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Processo civile: frazionamento domanda giudiziale e abuso processuale

Il frazionamento della domanda giudiziale costituisce abuso del processo, le S.U 4090/2017 però hanno rimodulato i presupposti del divieto


di Annamaria Villafrate - Si abusa del processo ogniqualvolta lo strumento processuale è utilizzato impropriamente dalle parti. Nel momento in cui un creditore avvia diverse procedure giudiziarie per ottenere l'adempimento frazionato di un'unica prestazione solo per adire il giudice inferiore al posto di quello competente per l'intera obbligazione abusa del processo. La sua condotta infatti, tesa a ottenere dal giudice inferiore una sentenza in grado di avere un certo peso nei giudizi successivi è un mero espediente che appesantisce il sistema processuale, attraverso la parcellizzazione delle cause. Dopo anni di contrasti giurisprudenziali che hanno coinvolto persino le Sezioni Unite, la recente sentenza n. 4090/2017 (sotto allegata) ha superato il divieto di frazionamento della domanda, ma con dei limiti.


Abuso del processo: definizione

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L'abuso del processo, disciplinato dall'art 96 c.p.c., consiste in tutti quei comportamenti improntati a mala fede o colpa grave messi in atto dal soggetto che agisce o resiste in giudizio, malgrado la consapevolezza dell'infondatezza della propria richiesta o difesa. Abusa del diritto d'azione quindi chi, per puro spirito di competizione o per scopi puramente dilatori, non applica neppure la minima diligenza per comprendere quanto siano infondate le proprie richieste e per valutare quanto siano gravi le conseguenze delle sue azioni.

Mala fede e colpa grave art. 96 c.p.c.

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Come ha avuto modo di chiarire recentemente la Suprema Corte nella S.U n. 9915/2018: "Questa Corte ha anzi precisato che i presupposti della mala fede o della colpa grave pur sempre indispensabili per l'applicabilità dell'art. 96, comma terzo, c.p.c. (Cass. 30 novembre 2012 n. 21570), devono coinvolgere l'esercizio dell'azione processuale nel suo complesso, cosicché possa considerarsi meritevole di sanzione l'abuso dello strumento processuale in sé, anche a prescindere dal danno procurato alla controparte e da una sua richiesta, al fine di contemperare le esigenze di deflazione del contenzioso pretestuoso con la tutela del diritto di azione (Cass. 19 aprile 2016 n. 7726); ed ha ritenuto integrare tale mala fede la pretestuosità dell'iniziativa giudiziaria, per contrarietà al diritto vivente ed alla giurisprudenza consolidata (Cass. 22 febbraio 2016 n. 3376), ovvero la manifesta inconsistenza giuridica delle censure in sede di gravame (Cass. 18 novembre 2014 n. 24546), oppure la palese e strumentale infondatezza dei motivi di impugnazione (Cass. 26 marzo 2013 n. 7620)."

Frazionamento domanda giudiziale: le sezioni unite nel 2007

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Il frazionamento della domanda giudiziale si traduce in una condotta suscettibile d'integrare la condotta di abuso del processo e come tale sanzionabile ai sensi dell'art. 96 c.p.c. A questa conclusione sono giunte le Sezioni Unite con la sentenza n. 23726/2007, chiamate a pronunciarsi sul seguente quesito: "se sia consentito al creditore chiedere giudizialmente l'adempimento frazionato di una prestazione originariamente unica." Nella sentenza gli Ermellini hanno specificato che il frazionamento sequenziale o contestuale della domanda giudiziale relativa a un credito unitario configura una condotta contraria alla regola generale di correttezza e buona fede in relazione al dovere inderogabile di solidarietà di cui all'art. 2 Costituzione. Con tale condotta infatti il creditore prolunga il vincolo obbligatorio con il proprio debitore e a causa delle molteplici azioni lo costringe ad un aggravio di spese processuali contravvenendo altresì al principio di ragionevole durata del processo di cui all'art. 111 Costituzione.

