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Divorzio: il certificato anagrafico non prova la residenza della moglie

Per la Cassazione, l'effettiva dimora abituale può essere provata con altri elementi, compresi atti e dichiarazioni della stessa parte


di Lucia Izzo - Il certificato anagrafico prodotto nel giudizio di divorzio non è sufficiente a dimostrare la residenza della moglie presso la città dove si è trasferita nella speranza di trovare lavoro laddove.


Tale certificato, infatti, ha un valore meramente presuntivo in ordine al luogo dell'effettiva dimora abituale che può essere superato allegato altri elementi, compresi quelli forniti da atti e dichiarazioni della stessa parte, che evidenzino in concreto la diversa ubicazione di detta dimora.

Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, sesta sezione civile, nell'ordinanza n. 17294/2018 (qui sotto allegata) chiamata a risolvere un conflitto di competenza originato dalla domanda di cessazione degli effetti civili del matrimonio proposta dal marito nei confronti della moglie.

Il Tribunale di Gela, adito dall'uomo, si dichiarava incompetente per territorio rilevato che la residenza anagrafica della donna fosse presso Udine. A seguito della riassunzione del giudizio, tuttavia, anche il Tribunale di Udine negava la sua competenza evidenziando che, dalle formali risultanze anagrafiche, era escluso che la donna dimorasse abitualmente sul territorio.


La donna, infatti, comparsa innanzi al Presidenze del Tribunale aveva dichiarato di aver mantenuto la residenza in questo paese soltanto in funzione dell'iscrizione nelle liste di collocamento, nella speranza di trovare lavoro, e ha riconosciuto di recarvisi solo una volta al mese per sottoporsi a controlli sanitari, facendo poi ritorno a Niscemi dove vivono i figli.

Pertanto, poiché l'effettuazione dei predetti controlli era rimasta priva di riscontro, il Tribunale ha ritenuto il legame territoriale con la città natale, posto che dalle dichiarazioni della donna era emerso anche che la sua presenza a Niscemi era legata alla necessità di prestare assistenza al padre malato.

Residenza e domicilio: come si identificano?

Gli Ermellini, chiamati a risolvere il conflitto, rammentano che la domanda per ottenere lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio si propone dinanzi al tribunale del luogo in cui il coniuge convenuto ha la residenza o il domicilio.

Tali nozioni si desumono dall'art. 43 c.c. e s'identificano, rispettivamente, con il luogo in cui il coniuge convenuto ha stabilito la sede principale dei propri affari e interessi e con quello in cui ha la sua dimora abituale, da determinarsi in entrambi i casi sulla base di un duplice elemento, oggettivo e soggettivo.


Nel caso del domicilio, occorre infatti, oltre all'effettiva identificazione di un determinato luogo come centro di riferimento del complesso dei rapporti della persona (da intendersi non solo in senso economico e patrimoniale, ma anche morale, sociale e familiare), l'effettiva volontà di collocarvelo, indipendentemente dalla dimora o dalla concreta presenza in quel determinato luogo.

Nel caso della residenza, invece, si richiedono la permanenza della dimora in un determinato luogo e l'intenzione di abitarvi stabilmente, rivelata dalle consuetudini di vita e dallo svolgimento delle normali relazioni familiari e sociali.

Certificato anagrafico: ha valore meramente presuntivo della residenza della moglie

Ai fini dell'individuazione della residenza, soggiunge la Cassazione richiamando un consolidato orientamento giurisprudenziale, le indicazioni emergenti dalle risultanze anagrafiche danno luogo a una mera presunzione, superabile alla stregua di altri elementi, ivi compresi quelli forniti da atti e dichiarazioni della stessa parte, tali da evidenziare in concreto la diversa ubicazione di detta dimora.

Pertanto, ha errato il Tribunale di Gela a dichiararsi incompetente limitandosi a dare risalto al certificato anagrafico, da cui risultava l'avvenuto trasferimento della residenza della convenuta a Udine, senza invece tenere conto degli altri elementi che aveva addotto il ricorrente e da cui emergeva che la dimora abituale della ex era rimasta a Niscemi così come il centro dei suoi interessi e delle sue relazioni.

La stessa moglie, d'altronde, aveva confermato di aver continuato a trascorrere la maggior parte del proprio tempo nel Comune di origine, residenza dei suoi genitori e del figlio minore collocato presso di lei dalla sentenza di separazione, avendo riferito di dedicarsi all'assistenza del padre, gravemente ammalato, e alla cura del figlio, il quale continua a frequentare la scuola nel predetto Comune.

E ciò nonostante l'ulteriore precisazione con cui la donna, confermando di aver preso in affitto appartamento a Udine, aveva dichiarato di recarvisi solo una volta al mese e di avervi trasferito la residenza solo nella speranza di trovare lavoro, intento non concretizzatosi.

La natura tutt'altro che continuativa della sua presenza in tale paese, dunque, consente di escludere la sussistenza dell elemento oggettivo della residenza e del domicilio, inducendo quindi a concludere per la conservazione degli stessi in Niscemi.


L'intenzione di trasferirsi definitivamente a Udine, essendo rimasta una mera aspirazione, è inidonea a integrare il presupposto di fatto necessario per individuarvi la residenza o il domicilio, con la conseguenza che la competenza in ordine alla domanda di cessazione degli effetti civili del matrimonio va riconosciuta al Tribunale di Gela, nel cui circondario è situato il Comune di Niscemi.
Data: 05/07/2018 09:00:00
Autore: Lucia Izzo