Il modello di bigenitorialità secondo le associazioni
di Marino Maglietta- Il "Documento affido definitivo" reso noto in data 31 luglio da AIAF (Associazione Italiana Avvocati Famiglia e minori) e ONDIF (Osservatorio Nazionale sul Diritto di Famiglia), in vista di nuovi provvedimenti legislativi sull'affidamento dei figli, presenta alcuni aspetti sicuramente apprezzabili.
Inoltre, rammentando la virulenza di precedenti note (come il commento Aiaf alle Linee-guida di Brindisi del 2017), fa piacere osservare nel Documento una molto maggiore pacatezza di toni (in questo articolo è trattata solo la parte relativa all'affidamento: le considerazioni su altri aspetti sono prevalentemente condivisibili). Ad es., nel bocciare la pariteticità della frequentazione non è stato utilizzato l'abituale sprezzante paragone del bambino con il "pacco postale"; forse perché ci si è accorti che viaggia molto di più con il tradizionale modello dei w-e alternati più pomeriggi che frequentando i genitori una settimana per uno. E neppure si è protestato contro "la potente lobby dei padri separati"; forse perché ci si è accorti che le richieste prescindono dal genere e che comunque le associazioni di padri separati sono del tutto inermi. Ma forse – e questo sembra molto più probabile – l'aggressività si è ridimensionata perché si ha a che fare con un impegno preso dal Governo e inserito esplicitamente nel noto Contratto.
Viceversa, per quanto riguarda gli argomenti, le novità sono solo di facciata, anche se ciò qualcosa vuol dire. Si riconosce, in effetti, che l'art. 388 c.p. è virtualmente ignorato e che il "genitore collocatario" è figura inesistente ("di creazione giurisprudenziale"); ma ciò che si intende fare è soltanto "una modifica del linguaggio". Nulla di sostanziale, ma solo lo stesso maquillage nominalistico che ha accompagnato l'applicazione della legge 54/2006, quando la giurisprudenza decise di chiamare "collocatario" il genitore "affidatario". Lo dimostra la descrizione del cambiamento proposto: "privilegiando, invece, il concetto dei tempi di rispettiva competenza, da individuarsi caso per caso". Espressione nella quale non è dato vedere alcuna differenza concreta rispetto alla prassi attuale: caso per caso il giudice individua il genitore prevalente e stabilisce i tempi di competenza dell'altro.
Quanto al ddl proposto, Aiaf e Ondif criticano, giustamente, che si applichino "soluzioni standard uguali per tutti" e in particolare "l'introduzione per legge di tempi paritari o comunque la previsione di rigide proporzioni nei tempi di permanenza dei figli presso ciascuno dei genitori", evidentemente riferendosi ai 12 giorni al mese del ddl 735. Uno schema che anche chi scrive contesta, ma che è totalmente diverso dal modello della parità e delle pari opportunità già presente in molte proposte di legge delle passate legislature (ad es., ddl 957 Legisl. XVI) e realizzato con le Linee-guida di Brindisi, che pure le associazioni di avvocati avversano: e in questo caso senza motivo. Il modello Brindisi (usiamo questo termine per facilità di comprensione) stabilisce che il figlio, affidato pariteticamente a entrambi i genitori, debba potersi relazionare con essi in funzione dei suoi bisogni, senza vincoli discendenti dal provvedimento del giudice. Quindi flessibilmente, a seconda delle episodiche situazioni (una relazione scolastica da preparare, un'attività sportiva da praticare ecc.), modalità possibile solo se il rapporto di base con i genitori è identico, senza "prevalenze". Una struttura di base paritaria tra i genitori è la condizione per la flessibilità e le pari opportunità a vantaggio del figlio. Il modello Aiaf/Ondif, viceversa, prevede sì che ci sia una valutazione iniziale caso per caso, ma che una volta confezionato l'abito questo debba essere rigidamente indossato fino a nuova sentenza, a prescindere dalle situazioni, dal loro presentarsi e dal loro evolvere. Quindi l'accusa di "rigidità" non solo non è pertinente, ma caso mai dovrebbe mutarsi in autocritica.
