L'udienza ex art. 543 c.p.c. nel pignoramento presso terzi
Avv. Marco Sicolo - I continui cambiamenti nella disciplina del pignoramento presso terzi, avvenuti negli anni recenti, hanno comportato alcune incertezze applicative con riguardo a casi pratici che, nella maggior parte delle fattispecie, coinvolgono un istituto bancario quale terzo pignorato.
Ripercorriamo brevemente l'evoluzione della disciplina in materia ed esaminiamo come nella pratica vengano affrontati alcuni casi particolari.
- Dichiarazione fuori udienza del terzo pignorato
- La contestazione della dichiarazione
- Mancata dichiarazione del terzo
- Alcuni casi pratici
Dichiarazione fuori udienza del terzo pignorato
La l. 228/12, il d.l. 132/2014 e, da ultimo, il d.l. 83/2015 hanno profondamente modificato la disciplina del pignoramento presso terzi, muovendola decisamente in direzione favorevole al creditore, nell'ottica di una più rapida, e possibilmente fruttuosa, conclusione della procedura esecutiva.
Secondo l'attuale disciplina, ad esempio, la dichiarazione del terzo può essere resa in ogni caso fuori udienza, a mezzo raccomandata o con un messaggio di posta elettronica certificata. In precedenza, invece, in presenza di crediti alimentari o da attività lavorativa, la dichiarazione doveva essere resa necessariamente in udienza.
Inoltre, a prescindere dalla natura del credito, se il creditore riferisce in udienza di non aver ricevuto la dichiarazione del terzo, il giudice dovrà in ogni caso fissare una nuova udienza, mentre in precedenza i crediti alimentari e da lavoro si ritenevano "non contestati" sin dal termine della prima udienza.
La contestazione della dichiarazione
Uno dei principali cambiamenti nella disciplina del pignoramento presso terzi riguarda le conseguenze della eventuale contestazione della dichiarazione resa dal terzo.
Infatti, mentre prima il creditore era costretto a promuovere un processo di cognizione finalizzato all'accertamento della disponibilità di somme del debitore presso il terzo, adesso tale accertamento è rimesso alla cognizione dello stesso Giudice dell'Esecuzione, che provvede sul punto con ordinanza, dopo apposito contradditorio tra le parti e con il terzo.
È evidente come tale modifica sia volta a favorire il buon esito della procedura espropriativa.
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Mancata dichiarazione del terzo
Ancora più stringente, nei confronti del terzo, risultano le conseguenze del mancato rilascio della dichiarazione. Se questi non compare nemmeno alla seconda udienza, o compare senza rendere la dichiarazione richiesta, il credito pignorato si considera non contestato e il giudice assegna le somme in pagamento al creditore, se l'allegazione del creditore consente l'identificazione del credito (artt. 548 e 553 c.p.c.).
In sostanza, da tale momento il terzo è ritenuto responsabile personalmente nei confronti del creditore, con la sola possibilità di proporre opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c., per dimostrare di non aver avuto tempestiva conoscenza del pignoramento, per causa a lui non imputabile.
Nella precedente disciplina, invece, in caso di mancata dichiarazione del terzo, il creditore avrebbe dovuto attivare un apposito procedimento di cognizione, senza conseguenze immediate in capo al terzo; il che si traduceva, in un gran numero di casi, nell'inerzia di quest'ultimo.
Alcuni casi pratici
Tra i casi pratici che hanno interessato i giudici negli anni successivi alle modifiche sopra riportate, un primo aspetto riguarda le somme derivanti da stipendi o pensioni per le quali il terzo è costituito custode, ex art. 546 c.p.c.
In tali casi, gli obblighi di custodia hanno ad oggetto una quota pignorabile che risulta differente, a seconda che l'accredito preceda o sia successivo al pignoramento. In molti casi, si è riscontrato che l'istituto bancario si sia limitato ad indicare la somma disponibile senza ulteriori specificazioni riguardo alla pignorabilità, lasciando al giudice la scelta tra l'assegnazione del credito così indicato o la richiesta al terzo di ulteriori specificazioni in merito.
Un altro aspetto delicato è quello riguardante il pignoramento di un conto cointestato: in assenza di una chiara indicazione normativa, si ritiene che la banca debba ritenersi custode (e quindi ritenere vincolate le somme) con riferimento all'intero ammontare del conto, e non solo alla quota di spettanza del debitore, che si ritiene presuntivamente pari alla metà. L'eventuale accertamento delle effettive quote atterrebbe ad una successiva fase giudiziale di cognizione.
Infine, si ritiene che, nelle more della procedura esecutiva, la banca abbia la facoltà di chiudere il conto del debitore esecutato per non incorrere in maggiori spese ulteriori, mantenendo in ogni caso accantonate le somme sottoposte a vincolo dal creditore.
Data: 17/05/2018 20:30:00Autore: Marco Sicolo