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Divorzio: il punto sull'assegno dopo le Sezioni Unite

Le Sezioni Unite sono intervenute in tema di assegno divorzile, mettendo la parola fine alle diatribe sorte dopo la rivoluzionaria sentenza "Grilli"


di Paolo Palmieri - Le Sezioni Unite sono intervenute, finalmente, in tema di assegno divorzile con la sentenza n. 18287/2018, mettendo la parola fine alle diatribe sorte dopo la rivoluzionaria sentenza della Cassazione n. 11504/2017, che aveva ribaltato i principi alla base dell'assegno di mantenimento.

Excursus storico

La sentenza della Cassazione n. 11504/217 ha superato definitivamente il criterio del mantenimento del medesimo tenore di vita in favore del coniuge più debole, fino ad allora alla base dell'assegno divorzile. Questa pronuncia era stata accolta con pareri discordarti perché, mentre per qualcuno era innovativa ed al passo con i tempi, per altri ledeva i diritti maturati dal coniuge più debole in costanza di matrimonio.

Nell'originaria legge sul divorzio era previsto che il Tribunale disponeva assegno periodico in favore di un coniuge tenendo conto delle condizioni economiche degli stessi, delle ragioni della decisione, dei redditi dell'altro, e del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla famiglia.

Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 18287/2018, definiscono questa concezione come composita: assistenziale in senso lato con riferimento alle condizioni economiche; risarcitoria in senso ampio con riguardo alle ragioni della decisione; e compensativa circa il contributo personale alla famiglia.

Solo con la riforma del 1975 venne introdotto il profilo dell'inadeguatezza dei mezzi in regime di separazione, e poi con quella del 1987, il profilo dell'impossibilità di procurarsi i mezzi per ragioni oggettive.

Con diverse pronunce della Cassazione, anche a Sezioni Unite (n. 11490 e 11492 del 1990), l'inadeguatezza dei mezzi venne collegata al mantenimento del tenore di vita assunto durante la convivenza matrimoniale, superando il semplice dato letterale dell'art. 5 l. 898//1970. Così, effettivamente, la valutazione delle condizioni economiche dei coniugi, inerente al quantum, venne via via sempre più utilizzata sull'an dell'assegno, desumendo il tenore di vita proprio dalla comparazione tra le condizioni dei coniugi. In altre parole, l'assegno acquistò carattere precipuamente assistenziale.

L'orientamento della Cassazione n. 11504/2017

Seppur enunciato a sezioni semplici, il principio di diritto di Cass. n. 11504/2017 ha rivoluzionato la concezione dell'assegno divorzile, considerando il divorzio come estinzione anche del rapporto patrimoniale tra i coniugi.

Mentre prima il Tribunale disponeva l'assegno in favore del coniuge privo di mezzi necessari a conservare il tenore di vita vissuto in costanza di matrimonio, con questo nuovo orientamento l'assegno viene invece ancorato all'accertamento circa l'autosufficienza economica del soggetto in base ad indici precipuamente indicati, ossia il possesso di redditi propri; il possesso di cespiti patrimoniali mobiliari e immobiliari; la capacità e la possibilità effettiva di lavoro; e la stabile disponibilità di un'abitazione.

Rimane però la prova, non certo agevole, del coniuge tenuto eventualmente a versare l'assegno, dell'autosufficienza economica o dell'inerzia a raggiungerla da parte dell'altro.

Sulla base di tale nuovo indirizzo, si sono susseguite pronunce di giudici di merito e della Suprema Corte in cui, ad esempio, è stata accolta la riduzione dell'assegno nei confronti di una ex moglie tornata a vivere con i genitori (Cass. ord. n. 10787/2017); oppure nei confronti di un ex moglie percettrice di assegno sociale. Il Tribunale di Mantova, nel maggio del 2017, sulla scia di questo orientamento, ha rigettato la richiesta dell'assegno ritenendo "necessario … appurare se lo stesso (il coniuge, ndr) sia o meno indipendente o autosufficiente economicamente, avuto riguardo al costo della vita del luogo in cui risiede".