Né hanno pregio le preoccupazioni per "il mantenimento diretto o per capitoli di spesa", che sarebbe "non coercibile" a differenza di quello indiretto. Questa è proprio una svista tecnica. Il mantenimento dei figli non rientra tra gli obblighi di dare, ma è di per sè del genere degli "obblighi di fare non coercibili". Il trasferimento di denaro dal conto corrente dell'obbligato all'altro genitore nulla muta e nulla risolve al creditore sostanziale che è il figlio; è solo il primo step dell'assolvimento di un obbligo in capo ad entrambi i genitori, che in questo modo viene inutilmente complicato e quindi reso complessivamente meno probabile. Incaricare in partenza uno dei genitori di provvedere personalmente all'abbigliamento come parte del suo contributo al mantenimento è certamente più semplice e garantista che dire allo stesso che prima dovrà ricevere dall'altro il denaro per i vestiti e poi potrà andare a comprarli. Stupisce anche la preoccupazione che questo meccanismo dia "al genitore economicamente più forte il diritto di decidere da solo". Si fa confusione tra pagare e decidere. Certamente il genitore più abbiente oltre a pagare l'apparecchio per i denti coprirà integralmente e spese per l'istruzione e per i mezzi di trasporto, ma questo non vuole affatto dire che sceglierà la scuola e il dentista e che deciderà da solo se e quando comprare il motorino. Meno che mai convince l'auspicio (che appare francamente demagogico e populista) che si stabilisca un trasferimento di denaro tra adulti in modo da parificare i redditi al fine di "garantire al figlio la possibilità di godere di contesti genitoriali tra di loro tendenzialmente omogenei sotto il profilo economico". Suona bene, ma concretamente vuol dire tutt'altro, ossia l'antica tendenza alla "tutela del coniuge debole"; una questione tra adulti fatta passare per tutela dei figli. La solidarietà coniugale va bene, ma deve utilizzare altri strumenti, altri canali, non vie surrettizie e motivazioni mistificatorie. Analizziamo la questione nel concreto. Il modello Brindisi prevede che il figlio continui a svolgere tutte le attività che gli permettaveno prima della separazione le risorse congiunte dei suoi genitori; nonché che vesta, viaggi ecc. a quel medesimo livello. Insomma, si riempie lo zainetto del figlio di ciò che a lui spetta dando a ciò contributo ciascuno dei genitori in misura proporzioanale . E se lo squilibrio tra i due genitori è forte c'è l'assegno perequativo, che sussiste: quindi nulla quaestio. Resta la differenza di ambiente domestico, più o meno prestigioso. Premesso che la proposta Brindisi tradotta in legge (di imminente pubblicazione) prevede un contributo economico specifico per il genitore che lascia la casa familiare anche se non è sua, che relazione c'è tra il benessere del figlio e il reddito del genitore? E, come va inteso il benessere? Operiamo la trasformazione voluta. Madre con 1000,00 € mensili, padre 3000,00. Il padre passa alla ex 1000,00 € così vanno a 2000,00 entrambi. Ognuno dei due utilizzerà quella somma come meglio crede, in un calderone generale; non esiste la busta per l'alimentazione del figlio, o simili. E chi vive in quella casa? Le famiglie si allargano e si possono presentare le situazioni più varie, dalla convivenza con altri parenti al nuovo partner e magari ai suoi figli di primo letto; così i contributi economici si mescolano ulteriormente e il famoso "interesse del minore" non è più individuabile.
Cos'è, dunque, che influenza davvero il benessere del figlio?
In primis la propensione ad investire su di lui, la generosità di ciascuno dei genitori. Senza contare le scelte di stile di vita. Si può anche nuotare nell'oro ma tenere basso il tenore di vita dei figli perché lo si ritiene diseducativo. A parte il fatto che tecnicamente mescolare le risorse destinate al genitore con quelle destinate ai figli significa ignorare le differenze e le possibili variazioni di status del primo: il che non è giuridicamente lecito.
Infine, per concludere su questo aspetto, sostenere la necessità di un trasferimento economico a vantaggio del "coniuge debole" significa all'atto pratico imporre la corresponsione di un assegno a vantaggio del collocatario (mai visto il viceversa in 12 anni) per unificare i livelli quando il livello inferiore è tipicamente vissuto dal genitore che lo eroga, non da quello che lo riceve. E' lui che dorme in macchina e mangia alla mensa popolare; a quel che si dice. O no?
Il Documento, inoltre, si sofferma sulla mediazione familiare, prendendone, come d'abitudine, le distanze. Chi segue le cronache parlamentari sa perfettamente che gli innumerevoli tentativi di disciplinare formazione e profilo professionale dei mediatori si è sistematicamente arenato per la ferrea opposizione dell'avvocatura. Le associazioni di avvocati, però, ci dicono che la mediazione è strumento non affidabile perché dei mediatori non è definita né la formazione né il profilo professionale... In aggiunta alla loro preoccupazione che le famiglie debbano spendere troppo denaro per cercare l'accordo per la via della mediazione, anziché tentare di vincere attraverso la lite.
In definitiva, è probabile che i giudizi che il Documento esprime sul ddl 735 siano meno critici del solito essenzialmente perché questo non proviene dall'utenza, ma dall'interno del sistema legale, abituato a splendide enunciazioni di principio che restano poi tutta teoria: come nel dichiarare a gran voce la priorità dell'interesse del minore e poi violare i suoi diritti indisponibili. Circostanza che spiega, con tutta probabilità, anche perché il ddl si collochi, nella migliore ipotesi, a metà strada tra la legge 54/2006 e la relativa prassi attuativa. Arretra e cede sui principi in cambio di una promessa di vantaggi applicativi, di dubbia affidabilità, come è mostrato altrove. Ne vale la pena?
Data: 13/08/2018 15:50:00
Autore: Marino Maglietta