La Cassazione sul reato di violenza privata
Violenza privata, cosa dice la Cassazione
La violenza privata pone sempre dubbi interpretativi.
Alcune recenti sentenze della Cassazione aiutano a comprendere questa fattispecie di reato.
Nella prima sentenza la violenza privata viene messa a confronto con il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, nella seconda si pone l'accento sulla finalità della condotta, nella terza sulle modalità di coartazione della libertà altrui.
Violenza privata per chi vieta il diritto di sorvolo sul proprio fondo
Nella vicenda decisa dalla Cassazione con sentenza n. 56920/2017, un uomo, condannato dalla Corte d'Appello per il reato di violenza privata (art. 610 c.p.), ricorre innanzi al Palazzaccio ritenendo errata la qualificazione giuridica del fatto. La sua condotta avrebbe integrato, a suo dire, il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni (art. 393 c.p.).
La S.C. respinge il ricorso per le seguenti ragioni: "il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni si differenzia da quello di violenza privata - che ugualmente contiene l'elemento della violenza o della minaccia alla persona - non nella materialità del fatto che può essere identica in entrambe le fattispecie, bensì nell'elemento intenzionale, in quanto nel reato di cui all'art. 392 cod. pen. l'agente deve essere animato dal fine di esercitare un diritto con la coscienza che l'oggetto della pretesa gli competa giuridicamente, pur non richiedendosi che si tratti di pretesa fondata (Sez. 5, Sentenza n. 23923/2014)".
Ne consegue come, ulteriore corollario, che non ricorre il delitto di ragion fattasi ma quello di violenza privata allorché l'esplicazione di attività costrittiva non corrisponde al contenuto del possibile esercizio del potere giurisdizionale (così, anche Sez. 6, Sentenza n. 21197/2013, Sez. 5, Sentenza n. 7468/2013 Sez. 5, Sentenza n. 2819/2014).
Occorre, detto altrimenti, "per la configurazione del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, che l'autore agisca nella ragionevole opinione della legittimità della sua pretesa, ovvero ad autotutela di un suo diritto suscettibile di costituire oggetto di una contestazione giudiziale, anche se detto diritto non sia realmente esistente. Nel caso in esame non si può certo predicare l'esistenza di un diritto di proprietà giuridicamente e giudizialmente tutelabile che escluda il corrispondente diritto di sorvolo da parte di aeromobili ad altezze notevolmente superiori al suolo. Né può ritenersi che l'agente avesse commesso la condotta descritta nel capo di imputazione nella ragionevole opinione della legittimità della sua pretesa.Ne consegue la correttezza giuridica dell'inquadramento giuridico della fattispecie concreta in esame nel paradigma applicativo del reato di violenza privata tentata".
Violenza privata per chi offende e strattona l'addetta al check-in
In questa vicenda, la Corte d'Appello di Reggio Calabria, riformando parzialmente la sentenza di primo grado, ritiene il fatto di cui capo B) integrare il delitto di cui agli artt. 56 - 610 c.p. per tentata violenza privata. L'imputata ricorre in Cassazione sostenendo che la condotta violenta era fine a se stessa e non diretta a coartare la volontà dell'addetta Alitalia.
La quinta sezione penale (sentenza n. 56317/2017) però ritiene infondato questo motivo di ricorso così argomentando: "è emerso che l'imputata, alla notizia di non poter partire, riferitale dall'addetta dell'Alitalia, si è alterata inveendo all'indirizzo della persona offesa, buttando a terra tutto ciò che aveva in mano e sbattendo i pugni contro il tavolo. L'imputata, successivamente, approfittando del momentaneo allontanamento dell'addetta (che era andata a parlare con il suo responsabile), oltrepassava il banco del check-in per recuperare la carta di imbarco che era stata cestinata, e, al ritorno della persona offesa al suo posto, la strattonava, l'afferrava per le braccia contestualmente proferendo la seguente espressione: "Io devo partire, io devo partire punto e basta a me non me ne frega niente di quello che state facendo, io parto").
La prevenuta, non rassegnandosi all'idea di restare a terra, in un successivo momento, ha recuperato la carta d'imbarco, ha aggredito fisicamente la persona offesa, strattonandola (al suo ritorno dal colloquio con il responsabile) contestualmente al momento in cui le ha detto perentoriamente che la stessa doveva comunque partire indipendentemente dalle ragioni che le erano state fornite. E' evidente, dunque, "che tale condotta era finalizzata a coartare la libertà di autodeterminazione della persona offesa, allo scopo di costringerla ad accettarla sul volo, integrando quindi il tentativo di violenza privata, non essendosi l'evento prodotto per cause indipendenti dalla volontà dell'imputata".
Violenza privata impedire a un soggetto di scendere dalla propria auto
Nell'ultima vicenda in commento, infine, la Corte d'appello condanna l'imputato "perché mediante violenza consistita nell'uso improprio della propria autovettura, che parcheggiava nei pressi dell'auto su cui sedeva la persona offesa a distanza tale (pochi centimetri) da non consentire al conducente di scendere dal suo lato, costringeva G.G. a scendere dall'altro lato della propria autovettura e ad affrontarlo".
Il soccombente ricorre in Cassazione perché secondo lui non costituisce violenza privata porre la propria autovettura in prossimità di quella della persona offesa, costringendola a scendere da lato opposto della vettura al fine di discutere.
La Cassazione Penale Sez. 5, sentenza n. 53978/2017 ritiene il ricorso inammissibile poiché: "va preliminarmente osservato che ai fini della configurabilità del delitto di violenza privata, il requisito della violenza si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l'offeso della libertà di determinazione e di azione (Sez. 5, n. 8425 del 20/11/2013; vedi anche Sez. 5, n. 16571 del 20/04/2006, nonché Sez. 5, n. 3403 del 17/12/2003)".
Non vi è dubbio che, secondo la ricostruzione della sentenza impugnata, "il ricorrente, posizionandosi con la propria autovettura a pochi centimetri dello sportello lato autista dell'autovettura della persona offesa, la quale, per la presenza di autovetture parcheggiate avanti e dietro, non poteva in alcun modo spostarsi, ha costretto la stessa parte offesa a scendere dal proprio mezzo per affrontarlo in una discussione (allo scopo di ottenere lo spostamento del mezzo)". Né rileva che la persona offesa sia stata comunque in grado di scendere dall'autovettura (dal lato passeggero), "avendo con tale condotta il ricorrente pesantemente condizionato la libertà di autodeterminazione e movimento della persona offesa".
Data: 02/01/2018 10:30:00Autore: Annamaria Villafrate