Si sottolinea, comunque, che già subito dopo la pubblicazione di questa rivoluzionaria pronuncia, sono state emanate decisioni che hanno cercato di mitigarne in qualche modo la portata, preannunciando quello che sarebbe poi stato precisato dalle Sezioni Unite. Il Tribunale di Roma, ad esempio, con la sentenza del 21 luglio 2017, ha spiegato che occorre: "evitare che ella - ad onta del contributo obiettivamente fornito al menage coniugale (se non altro col rendersi disponibile ad una vita itinerante in funzione degli interessi professionali del coniuge) possa trovarsi oggi - ad esempio - nella difficoltà di mantenere una soluzione abitativa adeguata al proprio livello professionale e sociale".

Altri giudici di merito, inoltre, hanno continuato ad utilizzare il criterio del medesimo tenore di vita goduto in costanza di matrimonio (Tribunale di Roma n. 11723/2017; Tribunale di Udine 1 giugno 2017).

Assegno divorzio: il risolutivo intervento delle Sezioni Unite

Sulla base di un ricorso rimesso dalla sezione semplice della Cassazione in data 30 ottobre 2017, sono intervenute le Sezioni Unite a dirimere e chiarire definitivamente il quadro dei principi inerenti l'assegno divorzile.

La sentenza n. 18287/2018 ha il pregio di ripercorrere nel dettaglio i vari orientamenti e spiegare con cura l'analisi che il giudice di merito deve effettuare in materia di assegno divorzile, anche se, in definitiva, accresce la discrezionalità dello stesso.

La Sezioni Unite partono dal presupposto che sia il nuovo orientamento, che il precedente (individuato nella sentenza n. 11540/1990) possono portare ad allontanarsi dall'effettività della relazione matrimoniale: il principio del tenore di vita, infatti, deve essere temperato dalla durata del rapporto; quello dell'autosufficienza, tiene poco conto dell'apporto fornito dal coniuge debole alla conduzione della complessa attività endofamiliare.

Questo perché, sottolineano le Sezioni Unite, l'autodeterminazione individuale e la libertà di scelta sono condizionati all'effettiva possibilità di esercitare questo diritto, dovuta alle scelte comuni che vengono compiute in costanza di matrimonio per il bene familiare.

Anche in considerazione della ratio solidaristica dell'art. 2 della Cost., le Sezioni Unite hanno optato, sì, per superare i rigidi paletti che vincolavano l'assegno al tenore di vita, sottolineando però l'importanza dei poteri istruttori del giudice in ordine alla natura dell'eventuale disparità economico-patrimoniale: se questa dipende dalle scelte di conduzione della vita familiare adottate e condivise in costanza di matrimonio, magari con sacrifici e rinunce professionali e reddituali, in funzione dell'assunzione duratura di un ruolo trainante endofamilare, allora occorre utilizzare la funzione equilibratrice-perequativa dell'assegno di divorzio.

Dunque, il parametro dell'adeguatezza ha non solo una funzione assistenziale, ma anche equilibratrice rispetto a sacrifici e scelte indirizzate al menage familiare; ed il giudice deve utilizzare tutti gli indicatori dell'art. 5, comma 6, l. 898/1970 (tra cui, in primis, il contributo fornito dal coniuge richiedente l'assegno alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio familiare) al fine di accertare l'inadeguatezza dei mezzi o l'incapacità di procurarseli.

In definitiva, rimane dunque fermo il nuovo orientamento inaugurato dalla sentenza Grilli, basato sul superamento del tenore di vita, integrato però dalla necessità di una pregnante analisi da parte del giudice di merito circa i motivi dell'eventuale situazione di squilibrio economico-patrimoniale tra i coniugi: ove questa abbia come fondamento scelte comuni endofamiliari, la si dovrà equilibrare con l'assegno di divorzio.

Data: 30/07/2018 17:00:00
Autore: Paolo Palmieri