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Aggredire il collega può costare il posto di lavoro 

Per la Cassazione rischia il licenziamento il dipendente che aggredisce fisicamente il collega per futili motivi


di Lucia Izzo - Rischia il licenziamento il dipendente che discute con un collega e lo aggredisce per futili motivi. La sanzione appare proporzionata tenuto conto della condotta del lavoratore e della sua mancanza di autocontrollo nei confronti della persona con cui è venuto a diverbio, che fanno vacillare l'affidamento sul futuro rispetto della disciplina aziendale e sulle regole del vivere civile.


Lo ha deciso la Corte di Cassazione, sesta sezione civile, nell'ordinanza n. 19458/2018 (qui sotto allegata) che ha dichiarato inammissibile il ricorso di un dipendente d'azienda che aveva impugnato il licenziamento disciplinare intimatogli per essere venuto a diverbio con una collega e averla aggredita per futili motivi.

Innanzi agli Ermellini, il lavoratore lamenta l'incongruità sia dell'iter logico giuridico in base al quale la Corte territoriale è pervenuta al convincimento sulla raggiunta prova dell'addebito, che, a suo dire, non sarebbe tarato sul contenuto della contestazione, bensì fuorviato dall'omessa valutazione dell'attendibilità della teste vittima dell'aggressione, sia del giudizio in ordine alla proporzionalità della sanzione irrogata rispetto all'addebito contestato, a suo dire, operato in difformità dai criteri giurisprudenziali.

Rischia il licenziamento chi aggredisce un collega per futili motivi

I giudici sottolineano come la riferibilità dell'addebito al ricorrente, almeno per quel che riguarda il nucleo essenziale dato dall'aggressione fisica in danno della collega, risulta sorretto dalla narrazione della vicenda da parte di un'altra testimone, ritenuta attendibile poiché la stessa ha avuto cognizione diretta ed integrale dell'episodio e non contestata in sede di legittimità.

Innanzi alla Cassazione, infatti, l'uomo contesta la sola attendibilità della testimonianze della vittima dell'aggressione, dunque appaiono inconferenti le censure da lui sollevate che non involgono il contenuto della testimonianza, ritenuta all'uopo dirimente, di una terza persona che aveva assistito alla scena.

Gli Ermellini giudicano inammissibili anche le censure del ricorrente sulla proporzionalità della sanzione, avendo la Corte territoriale posto specifica attenzione a tale profilo.

Nel giungere alla loro conclusione, infatti, i giudici a quo hanno dato risalto all'incapacità di autocontrollo mostrata dal ricorrente a fronte dell'ambiente in cui si trovava, della persona con la quale era venuto a diverbio, delle futili ragioni che lo muovevano. Tutto ciò ha inciso sul piano dell'affidamento sul futuro rispetto della disciplina aziendale e delle regole del vivere civile.
Data: 05/08/2018 14:30:00
Autore: Lucia Izzo