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Lite temeraria

Cos'è la lite temeraria ex art. 96 c.p.c., quando c'è responsabilità aggravata e come va quantificato il danno da lite temeraria. Guida con giurisprudenza e approfondimenti in materia


Lite temeraria: la definizione e la norma

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La lite temeraria è un'azione legale (o una difesa) esperita temerariamente con malafede o colpa grave, ossia con la consapevolezza di avere torto o con intenti dilatori. La norma di riferimento è l’art. 96 c.p.c. che disciplina la responsabilità aggravata.

Essa, in sostanza, è una lite giudiziaria frutto della malafede o della colpa grave di una delle parti.

La norma di riferimento che prevede la responsabilità per lite temeraria è l'art. 96 del codice di procedura civile, dedicata alla responsabilità aggravata, che dopo la riforma Cartabia così dispone:

Art. 96. Responsabilità aggravata

“1. Se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell'altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida, anche d'ufficio, nella sentenza (disp. att. 152).

2. Il giudice che accerta l'inesistenza del diritto per cui è stato eseguito un provvedimento cautelare, o trascritta domanda giudiziale, o iscritta ipoteca giudiziale, oppure iniziata o compiuta l'esecuzione forzata, su istanza della parte danneggiata condanna al risarcimento dei danni l'attore o il creditore procedente, che ha agito senza la normale prudenza. La liquidazione dei danni è fatta a norma del comma precedente.

3. In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata.

4. Nei casi previsti dal primo, secondo e terzo comma, il giudice condanna altresì la parte al pagamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma di denaro non inferiore ad euro 500 e non superiore ad euro 5.000.

La liquidazione del danno da lite temeraria

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Come emerge chiaramente anche dal testo del primo comma dell'articolo 96, chi avvia una lite temeraria pone in essere un comportamento illecito dal quale può discendere l'obbligo di risarcire la controparte di tutti i danni subiti dall'essersi trovato costretto a partecipare e difendersi in un giudizio del tutto privo di giustificazione.

I danni possono essere liquidati nella sentenza che chiude il giudizio e il giudice può provvedervi anche d'ufficio. A tal fine è necessario che la parte che chiede il risarcimento dia la prova sia dell'an sia del quantum debeatur o almeno che tali elementi siano desumibili dagli atti di causa (sul punto cfr. Cass. n. 18169/2004). Si precisa che in ogni caso il giudice può provvedere anche a una liquidazione equitativa del danno.

La domanda di risarcimento danni per lite temeraria

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La domanda di risarcimento danni per lite temeraria va proposta nel medesimo giudizio nel quale i danni stessi si sono verificati. Infatti la competenza ad accertare la responsabilità processuale aggravata è del giudice del merito adito, che è poi chiamato a liquidare i danni in maniera precisa senza poter provvedere a un'eventuale condanna generica. Se la decisione giudiziale è adeguatamente motivata, l'accertamento della temerarietà non può essere censurato in sede di legittimità.

La domanda per lite temeraria può essere proposta anche per la prima volta in Cassazione, ma solo se si tratta di danni che possono essere collegati esclusivamente a tale fase di giudizio.

La quantificazione del risarcimento

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Ai fini della quantificazione del risarcimento del danno da lite temeraria, gli elementi che vengono in rilievo sono diversi. Occorre, infatti, valutare ad esempio la gravita dell'abuso, l'incidenza che questo ha avuto sulla durata del processo, l'intensità dell'elemento soggettivo.

Ai sensi del terzo comma dell'articolo 96, il giudice, come accennato, può anche provvedere alla condanna della parte soccombente al pagamento in favore della controparte di una somma equitativamente determinata.

Ciò avviene in assenza di prova del danno patito e tenendo conto di tutti gli elementi della controversia.

Più nel dettaglio, nel procedere alla liquidazione equitativa del danno il giudice deve fare riferimento a "nozioni di comune esperienza, tra cui il pregiudizio che la controparte subisce per il solo fatto di essere stata costretta a contrastare un'ingiustificata iniziativa dell'avversario, non compensata, sul piano strettamente economico, dal rimborso delle spese e degli onorari del procedimento stesso, liquidabili secondo tariffe che non concernono il rapporto tra parte e cliente" (Cass. n. 20995/2011. V. anche Cass. n. 3057/2009).

