Avvocato responsabile per fatto di associati, collaboratori e sostituti
Per il Consiglio Nazionale Forense va addebitata al professionista l'omissione del controllo sull'operato dei suoi dipendenti
di Lucia Izzo - L'avvocato è personalmente responsabile per condotte, determinate da suo incarico, ascrivibili a suoi associati, collaboratori e sostituti, salvo che il fatto integri una loro esclusiva e autonoma responsabilità, ex art. 7 del Nuovo Codice Deontologico Forense (per approfondimenti: Avvocati: la responsabilità per gli errori dei collaboratori).
Lo ha rammentato il Consiglio Nazionale Forense, nella sentenza n. 184/2017 (qui sotto allegata) pronunciandosi sul ricorso di un legale condannato dal competente Consiglio dell'Ordine alla sanzione della censura.
La vicenda
L'incolpato aveva ottenuto il mandato da un cliente per alcune procedure di ingiunzione di pagamento e, a seguito del ricorso di un debitore per riduzione del pignoramento, aveva disconosciuto la dichiarazione del terzo pignorato, affermando il mancato ricevimento della dichiarazione di terzo, disconoscendo, altresì, anche la copia conforme della dichiarazione resa dal terzo che invece risultava dallo stesso ricevuta anche a mezzo raccomandata con avviso di ritorno.
Nonostante ciò, l'avvocato provvedeva a notificare per conto del proprie cliente successivi atti di pignoramento ad altri debitori e, nonostante la successiva assegnazione della somma, non comunicava tale esito ai soggetti terzi raggiunti dal nuovo atto di pignoramento.
Innanzi al COA, l'incolpato si giustificava evidenziando che la lettera era stata inviata a un altro soggetto domiciliato presso il suo studio legale e di non esserne stato a conoscenza soggiungendo di aver disposizioni alla sua segreteria affinché venissero immediatamente contattati gli altri terzi pignorati.
Il COA, prosciogliendo da altri addebiti, riteneva fondati i fatti descritti nella loro materialità così come risultava provato che il secondo atto di pignoramento risultò inesistente in conseguenza della dichiarazione dell'UNEP di Roma.
Le giustificazioni avanzate consistenti nell'aver fatto contattare i debitori terzi pignorati dopo i solleciti dalla segretaria dello studio a mezzo telefono senza essersi preoccupato di inviare comunicazione scritta non sono, secondo il COA, sufficienti.
Avvocato responsabile per le condotte ascrivibili a suoi associati, collaboratori e sostituti
Innanzi al CNF il ricorrente ribadisce di essere stato in buona fede quando aveva disconosciuto il documento non avendolo mai ricevuto: la raccomandata oggetto del procedimento era stata infatti indirizza a soggetto che "espletava la propria attività lavorativa nello stesso appartamento ove è situato lo studio dell'incolpato" che non sarebbe stato avvertito dall'interessato.
Tuttavia, il Collegio ritiene di condividere la decisione del competente COA: ove anche si accolga la versione difensiva in ordine alla raccomandata destinata al terzo e quindi non apribile, esistono in atti elementi che smentiscono la decisività di tale assunto.
In primo luogo la suddetta missiva era stata inoltrata, oltre che per posta, anche per fax e-mail, inoltre, ove si volesse sostenere che una missiva destinata a un terzo (per il quale si stanno svolgendo prestazioni professionali) domiciliato presso lo studio legale sia da considerare riservata anche quando trasmessa sul fax dello studio, resta comunque decisivo il fatto che il documento in oggetto fu mostrato all'incolpato in udienza, ove dell'atto venne prodotta una copia conforme.
Questi, con minima diligenza, avrebbe potuto verificarne la circostanza contattando l'assistito o comunque ritenerla provata nella sua sostanza attivandosi per evitare il permanere di una situazione ingiustificatamente pregiudizievole per controparte.
Ancora, anche se l'incolpato addebita alla segreteria dello studio tale fatto, asserendo altresì che il vizio formale della procedura è tale da escludere il coinvolgimento del professionista, al ricorrente andrebbe comunque addebitata l'omissione di quel controllo che avrebbe dovuto esercitare sulla sua dipendente.
Il ricorso va dunque rigettato e confermata la decisione del COA di sanzionare l'avvocato con la censura per l'illecito deontologico perpetrato.
Autore: Lucia Izzo