Parcheggiatore abusivo e reato di estorsione
di Antonio Dausilio - La condotta del soggetto, parcheggiatore abusivo, che, minacciando di un male ingiusto l'automobilista compia atti idonei diretti in modo non equivoco a costringerlo a dargli denaro non dovuto per un ingiusto profitto, integra il reato di estorsione.
Questo è il senso della recente sentenza della Cassazione penale (n. 30365/2018 sotto allegata), su ricorso contro la sentenza di condanna pronunciata dalla Corte di Appello di Salerno che confermava la condanna del parcheggiatore abusivo per estorsione a seguito dell'affermazione "devi darmi 2 euro per il parcheggio" e della successiva minaccia "se non mi dai i soldi (...) ti rompo la macchina".
Configurabilità del reato di estorsione per il parcheggiatore abusivo
La sentenza appare rilevante poiché sancisce, per la prima volta, la configurabilità del reato di estorsione per la condotta del c.d. parcheggiatore abusivo che non si limiti a chiedere denaro bensì minacci di un male ingiusto l'automobilista successivamente al suo rifiuto, ritenendosi irrilevante che quest'ultimo si sia sentito intimidito o meno.
Di grande interesse risulta altresì il distinguo enucleato, nel caso di specie, dalla Suprema Corte tra i reati di violenza privata ed estorsione.
Reato di estorsione: condotta ed elemento essenziale
L'art. 629 del codice penale disciplina l'estorsione che consiste nel reato commesso da chi, mediamente violenza o minaccia, costringendo taluno a fare qualche cosa, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno.
La condotta può, dunque, consistere in un'intimidazione nei confronti di qualcuno per fargli tenere determinati comportamenti attivi come, nel caso di specie, la datio di una somma di danaro.
L'elemento essenziale del delitto consistente nell'intimidazione appare, in sostanza, essere strumentalmente e eziologicamente collegato alla costrizione della disposizione.
L'evento che consegue alla condotta estorsiva è quadruplice e consiste:
- nella coazione relativa: la minaccia personale o reale devono essere in grado di condizionare la volontà della vittima relativamente al parametro della normale impressionabilità;
- nel compimento dell'atto di disposizione, consistente in un dare patrimoniale;
- nel danno altrui, cioè il nocumento causato dalla disposizione patrimoniale effettuata a causa della minaccia;
- nel profitto ingiusto realizzato essendo assente un'utilità esorbitante o non dovuta.
È di particolare interesse il fatto che la Corte ritenga "del tutto irrilevante" che l'automobilista "non si sia sentito intimidito" dalla minaccia, nonostante la coazione relativa appare essere un evento conseguente alla condotta estorsiva.
Violenza privata: reato sussidiario
Passando ad analizzare il delitto di violenza privata, esso è sancito, invece, dall'art. 610 c.p. che punisce chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare qualche cosa.
Tale reato è considerato, come indicato anche dalla stessa Corte in sentenza, come "sussidiario" nel senso che "esso è ravvisabile ogni qualvolta non si configuri, per quel determinato fatto, una diversa qualificazione giuridica".
La minaccia consiste in un comportamento o atteggiamento "idoneo ad incutere timore e suscitare preoccupazione di un danno ingiusto" al fine di spingere il soggetto passivo "a fare qualcosa".
La Corte di Cassazione ritiene, in conclusiva, che, nel caso a quo, non possa configurarsi il reato di violenza privata proprio per la sua stessa natura di delitto-sussidiario rispetto all'estorsione, differenziandosi rispetto a quest'ultima per l'assenza di ingiusto profitto che la Suprema Corte scorge nella richiesta di una somma di denaro non dovuta.
Data: 26/07/2018 19:01:00
Autore: Antonio DAusilio