Riforma Cartabia: sanzione pecuniaria

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La Riforma Cartabia ha inasprito ulteriormente le conseguenze nei confronti di chi, nei casi analizzati, tenga una condotta caratterizzata da responsabilità aggravata. Il nuovo comma 4 introdotto dal dlgs n. 149/2022 prevede infatti che, nei casi contemplati dai commi 1, 2 e 3 dell’art. 96 c.p.c, il giudice condanni la parte anche al pagamento di una pecuniaria da versare alla Cassa delle Ammende per un importo minimo di 500 euro fino a un massimo di 5000 euro.

Il campo di applicazione della lite temeraria

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Il risarcimento del danno da lite temeraria può essere applicato non solo nel giudizio ordinario vero e proprio ma anche in tutte le fasi processuali incidentali che terminino con una decisione conclusiva che preveda anche la condanna alle spese, mentre non si applica nei processi senza parte soccombente (come, ad esempio, quello in cui il convenuto resta contumace, i processi costitutivi necessari o quelli di mero accertamento).

L'articolo 96 del codice di procedura civile si applica, poi, al processo fallimentare che si chiude con la sentenza di revoca del fallimento, in sede di regolamento preventivo di giurisdizione e ai procedimenti di volontaria giurisdizione, mentre non si applica ai procedimenti relativi al risarcimento del danno derivante dall'esecuzione di un sequestro penale.

Lite temeraria e negoziazione assistita

Se si verificano le condizioni previste dalla legge, la condanna per lite temeraria è possibile anche per chi, dopo aver ricevuto un invito a stipulare una convenzione per la negoziazione assistita, non dia riscontro nei termini previsti o rifiuti di aderire all'invito.

L'articolo 4 del decreto legge numero 132/2014 (convertito in legge numero 162/2014), prevede infatti che la mancata risposta all'invito entro trenta giorni dalla ricezione o il suo rifiuto può essere valutato dal giudice ai fini di quanto previsto dall'articolo 96 del codice di rito (oltre che di quanto previsto dall'articolo 642, comma 1, c.p.c. e delle spese del giudizio).

Il rischio di subire una condanna per lite temeraria grava anche in capo a chi si sia illegittimamente tirato indietro da una procedura di mediazione.

La giurisprudenza sul risarcimento danni per lite temeraria

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Si riporta qui di seguito quanto sancito dalla Corte di cassazione in alcune recenti sentenze in tema di lite temeraria:

Cassazione n. 1403/2024

“Secondo le Sezioni Unite di questa Corte (ordinanze n.28619, 27195 e 27433 del 2023) la novità normativa [introdotta dall'art. 3, comma 28, lett. g), d.lgs. 10.10.2022, n. 149, a decorrere dal 18.10.2022, ai sensi di quanto disposto dall'art. 52, comma 1, del medesimo d.lgs. n. 149/2022] contiene, nei casi di conformità tra proposta e decisione finale una valutazione legale tipica, ad opera del legislatore, della sussistenza dei presupposti per la condanna di una somma equitativamente determinata a favore della controparte (art. 96 terzo comma) e di una ulteriore somma di denaro non inferiore ad € 500,00 e non superiore ad € 5.000,00 (art. 96 quarto comma); risulta così «codificata una ipotesi di abuso del processo, peraltro da iscrivere nel generale istituto del divieto di lite temeraria nel sistema processuale, tant’è che la opzione interpretativa, sulla disciplina intertemporale, ne ha fatto applicazione – in deroga alla previsione generale contenuta nell’art. 35 comma 1 del d.lgs. n. 149/2022 – ai giudizi introdotti con ricorso già notificato alla data del 1°.1.2023 per i quali non era stata ancora fissata udienza o adunanza in camera di consiglio; anche ai fini della reattività ordinamentale, l’istituto integra il corredo di incentivi e di fattori di dissuasione contenuto nella norma in esame (che sono finalizzati a rimarcare, come chiarito nella relazione illustrativa al D. Lgs. n. 149/2022, la limitatezza della risorsa giustizia, essendo giustificato che colui che abbia contribuito a dissiparla, nonostante una prima delibazione negativa, sostenga un costo aggiuntivo).”

