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L'inesigibilità della condotta lecita

Analizziamo il concetto di inesigibilità della condotta lecita nell'ordinamento penale, tra principi generali e figure ultralegali


di Simone Giallonardo - Per inesigibile si intende qualcosa che non può essere riscosso. In particolare, con il principio di inesigibilità della condotta lecita si intende la non punibilità di chi si trova nell'assoluta impossibilità di tenere una condotta diversa da quella in concreto posta in essere.

La dottrina tedesca

Tale principio non trova nel nostro ordinamento una norma che l'abbia positivizzato; tuttavia, esso trova origine nella dottrina tedesca e in parte di quella italiana. Secondo questa impostazione tale principio esclude l'elemento psicologico ogniqualvolta l'agente si sia trovato in una condizione tale da non potersi pretendere umanamente una condotta diversa da quella tenuta in concreto.

Tale dottrina ritiene che l'inesigibilità sia una causa ultralegale di esclusione della colpevolezza e si configuri come limite intrinseco alle norme giuridiche.

A tale principio sembra opportuno ricondurre alcune figure tipiche dell'ordinamento penale quali lo stato di necessità, la forza maggiore, il caso fortuito, il costringimento psichico e quello fisico. A questi può aggiungersi l'ipotesi di cui all'art. 384 c.p., il quale dispone i casi di non punibilità per i delitti contro l'amministrazione della giustizia.

Il principio di non punibilità sembra essere un elemento che permette al sistema penale di riconoscere i limiti umani, come se fosse una valvola di sfogo della rigidità del sistema stesso. Si prendano in considerazione alcuni esempi. Si pensi al caso dell'alpinista che, bloccato da una tormenta, taglia la corda, lasciando cadere il compagno cagionandone la morte, per salvare la propria vita. Oppure al caso del medico che, al termine di un doppio turno di lavoro, completamente esausto, si rifiuti di effettuare un'ulteriore visita, provocando l'aggravamento di un paziente.

L'inesigibilità permetterebbe così l'ingresso anche di cause di non punibilità non codificate, ma ritenute analogicamente idonee.

Gli aspetti critici

Questa dottrina sembra avere delle incoerenze. Non è chiaro cosa si intenda indicare con i limiti dell'"umanità" o della "ragionevolezza" della situazione. Né sembra opportuno prendere come parametro di esclusione della punibilità la diligenza del non meglio definito uomo medio. Inoltre, i suddetti casi non possono essere configurati come termini per l'operatività dell'analogia legis. Si aggiunga, poi, che l'ordinamento italiano è improntato secondo il principio di legalità; non sembra dunque opportuno individuare cause di esclusione della punibilità che non siano già state individuate dal legislatore, senza lasciare al giudice un evidente utilizzo della propria discrezionalità.

Nel caso di un conflitto di doveri, ovvero nella condizione in cui si trovi un soggetto che debba adempiere a più doveri contemporaneamente, l'adempimento dell'uno esclude quello dell'altro. Tuttavia, in tale situazione non appare esserci illiceità della condotta. Piuttosto il comportamento del soggetto in questione sembra del tutto privo di antigiuridicità; si veda l'esempio di un medico che debba scegliere quale tra due pazienti operare e quindi determinare la morte dell'altro.

Per quanto attiene i conflitti motivazionali, sembra bene prendere in considerazione i casi determinati da convinzioni religiose. Sembra opportuno ricordare che, sebbene la libertà religiosa sia un principio costituzionalmente riconosciuto, non è possibile che essa sfoci in fatti socialmente dannosi. Le limitazioni o i comportamenti imposti dal credo religioso non possono configurarsi come casi di inesigibilità ella condotta penale. Il giudice può tenerne comunque conto, ma non può certamente valutarli quali scriminanti. Tale elemento può costituire, tuttavia, criterio di graduazione della pena comminata.

La giurisprudenza

In merito all'inesigibilità la giurisprudenza appare ondivaga. Si pensi al caso del reato di falso nelle scritture contabili. Recentemente si è statuito che la falsità delle scritture contabili, se finalizzata esclusivamente ad occultare gli illeciti commessi in precedenza e quindi i successivi profitti, non permette di far rispondere i responsabili dell'occultamento dei proventi dei precedenti reati. Si ritiene, infatti, inesigibile una condotta configurabile quale autodenuncia di quegli illeciti.

Basandosi su pronunce di questo tipo, parte della dottrina ha statuito che il combinato disposto tra l'art. 384 c.p. e l'art. 24, c. 2 Cost., potesse configurarsi come principio generale da applicare nei casi in cui la legge prescriva una condotta determinante l'autoincriminazione.

Tuttavia, la Cassazione ha successivamente mutato il proprio indirizzo e, sulla scia di alcune pronunce della Corte costituzionale, ha affermato che il principio generale del nemo tenetur se detegere sia valido solamente sul piano processuale e in nessun modo su quello sostanziale.

In un caso di concorso esterno in associazione di tipo mafioso-camorristico, la Cassazione ha riesaminato il principio dell'inesigibilità, escludendo tuttavia che esso potesse essere invocato in quella situazione. Si trattava di un caso nel quale un imprenditore agricolo aveva messo a disposizione di un'organizzazione mafiosa e del suo capo in stato di latitanza la sua tenuta di campagna, favorendo a tale organizzazione evidenti vantaggi.

La giurisprudenza ha utilizzato la categoria dell'inesigibilità per escludere la punibilità per alcuni reati tributari previsti dal d.lgs. 74/2000, in particolare per quelli di omesso versamento delle ritenute e dell'IVA.

Si pensi alla situazione in cui il nuovo amministratore, nominato a ridosso della scadenza dell'imposta, abbia omesso il versamento; l'esclusione della punibilità è riconosciuta per l'evidente diversità tra il soggetto tenuto all'accantonamento e quello che ha omesso il versamento.

Si pensi anche al caso della crisi di liquidità di un contribuente tenuto al pagamento dell'imposta. Parte della giurisprudenza ritiene si tratti di un caso di assenza di colpevolezza, intesa quale inesigibilità soggettiva della condotta doverosa omessa.

Non sembra possibile introdurre la categoria dell'inesigibilità attraverso lo strumento dell'analogia iuris, né tantomeno dell'analogia legis. Nell'individuazione delle scusanti, infatti, il legislatore sceglie attentamente e in modo preciso il tipo di situazione alla quale riconoscere l'effetto di esclusione dell'esigibilità, il grado di influenza psicologica diretta a rendere la condotta inesigibile, i soggetti e le categorie di reato.

Le lacune in fatto di cause di esclusione devono ritenersi allora intenzionalmente previste dal legislatore e impossibili da colmare attraverso l'attività ermeneutica del giudice.

Data: 09/05/2018 10:03:00
Autore: Simone Giallonardo