Frazionamento domanda giudiziale: le Sezioni unite nel 2017

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Per ben dieci anni diverse sentenze (vedi S.U. n. 26961/2009) hanno confermato il principio enunciato dalle S.U. n. 23726/2007: la singola obbligazione deve essere adempiuta nella sua interezza e in un'unica soluzione, poiché è da escludere che possa essere frazionata in fase giudiziale dal debitore o dal creditore. Lo scorso anno invece le S.U. n. 4090/2017, chiamate a pronunciarsi nuovamente sulla questione, hanno rimodulato i presupposti del divieto di frazionamento relativi a diritti di credito nascenti da uno stesso rapporto contrattuale di durata.

Il caso pratico che ha condotto alla risoluzione del contrasto giudiziale riguarda un lavoratore dipendente che aveva intrapreso due azioni giudiziarie separate nascenti dallo stesso rapporto di lavoro: una per rideterminare il TFR e l'altra per il ricalcolare il premio fedeltà.

La Corte, in un passo della sentenza precisa però che: "quando le sezioni unite hanno discusso di (in)frazionabilità del credito si sono riferite sempre ad un singolo credito, non ad una pluralità di crediti facenti capo ad un unico rapporto complesso. Pertanto solo una interpretazione dell'espressione "unico rapporto obbligatorio", avulsa dal contesto nel quale essa è inserita, può indurre a ritenere che nella sentenza n. 23726 del 2007 il principio di infrazionabilità sia stato espressamente affermato non (soltanto) in relazione ad un singolo credito, bensì (anche) in relazione ad una pluralità di crediti riferibili ad un unico rapporto di durata."

Frazionamento domanda giudiziale: ammissibilità

Precisata questa diversità, la Corte ha ammesso la tutela frazionata del credito poiché: "La tesi secondo la quale più crediti distinti, ma relativi ad un medesimo rapporto di durata, debbono essere necessariamente azionati tutti nello stesso processo non trova, infatti, conferma nella disciplina processuale, risultando piuttosto questa costruita intorno a una prospettiva affatto diversa. Il sistema processuale risulta, invero, strutturato su di una ipotesi di proponibilità in tempi e processi diversi di domande intese al recupero di singoli crediti facenti capo ad un unico rapporto complesso esistente tra le parti, come autorizza a ritenere la disciplina di cui agli artt. 31, 40 e 104 c.p.c. in tema di domande accessorie, connessione, proponibilità nel medesimo processo di più domande nei confronti della stessa parte. Ulteriori argomenti in tal senso possono trarsi dalla contemplata possibilità di condanna generica ovvero dalla prevista necessità, ex art. 34 c.p.c., di esplicita domanda di parte perché l'accertamento su questione pregiudiziale abbia efficacia di giudicato."

Frazionamento della domanda giudiziale: limiti

Vero però che, l'ordinamento, se da una parte non vieta, per le argomentazioni appena illustrate, la possibilità di agire separatamente per lo stesso diritto di credito, dall'altra, nel rispetto del principio di economia processuale consente la trattazione unitaria dei processi per evitare una duplicazione di attività. Per questo, le Sezioni Unite nel principio di diritto affermato in questa sentenza subordina la proponibilità della domanda frazionata all'interesse del soggetto agente. Questo infatti il principio di diritto sancito dalle Sezioni Unite: "Le domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, anche se relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposte in separati processi. Se tuttavia i suddetti diritti di credito, oltre a far capo ad un medesimo rapporto di durata tra le stesse parti, sono anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o comunque "fondati" sul medesimo fatto costitutivo - sì da non poter essere accertati separatamente se non a costo di una duplicazione di attività istruttoria e di una conseguente dispersione della conoscenza di una medesima vicenda sostanziale -, le relative domande possono essere proposte in separati giudizi solo se risulta in capo al creditore agente un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata. Ove la necessità di siffatto interesse (e la relativa mancanza) non siano state dedotte dal convenuto, il giudice che intenda farne oggetto di rilievo dovrà indicare la relativa questione ai sensi dell'art. 183 c.p.c. e, se del caso, riservare la decisione assegnando alle parti termine per memorie ai sensi dell'art. 101 comma 2 c.p.c.".

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Data: 24/04/2018 16:00:00
Autore: Annamaria Villafrate