Cassazione n. 3830/2021

L’art. 96 c.p.c., comma 3, prevede una sanzione di carattere pubblicistico, autonoma ed indipendente rispetto alle ipotesi di responsabilità aggravata previste dai commi 1 e 2 cit. articolo volta alla repressione dell’abuso dello strumento processuale. La sua applicazione, pertanto, richiede, quale elemento costitutivo della fattispecie, il riscontro non dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa grave, bensì di una condotta oggettivamente valutabile alla stregua di “abuso del processo”, quale l’avere agito o resistito pretestuosamente (Cass. n. 20018/2020).

Cassazione n. 16898/2019

Ai fini della condanna ex art. 96 c.p.c., comma 3, può costituire abuso del diritto all'impugnazione la proposizione di un ricorso per cassazione basato su motivi manifestamente incoerenti con il contenuto della sentenza impugnata, o completamente privo di autosufficienza oppure contenente una mera complessiva richiesta di rivalutazione nel merito della controversia, oppure fondato sulla deduzione del vizio di cui all'art. 360 c.p.c., n. 5, ove sia applicabile, ratione temporis, l'art. 348 ter c.p.c., u.c. che ne esclude la invocabilità. In tali ipotesi, il ricorso per cassazione integra un ingiustificato sviamento del sistema giurisdizionale, essendo non già finalizzato alla tutela dei diritti ed alla risposta alle istanze di giustizia, ma destinato soltanto ad aumentare il volume del contenzioso e, conseguentemente, a ostacolare la ragionevole durata dei processi pendenti ed il corretto impiego delle risorse necessarie per il buon andamento della giurisdizione.

Cassazione n. 29234/2017

In materia di responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., ai fini della condanna al risarcimento dei danni, l'accertamento dei requisiti costituiti dall'aver agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, ovvero dal difetto della normale prudenza, implica un apprezzamento di fatto non censurabile in sede di legittimità, salvo - per i ricorsi proposti avverso sentenze depositate prima dell'11.9.2012 - il controllo di sufficienza della motivazione.

Cassazione n. 26515/2017

Ai fini della configurabilità della responsabilità processuale aggravata prevista dall'art. 96 c.p.c., comma 2 è necessario che siano accertate sia l'infondatezza della pretesa fatta valere in giudizio, sia la violazione del canone di normale prudenza nell'agire in giudizio, in relazione alla fattispecie concreta. Ai fini dell'affermazione di tale violazione, il giudice deve verificare, con valutazione ex ante, la consapevolezza dell'interessato della presumibile infondatezza della propria pretesa, dando rilievo, oltre che agli orientamenti giurisprudenziali esistenti al momento della proposizione della domanda, anche ad eventuali esiti alterni delle fasi di merito, e all'esito di eventuali istanze cautelari o volte alla sospensione dell'esecutività della sentenza. In caso di trascrizione della domanda giudiziale, deve accertare se la trascrizione sia stata effettuata fuori dai casi consentiti o imposti dalla legge, o se fosse consentita o obbligatoria, non potendosi considerare violazione dell'obbligo di agire con la normale prudenza l'esclusivo dato della avvenuta trascrizione della domanda giudiziale nel caso in cui essa sia imposta dalla legge allo scopo di rendere opponibile ai terzi l'esito positivo del giudizio.

Cassazione n. 3464/2017

Premesso che l'accertamento della temerarietà della lite implica un apprezzamento di fatto, riservato al giudice di merito ed incensurabile in sede di legittimità, se adeguatamente motivato, si osserva che, ai fini della sussistenza dei relativi presupposti, non è sufficiente la mera opinabilità della pretesa azionata, ma occorre la coscienza dell'infondatezza della domanda e delle tesi sostenute, ovvero la mancata adozione della normale diligenza per l'acquisizione della predetta consapevolezza.

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- Lite temeraria: il punto della Cassazione

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Data: 01/01/2024 06:00:00
Autore: Valeria Zeppilli