Sublocazione: contratto autonomo o derivato?
di Enrico Pattumelli - Il subcontratto è genericamente definito quale contratto di derivazione che si realizza quando la parte di un contratto base già concluso, trasferisce la posizione contrattuale che ne deriva in capo ad un terzo.
Subcontratti, cosa sono
In altri termini, il subcontratto consente di realizzare la medesima operazione economica del contratto base, la cui prestazione viene adempiuta da parte di un terzo in virtù della posizione contrattuale trasferita e, dunque, riconosciuta, con lo stesso subcontratto.
Tra i due negozi, quello base e quello derivato, sussiste un rapporto di derivazione unilaterale che non deve essere confuso con l'ipotesi di collegamento negoziale, quantomeno in senso tecnico. Quest'ultima fattispecie si realizza, come noto, qualora sussistano congiuntamente due requisiti, oggettivo e soggettivo, non rinvenibili nel caso di cui ci si occupa. Nello specifico, le parti contrattuali sono differenti e non si realizza un'unica operazione economica.
Spesso ci si è chiesti se le parti, in virtù della loro autonomia contrattuale ex art. 1322 c.c., possano liberamente stipulare subcontratti.
L'opinione prevalente in dottrina risponde in modo affermativo ma dovendo distinguere a seconda della natura del contratto.
Si ammette una tale facoltà con un limite funzionale nel senso che il contratto base deve consentire il trasferimento della posizione in capo ad un terzo.
Il problema dell'ammissibilità dei subcontratti è risolta o comunque attenuata dallo stesso legislatore in quanto è stata espressamente prevista per le tipologie contrattuali più diffuse nella prassi.
La sublocazione
Locazione, affitto, deposito, mandato, comodato e appalto sono contratti tipici per i quali è ammessa e disciplinata ex lege la facoltà di originare subcontratti.
La sublocazione è disciplinata infatti agli artt. 1594 e 1595 del codice civile.
La prima delle due norme succitate (art. 1594 c.c.) prevede che il conduttore possa sublocare la cosa locatagli salvo che non si rinvenga patto contrario e sempre che vi sia il consenso del locatore.
L'art. 1595 c.c. è volto a disciplinare i rapporti intercorrenti tra locatore e subconduttore. Quest'ultimo è un debitor debitoris ossia è considerato quale debitore del debitore.
La legge riconosce in capo al locatore un'azione diretta e non surrogatoria: questi, infatti, può agire in giudizio per far valere in nome proprio, un diritto proprio. Nello specifico, la norma in esame permette al locatore di convenire in giudizio il subconduttore per ottenere il prezzo della sublocazione e tutti gli adempimenti che da tale contratto ne discendono.
L'ultimo comma dell'articolo di cui si discute (art. 1595 c.c.) prevede che la nullità o la risoluzione del contratto di locazione produce i suoi effetti anche nei confronti della sublocazione, sempre che ciò non rechi pregiudizio al subconduttore nei confronti del sublocatore.
E' proprio relativamente alla finalità e all'esatto ambito di applicazione di tale ultima disposizione che si è pronunciata la Corte di Cassazione con la sentenza n. 6390/2018 (sotto allegata).
La vicenda
Nella vicenda, viene stipulato un contratto di locazione con validità di sei anni, con facoltà di rinnovo di ulteriori sei anni previo accordo tra le parti. Durante la vigenza di siffatto contratto, viene stipulato e concluso un contratto di sublocazione. Decorsi i primi sei anni, locatore e conduttore si accordano per prolungare la durata del negozio principale e ne modificano il relativo canone.
Siffatto accordo ha natura novativa, originando così un contratto ex novo? Oppure integra una proroga dell'originario contratto, vincolante quindi per il subconduttore?
La mancata partecipazione all'accordo da parte del subconduttore e, di conseguenza, la mancata adesione o, come nel caso di specie, l'espresso rifiuto manifestata dalla stesso, quale valenza detiene?
Il subconduttore può essere convenuto in giudizio da parte del sublocatore per il pagamento dei canoni locatizi successivi al rinnovo?
E' applicabile quanto previsto dall'art. 1595 co 3 c.c. ossia è possibile per il sublocatore invocare l'inefficacia della risoluzione del contratto di locazione o, di converso, accertata l'inefficacia, pretendere la restituzione della cosa?
Rispondere a tali interrogativi presuppone aver chiaro, come anticipato, l'esatto ambito di applicazione e la ratio legis sottese alla disposizione in esame.
La Cassazione sul contratto di sublocazione
L'assunto di partenza è che il contratto locatizio è per legge correlato al contratto di sublocazione.
Si tratta di un aspetto desumibile chiaramente dall'art. 1595 c.c. e imprescindibile poiché costituisce il fondamento della finalità protettiva della norma medesima, a prescindere da chi ne sia il beneficiario.
Si chiarisce che la disposizione non considera la posizione del sublocatore ma quella del locatore e del subconduttore.
Considerando le finalità protettive della norma, quest'ultima permette di cogliere come il legislatore abbia voluto individuare un punto di equilibrio tra due contrapposti interessi: quello del locatore e quello del subconduttore.
Da un lato, la stipulazione di una sublocazione non può privare il locatore della facoltà di ottenere la restituzione del bene locato; dall'altro lato il subconduttore non deve subire alcun pregiudizio nel suo rapporto con il sublocatore.
Quanto detto permette di affermare che se tra i due negozi vi è un rapporto di collegamento o, per meglio dire, di derivazione, non si può giungere alla conclusione che vi sia un assorbimento e un completo asservimento del contratto derivato con quello fondamentale.
In altri termini, locatore e conduttore non possono governare finanche l'esecuzione del rapporto di sublocazione in quanto, diversamente, recherebbero un probabile pregiudizio in capo al subconduttore.
La derivazione unilaterale non origina un unico contratto ma una pluralità coordinata di contratti che rimangono entità autonome laddove si perseguano interessi economico-giuridici differenti.
Tale ragionamento permette di ritenere applicabile al contratto di sublocazione il principio generale di relatività degli effetti ex art. 1372 c.c. e, dunque, l'improduttività degli effetti giuridici in capo a terzi salvo che non sia diversamente previsto.
Un accordo tra locatore e conduttore, non previsto dalla legge e relativamente al quale il subconduttore rimanga estraneo, a prescindere dalla natura novativa o meno dello stesso, potrebbe comportare un pregiudizio in capo al subconduttore.
Ciò che rileva non è il regolamento contrattuale quanto la titolarità dell'autonomia negoziale nel poterne disporre; facoltà quest'ultima che la legge non riconosce in capo alle parti del rapporto principale senza quindi sottrarla al contraente del rapporto derivato.
Per tali ragioni la Cassazione, contravvenendo alle conclusioni della Corte d'Appello, accoglie il ricorso presentato dal subconduttore e dispone l'annullamento della sentenza con rinvio.
Data: 19/03/2018 17:30:00
Autore: Enrico Pattumelli