo integrati comunque tutti gli elementi della fattispecie), mentre il tentativo integrerebbe un fatto assolutamente atipico.
Il punto è comunque controverso, poiché viene duramente criticata la scissione tra offensività e tipicità del fatto, evidenziandosi che l'offensività sarebbe insita nella tipicità.
Pertanto, secondo il ragionamento seguito dalla dottrina contraria, se l'offesa rientrasse nella tipicità, in presenza di un reato impossibile la punibilità sarebbe esclusa per atipicità del fatto (non si integrerebbero tutti gli elementi della fattispecie); se l'offesa si ponesse, invece, al di fuori della tipicità, la punibilità sarebbe pacificamente ammessa, essendosi perfezionati tutti gli elementi costitutivi della fattispecie.
In conclusione, non può che auspicarsi sulla questione un intervento chiarificatore della Giurisprudenza di legittimità, che tenti di porre un punto conclusivo alla tematica.
Dott.ssa Patrizia Picciano; patriziapicciano@yahoo.it
Fonti:
Fiandaca Musco, Diritto Penale, Parte Generale, VI Ed., Zanichelli.
Mantovani F., Diritto Penale, Parte Generale, IX Ed., Cedam. Data: 30/10/2017 16:00:00
Autore: Patrizia Picciano